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Gnosticismo ed erotismo

Gnosticismo ed erotismo: due vie verso il nulla

di Ezio Albrile

Mi viene da dire, con Michel de Certeau: mai senza l’altro. Eppure, anche l’incontro ha i suoi confini. Intanto, vale la pena distinguere. Da una parte, la meditazione orientale, corporea, intensiva, radicata in secoli di tradizione tra il Tibet e l’Estremo Oriente. Dall’altra, la meditazione greco-romana: razionale, astratta, tutta interiore. La cura di sé, per i filosofi antichi, non passava per il corpo. Era esercizio dello spirito, non dell’equilibrio. Lo yoga, che in sanscrito significa “unione”, comincia invece proprio da lì: dal corpo. Ma il discepolo di Basilide, lo gnostico che interrogava il mistero, non faceva ginnastica. Non c’era nulla da armonizzare; solo da distinguere: materia e spirito, carne e luce. Era una forma estrema di disillusione. Ripeto soltanto, per inciso, che secondo le Upaniṣad, “quando tutti i desideri saranno cancellati, allora il mortale diventerà immortale”. Ma questo ‒ è chiaro ‒ non accade mai. Eppure, il meditante, anche se sogna la luce, resta con i piedi piantati per terra. Deve educare, trasformare, restare vigile.

Spazi di confine
Anche i Benandanti ‒ quei contadini friulani del ‘500 che “uscivano in spirito” ‒ restavano immobili per giorni, in uno stato simile alla catalessi. Dicevano di combattere battaglie notturne per la fertilità dei campi. Ginzburg ne scrisse nel ’66, e poi in Storia notturna. Era la sopravvivenza di un antico sciamanesimo europeo, travestito da eresia, e frainteso dagli inquisitori. Niente a che vedere con lo yoga, che è attenzione, presenza, controllo.
Quando parliamo di Prajñā, parliamo di saggezza, sì, ma di una saggezza che nasce dalla consapevolezza dell’impermanenza. Del respiro che va e viene. Del corpo che invecchia e si dissolve. La mente, allora, deve osservarsi. Farsi specchio. Gli esercizi spirituali ‒ come quelli di Ignazio di Loyola ‒ servono a trasformare il soggetto. A mutare la personalità; a disattivare il narcisismo.
Il punto è tutto qui: si può ancora cambiare?
Culianu, studioso di magie e apocalissi, diceva che l’universo è fluido, simbolico, manipolabile. Tutto dipende dalla posizione. Una variazione della percezione, e il mondo cambia forma. È il potere dell’immaginazione. Ma c’è un dubbio che ci perseguita: i simboli religiosi, sono eterni o storici? Si possono decifrare come un codice, o sono strutture fisse, fuori dal tempo?
Dove vogliamo vivere, allora? Nel mito dell’eterno ritorno o nella vertigine della storia?

Ribellioni addomesticate
Anche Il codice da Vinci ‒ nel suo kitsch ‒ raccontava il Graal come una ierogamia. Il sacro come sesso, e viceversa. Ma non è solo finzione. Ci sono precedenti. Testi. Riti. Tradizioni.
Intanto, in silenzio, una parte della società si ritaglia spazi anarchici. Dissidenti del privato, ribelli domestici. Donatella Di Cesare ci ha scritto un libro: Il tempo della rivolta. Forse ispirato a Sartre, forse no. Io, per parte mia, resto con Camus: Sisifo che si ribella, non che rivoluziona. La differenza non è piccola.
La sessualità è sempre stata un nervo scoperto. Lo sapeva Foucault. In Italia, invece, se ne parla poco. Troppo scomodo; meglio i racconti, il folklore, i fantasmi lacaniani. Eppure la prostituzione è stata parte del nostro immaginario, almeno fino al Concilio di Trento. Poi si è inventata la Maddalena redenta. Una santa, ma ex meretrice. Erede, forse, delle Sofie gnostiche. Una strategia? Non repressiva, ma funzionale. La prostituzione come ordine contro il caos. La Chiesa cattolica più accorta dei puritani. Più realista. Poi è arrivata la sciagurata “Legge Merlin”.

Viandanti erotici
Oggi, la prostituzione è diminuita (o trasformata?). Colpa o merito della rivoluzione sessuale del ’68. Ma resta una domanda: è lavoro o sfruttamento? E forse, più di tutto, rincitrullimento.
Il successo planetario di Memorie di una geisha lo dimostra. Una storia che rassicura. Una bambola giapponese che sorride nel dolore. La pornografia del romanticismo. Le zingare, almeno, leggevano la mano. E ipnotizzavano.
Perché sì: la divinità è splendore e terrore. In sumerico: melam; in accadico: melammû. Un alone che brucia. Come le accuse di Angela Scarparo, che in un libro raccontò la sua verità su un filosofo molesto. La procura archiviò tutto: “malinteso”. Lui non aveva capito. Troppa ambiguità. Ma un filosofo non dovrebbe decifrare i segni? Forse. Ma anche i filosofi sbagliano. E poi, oggi, tutto è uno specchio. Meglio lasciar perdere i moralismi. Il “Mi To” ‒ scritto all’italiana ‒ si occupa di altro.
Alla fine, tutto torna al corpo. Ai suoi usi. Alla sua storia.
Lo shaktismo, raccontato già da Gozzano, portò in India una libertà apparente. Nei templi, le donne iniziavano gli uomini al divino, attraverso il sesso. Sessantaquattro yoginī, incarnazione del femminile assoluto. Una ierogamia continua tra Durga e Śiva. Dove la copula non è peccato, ma unione cosmica. Dove la prostituzione è sacra, perché cancella la distinzione tra puro e impuro. Ma anche qui, resta una domanda: chi paga il prezzo
Nell’India di oggi, il corpo femminile è ancora segnato da quella eredità. Una mitologia che diventa destino. Un’illuminazione che sa anche essere oscurità.

Il cielo che cade sulla terra
C’è qualcosa di mitico, e al tempo stesso di profondamente umano, nell’idea che gli dèi siano scesi un giorno dal cielo per mescolarsi agli uomini. Gli Anunnaki ‒ antiche divinità sumeriche ‒ erano, secondo la leggenda, creature venute dall’altrove. Non si sa bene da dove. Forse da un pianeta remoto, chiamato Nibiru.
O forse da una zona interiore della psiche. Quel che conta è che la loro discesa diede origine a una stirpe mista, una razza intermedia. Né umana né divina. Qualcosa che somiglia all’uomo, ma lo supera. O lo deforma.
Questa ibridazione ‒ arcaica, oscura, inquietante ‒ è l’archetipo di molte narrazioni successive. I Nefilim della Genesi, i figli degli angeli e delle donne, sono una variazione sul tema. Mostri, dicono le Scritture; illeggibili, forse, per la teologia. Ma chiarissimi per il mito. Lì dove il confine tra puro e impuro si spezza, nasce la contaminazione. E con essa, la paura. È la stessa paura che attraversa certi blog ufologici, dove si mescolano Bibbia apocrifa e racconti alieni. Gli angeli caduti del Libro di Enoch non portano saggezza: portano impurità. Qui, la sessualità si fa sacrilegio.

Antagonismi gnostici
L’unione tra l’umano e il divino, nei testi gnostici, non è un miracolo, è una trasgressione. Un errore. La prostituzione sacra ‒ quella che univa corpi e dèi nei templi orientali ‒ viene vista come una commistione indebita; un desiderio fuori posto. Lo stesso Simon Mago, con la sua Elena “divina”, non è altro che un falsario; non un profeta. La tradizione valentiniana è un’altra cosa. Più interiorizzata, più simbolica. Come mostrano certi testi del sesto codice di Nag Hammadi, rielaborazioni quasi poetiche di antiche liturgie isiache.
Con il tempo, il giudaismo del Secondo Tempio e lo gnosticismo cristianizzato abbandoneranno il comandamento di procreare. Preferiranno l’ascesi. Il distacco. La verginità come forma di resistenza. L’eros, da atto creativo, diventa disciplina rituale. Il matrimonio cristiano non è abolito. È trasformato. Si fa sacramento. La Chiesa cattolica, su questo punto, è coerente: o ci si sposa, o si diventa sacerdoti. Non c’è una terza via.
Eppure, sotto questa chiarezza dottrinale, resta un’inquietudine.
La sessualità occidentale ‒ a ben vedere ‒ non si è mai liberata del suo debito con Dioniso. Il dio delle maschere, dell’eccesso, dell’ambiguità. Il dio androgino che sovverte ogni differenza. L’ateniese che assisteva a una tragedia non stava solo guardando uno spettacolo. Stava partecipando a un rito. Vedeva se stesso sotto forma di maschera. Dietro la civiltà, l’istinto. Dietro le parole, il corpo. E proprio lì, tra il corpo e il linguaggio, nasceva l’impasse.
Ogni atto sessuale è, in fondo, un fallimento simbolico; un’azione che vuole dire qualcosa, ma non può. L’orgasmo, dice Lacan, rivela il senso del rapporto, ma nel farlo, lo annulla. L’uomo e la donna ‒ insiste il pensiero contemporaneo ‒ non sono categorie biologiche. Sono costruzioni. Ogni Anima porta in sé il suo Animus. Ogni identità è una tensione.
Su questa base si innestano polemiche moderne. Judith Butler, teorica del genere e della performatività, viene spesso messa a confronto con filosofi più cinici (e più comici) come Žižek. Ma in fondo, le discussioni accademiche ripetono idee vecchie. Le osservazioni, molto misogine, di Julius Evola risalgono a Sesso e carattere di Otto Weininger. Un autore controverso, tragico, ma mai superato. Le donne fatali, diceva, sono una proiezione dell’insuccesso maschile. Un mito. Un’illusione che nasconde un’inadeguatezza. Una debolezza.
Il resto si consuma in silenzio.

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