Una serie di scoperte sulla struttura interna della Terra ce ne svelano alcuni misteri e aprono nuovi interrogativi.
Una quantità di acqua pari a tre volte quella presente in superficie si trova a 600 km di profondità, nel cuore del nostro pianeta.
L’acqua nelle profondità del pianeta è presente in forma di ioni idrossido (un atomo di ossigeno e uno di idrogeno) intrappolati in uno strato di ringwoodite. Ma poiché a quelle temperature e pressioni la ringwoodite è in grado di restituire tale riserva in forma liquida, nella zona sottostante ci potrebbe essere un immenso oceano vero e proprio.
La ringwoodite: una spugna che intrappola acqua
La ringwoodite, è un minerale di un intenso colore blu, scoperto nel 1969 in campioni del “meteorite di Tenham”, caduto nel 1879 vicino a South Gregory nello stato australiano del Queensland, un meteorite che fin da subito si rivelò di estremo interesse geologico, mostrando tracce evidenti dell’azione di pressioni straordinarie e costituendo quindi una “finestra” su quanto può avvenire nelle profondità interne di un pianeta.

Il minerale prende il nome dal geologo Australiano Alfred Ringwood, che per primo teorizzò la possibilità che alcune variazioni nella velocità delle onde sismiche nel mantello fossero causate proprio dalla presenza di ringwoodite.
La ringwoodite rivelò la caratteristica di intrappolare l’acqua in forma di ioni idrossido (un atomo di ossigeno e uno di idrogeno) all’interno del suo reticolo cristallino. Proprietà confermata da campioni prodotti in laboratorio. Nelle meteoriti rocciose (condriti), il minerale si forma proprio per metamorfismo ad onda d’urto quando il materiale è fortemente compresso durante l’impatto ed esposto ad alte pressioni e temperature.
Gli scienziati ipotizzarono subito che grandi quantità di ringwoodite – e quindi di “acqua” – potessero essere presenti nel mantello terrestre, ma non avevano modo di validare la teoria, anche perché l’osservazione diretta di un campione terrestre naturale era impossibile, a motivo che non ne erano stati mai rinvenuti e che al calare della pressione la ringwoodite torna alla condizione di olivina, a meno che il cambio di pressione non avvenga in modo molto rapido, come nel caso di un’eruzione vulcanica. Occorreva, quindi, trovare un campione espulso dalle profondità della terra in quel modo specifico.
Il colpo di fortuna
Poi è arrivato il colpo di fortuna: nel 2008 è stato rinvenuto in Brasile un diamante con inclusioni di ringwoodite che provenivano dalle profondità del nostro pianeta, portate in superficie proprio da un’eruzione vulcanica, nello specifico da un camino kimberlitico, una struttura in grado di far emergere materiale dal profondo del mantello terrestre, dove le pressioni sono abbastanza alte da poter formare diamanti.

Gli scienziati se ne accorgono nel 2018, ed esaminando quelle inclusioni, riscontrano la presenza di ioni idrossido, conseguenza della scissione subita dalle molecole d’acqua a causa della pressione enorme e di temperature attorno ai mille gradi, che è la temperatura stimata per la zona di confine fra mantello inferiore e mantello superiore, intorno ai 600 km di profondità.
La scoperta si inserisce in 50 anni di studi da parte di geofisici, sismologi e altri scienziati che hanno cercato di capire la composizione dell’interno della Terra. In particolare ha contiguità con una precedente di qualche anno.
Nel 2014, mediante lo studio delle onde sismiche di 500 terremoti rilevate da 2000 sismografi, un gruppo di ricercatori guidati da Steven Jacobsen della Northwestern University in Evanston aveva determinato la presenza di uno strato di ringwoodite contenente acqua imprigionata a 600 km di profondità in Nord America, teorizzando che tale presenza non fosse limitata solo a quella zona.
Quindi la sua squadra ricreò della ringwoodite in laboratorio e la espose a pressioni e temperature simili a quelle del mantello, scoprendo che in quelle condizioni il minerale restituiva acqua in forma liquida. La deduzione fu che lo strato di quel minerale nella zona di transizione del mantello è in grado di restituire acqua in forma liquida (la quale è probabilmente presente al di sotto dello strato stesso).
La stima del quantitativo di “acqua” potenzialmente presente nel sottosuolo, dentro e sotto la ringwoodite, è di circa un miliardo di miliardi di tonnellate: 3 volte quella di tutti gli oceani della superficie.
Un oceano d’acqua nel cuore del pianeta
Questa nuova scoperta supporta l’idea che una grande quantità di acqua attualmente presente sulla superficie potrebbe provenire dalla degassazione vulcanica dall’interno. «Uno dei motivi per cui la Terra è un pianeta così dinamico è a causa della presenza di un po’ d’acqua al suo interno. L’acqua cambia tutto nel modo in cui funziona un pianeta», ha concluso il professor Pearson.
L’interno del pianeta Terra è ancora misterioso
Le nuove evidenze ci inducono anche all’umiltà, perché fondamentalmente ci dicono che sappiamo ancora poco del nostro pianeta.
Un nucleo discontinuo
Ad esempio nel 2021 i risultati di una ricerca guidata da Rhett Butler, geofisico presso la School of Ocean and Earth Science and Technology (SOEST) dell’Università delle Hawaii a Mānoa, hanno stravolto le nozioni precedenti circa la struttura interna della Terra, che teorizzavano l’esistenza di un nucleo solido di lega di ferro, circondato da uno strato liquido. Dalle loro analisi – effettuate misurando le onde sismiche – emerse infatti che il nucleo del pianeta è composto in modo discontinuo da sacche solide, semisolide e liquide di metallo.
Un nucleo nel nucleo
Più recente è la scoperta dell’esistenza di un nucleo più interno all’interno del nucleo della Terra, cosa che potrebbe indicare due eventi di raffreddamento separati nella storia del pianeta, “Abbiamo trovato prove che potrebbero indicare due eventi di raffreddamento separati nella storia della Terra”, afferma Stephenson, ipotizzando che tale stratificazione risalga a quando il pianeta era giovane. La ricerca suggerisce che i cristalli di ferro del nucleo interno abbiano allineamenti diversi, riflettendo possibili cambiamenti geologici significativi avvenuti in epoche remote.
A conclusioni analoche è giunto anche lo studio realizzato da Thanh-Son Pham e Hrvoje Tkalčić, entrambi dell’Università Nazionale Australiana a Canberra.
Un nucleo che rallenta
La pubblicazione di questo nuovo lavoro arriva meno di un mese dopo dalla diffusione dello studio scientifico di un team di ricercatori cinesi che ha rilevato un rallentamento nella rotazione del nucleo interno del pianeta e un possibile cambio di senso rispetto alla superficie.
e cambia forma
E ancora più recente lo studio che documenta come il nucleo interno del pianeta è una struttura dinamica, infatti l’analisi delle onde sismiche dal 2004 in poi rileva risposte diverse. “Per la prima volta stiamo vedendo che si sta deformando”, dice John Vidale, sismologo dell’Università della California del Sud a Los Angeles, che insieme ai suoi colleghi ha pubblicato la scoperta su Nature Geoscience. Il nucleo, dunque, cambia forma e velocità di rotazione, con influenze sul campo magnetico terrestre tutte da scoprire. E un altro studio ancora, che rileva una struttura “a ciambella” nella parte superiore del mantello esterno, composta da elementi leggeri, che potrebbe avere un ruolo chiave nel conoscere le dinamiche del campo elettromagnetico.
Dunque, laggiù, nel cuore del pianeta, le cose non sono come pensiamo che siano.
Implicazioni
Tornando all’esistenza di un oceano nascosto a centinaia di chilometri sotto la superficie, questa informazione potrebbe fornire nuove spiegazioni per comprendere il ciclo dell’acqua, che probabilmente è più complesso di quello che crediamo, e i fenomeni geologici come i movimenti tettonici o le eruzioni vulcaniche. L’acqua presente nella ringwoodite potrebbe in qualche modo lubrificare le placche tettoniche e influenzare le dinamiche interne del pianeta. La scoperta ha anche implicazioni sulle teorie dell’origine dell’acqua sulla Terra, forse non è venuta dallo spazio ma era parte integrante del pianeta, fin dalla sua formazione.
Forse, alla luce di tutte queste ricerche, è da rileggere con più attenzione l’interpretazione di Sitchin del mito mesopotamico di Tiāmat come pianeta primordiale di immensi oceani, che collidendo con due satelliti di Nibiru – uno dei quali è rimasto intrappolato al suo interno – diede origine alla Terra (e alla fascia degli asteroidi).
Gli indizi sono più di uno: la presenza di acqua sulla Luna e nella profondità della Terra, il fatto che il nucleo del nostro pianeta sia più “giovane” e diverso dal resto della struttura e infine che esista un secondo nucleo ancora più interno…
Fonti:
https://www.nature.com/articles/nature13080
https://phys.org/news/2021-10-earth-solid-core-mushy-hard.html
https://www.science.org/doi/10.1126/science.1253358
https://www.nature.com/articles/s41561-025-01642-2
https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adn5562
https://www.nature.com/articles/s41467-023-36074-2
https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2020JB020545