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Alla ricerca della mitica sirena

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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In tempi passati e moderni numerosi avvistamenti di mammiferi marini dalle sembianze umane e provvisti di pinna caudale biloba indicano l’esistenza di una specie acquatica di ominine.


Sirena, William Waterhouse


La Ri o Sirena della Nuova Guinea

Dall’agosto 1973 al dicembre 1974 ho soggiornato fra le meraviglie viventi della Nuova Guinea, la più estesa isola tropicale del pianeta, studiando la flora e la fauna assieme ai biologi del Wau Ecology Institute, tenendo lezioni sull’ecologia presso il Lae Teachers College e vivendo con popolazioni tribali dell’Età della Pietra.
Fra il 2 e il 7 ottobre 1973 mi capitò di viaggiare lungo la costa settentrionale di Papua Nuova Guinea, fra Lae a Vanimo, sul Papuan Explorer, un cargo da trasporto da 340 tonnellate, che consegnava rifornimenti e sbarcava alcuni passeggeri a Wewak e Aitape. Durante il viaggio di cinque giorni trascorsi gran parte del mio tempo a identificare la fauna marina comprendente pesci di grandi dimensioni, squali, razze, delfini stenella e uccelli marini.

Il 3 ottobre, verso mezzogiorno, davanti alla prua osservai direttamente sulla superficie del mare una scura testa tonda di fattezze decisamente umane. All’approssimarsi del natante la testa della creatura si immerse all’improvviso, come tirata giù dalle pinne e dalla coda. Mi trovavo nei pressi della prua e mentre passavamo sopra l’animale lo vidi chiaramente che si immergeva verticalmente a circa due metri sotto la superficie. Vidi una testa scura e un corpo allungato che procedevano verso il fondo attraverso l’acqua limpida adoperando la coda; aveva dimensioni umane, quantunque non riuscissi a scorgere alcun segno di braccia o pinne laterali. Mi domandai se magari non fosse un dugongo.

In precedenza avevo esaminato un antico disegno, tratto dal libro del 1868 di Sir James Emerson Tennent dal titolo Sketches of the Natural History of Ceylon, (1) raffigurante due femmine di dugongo che galleggiavano sulla superficie dell’acqua con la testa in posizione verticale, ciascuna che allattava i propri piccoli. Avevo osservato dugonghi che si nutrivano presso la Moreton Bay, vicino a Brisbane, nonché esaminato accuratamente un dugongo ferito gettato a riva sulla Sunshine Coast del Queensland nel 1968. Si trattava di animali corpulenti e robusti che non si trattenevano mai in acqua in posizione verticale; restavano sempre in orizzontale, alimentandosi di alghe e nuotando in superficie allo scopo di sollevare il muso baffuto per inalare aria, prima di immergersi nuovamente con rapidità per riprendere ad alimentarsi. Le osservazioni dei dugonghi hanno dimostrato che tali animali non si comportano mai come raffigurato dall’antica illustrazione.
Forse quella che vidi eretta sulla superficie dell’oceano era la testa di un dugongo. Tuttavia, la creatura si sarebbe dovuta spostare in avanti e avrebbe dovuto immergere prima la testa, non trascinarsi sott’acqua. Il corpo era slanciato, diverso dalla forma voluminosa di un dugongo. Non riuscivo a stabilire di che animale si trattasse.

Qualche tempo più tardi mi trovai a discorrere con un anziano della Nuova Guinea proveniente da un villaggio costiero vicino ad Aitape e gli chiesi notizie sulle sue conoscenze della fauna locale. Dopo aver elencato le solite specie comuni in cui si era imbattuto durante la propria esistenza nell’area, l’anziano iniziò a descrivere un mammifero marino visto una sola volta. Mentre egli e un amico stavano pescando al largo con la canoa, nel ritirare le reti, insolitamente pesanti, portarono in superficie un animale davvero eccezionale, dalla testa tonda e scura, proprio come una persona con grandi occhi, e seni simili a quelli di una donna; il resto del corpo somigliava a quello di un delfino. Rimasero talmente sbalorditi per aver portato in superficie un animale così bizzarro e intimoriti dalle sue fattezze umane che lo liberarono immediatamente in mare.
Personalmente ero incredulo, quindi dissi all’anziano che doveva trattarsi di un dugongo. Il mio interlocutore replicò che non era un dugongo, dato che li catturavano e mangiavano regolarmente, bensì di un animale del tutto diverso. Stentavo a credere che mi stesse descrivendo una sirena, poi gli dissi che un animale del genere non poteva esistere, che doveva aver sentito la descrizione di qualche missionario e quindi stava pretendendo di averne osservato uno egli stesso. Con mia sorpresa, il mio interlocutore si indignò; era chiaramente turbato dal fatto che sebbene io fossi stato bramoso di sentire notizie sugli animali da lui visti durante la sua lunga vita, mi rifiutavo di credere al suo incontro con un animale acquatico somigliante a un essere umano; era come se avessi messo in discussione la sua integrità. Porsi le mie scuse e descrissi lo strano animale che avevo osservato io; stento ancora a credere di essermi imbattuto in una sirena.

Otto anni dopo rimasi stupito nel leggere che anche altri si erano imbattuti nella sirena della Nuova Guinea. Nel volume uno (1982) di Cryptozoology, rivista interdisciplinare della International Society of Cryptozoology, vi è un documento stilato da Roy Wagner, capo del Dipartimento di Antropologia della University of Virginia, che reca il titolo “The Ri: Unidentified Aquatic Animals of New Ireland, Papua New Guinea”. (2) Nel biennio 1979-80 Wagner stava studiando popolazione e cultura locali, quando scoprì che i nativi erano a conoscenza di un animale marino non identificato a livello scientifico, che denominavano in vari modi fra cui ri (in Barok), ilkai (in Susurunga) e pishmary (termine inglese pidgin per “fish mary”, dove mary è il vocabolo impiegato per “donna”).

I pescatori di queste isole conoscevano bene gli altri mammiferi marini con cui condividevano il loro mondo e sostenevano che il ri era del tutto diverso da delfini, focene, globicefali e dugonghi, questi ultimi noti come bo narasi in Barok, ovvero “maiali dell’oceano” a causa del loro corpo voluminoso, del tondo muso baffuto e della dieta vegetariana. Descrivevano il ri come un mammifero che respirava aria dotato di testa, tronco, braccia e genitali di un essere umano, sebbene la parte inferiore del corpo fosse priva di gambe e terminasse con un paio di pinne laterali. Gli esponenti di ambo i sessi avevano una lunga capigliatura scura. Le femmine avevano evidenti mammelle da mammiferi e il corpo ricoperto da una pelle simile a quella umana, più chiara di quella scura della popolazione della Melanesia. Le unghie erano lunghe e affilate, i palmi delle mani segnati da profonde rughe e callosi. Il volto aveva un che di scimmiesco e la bocca era strana e simile a quella di un pesce. Vivevano per lo più in fondali bassi, cacciando e nutrendosi di pesce, e riposavano su secche e spiagge deserte.

In base ai resoconti della popolazione locale, Roy Wagner scoprì che la sirena della Nuova Guinea è distribuita attorno ai litorali del Mare di Bismarck, del Mare delle Salomone e dell’Oceano Pacifico al largo degli arcipelaghi delle Bismarck e delle Salomone. Sono particolarmente diffuse attorno alle coste centrali e meridionali della Nuova Irlanda e gli stretti fra le isole di Buka e Bougainville, nelle Salomone settentrionali. Il ri esiste inoltre più a ovest attorno all’Isola di Manus e al largo della costa settentrionale della Nuova Guinea, dove i pescatori di Aitape le hanno catturate nelle reti. Quando Wagner chiese ai locali la ragione per cui non avessero mostrato l’animale o riferito della sua esistenza agli amministratori coloniali o ad altre autorità, costoro replicarono: “Ma voi sapete tutto del ri; mettete loro disegni sulle vostre scatole di fiammiferi e sui prodotti in scatola.”

 

La sirena della Nuova Irlanda

Roy Wagner scoprì che i ri erano ben noti molto tempo prima dell’arrivo degli Europei e che, come tutte le specie di animali con essi coesistenti, occupano un posto speciale nelle culture di questi isolani, i quali hanno storie che spiegano l’origine di tali creature.
Il clan Nakela della costa orientale della Nuova Irlanda considera i ri animali sacri o tadak, numi tutelari, e ogniqualvolta ne viene ucciso o trovato morto uno, i Nakela celebrano un rito funebre nella loro “casa degli uomini”. Nel contesto delle loro narrazioni relative alla creazione, i ri nacquero quando una troupe di Nakela stava eseguendo una danza in occasione del rito funebre di Kaba. I percussionisti fecero un errore madornale, attirando irrimediabile ignominia sul clan; per cancellare l’umiliazione i responsabili si suicidarono in massa saltando oltre un’alta scogliera. Le loro anime si trasformarono nei ri.
A Roy Wagner venne indicato un ri che nuotava nella Baia di Ramat, sulla costa orientale della Nuova Irlanda, anche se tutto quello che Wagner riuscì a vedere fu un lungo corpo scuro che nuotava orizzontalmente sul pelo della superficie a distanza di vari metri. I suoi informatori gli dissero che dopo aver finito di pescare, l’animale avrebbe esibito la testa e le mani a quelli che stavano sulla spiaggia “per mostrare che anch’esso era umano”.

In precedenza, una femmina adolescente di ri era stata accidentalmente catturata in una rete e trascinata sul retro della spiaggia. I pescatori si recarono dal direttore dell’insediamento lasciando di guardia due ragazzi, ma questi ultimi erano troppo impauriti per afferrarla quando essa si liberò e strisciò nuovamente in acqua.
Un magistrato del villaggio riferì a Wagner che mentre pescava in mare aperto aveva osservato un ri salire in superficie e guardarlo da circa sei metri di distanza. Il suo volto ricordava quello di una scimmia, di cui l’uomo aveva visto alcune foto quando lavorava come poliziotto a Rabaul; l’uomo aggiunse di aver visto una volta un maschio e una femmina di ri che si accoppiavano nella risacca. Wagner fu informato che i ri possono essere mantenuti in vita fuori dall’acqua e che uno di essi era stato tenuto in cattività per diverse settimane nella “casa degli uomini”. Un ragazzino di dieci anni descrisse a Wagner il modo in cui una volta egli aveva osservato una fila composta da un maschio, una femmina e un giovane ri che risalivano a nuoto un corso d’acqua dolce al chiaro di luna. Per di più, spiegò che durante le vacanze di dicembre-gennaio, fra gli studenti era un passatempo comune immergersi in mare con la maschera per vedere di sfuggita qualche ri.

Wagner scoprì che le popolazioni che abitavano le isole di Lihir e Siar occasionalmente uccidevano ri per ricavarne cibo, e intervistò svariati uomini che erano stati presenti alla macellazione degli animali e si erano cibati della loro carne. Costoro commentarono che i ri hanno “una gran quantità di sangue, come un essere umano, e il loro grasso corporeo è giallo”. Quando Wagner chiese se nell’estremità inferiore del corpo degli animali fossero presenti ossa di gambe vestigiali, gli intervistati replicarono che la struttura scheletrica della coda era formata solo da un prolungamento della spina dorsale. Un’anziana femmina di ri catturata in una rete e gettata nel cassone di un autocarro “lanciò un grido di dolore quasi umano”; l’esemplare in questione e altri vennero macellati e la loro carne venne venduta presso i mercati di Namatanai.

Un rapporto sul campo di Roy Wagner et al.,(3) pubblicato nel volume due (1983) di Cryptozoology e recante il titolo “Further Investigations into the Biological and Cultural Affinities of the Ri”, descrive una spedizione scientifica nella Nuova Irlanda effettuata fra la metà di giugno e la metà di luglio del 1983 e capitanata da Wagner nel tentativo di stabilire se il fosse realmente un mammifero marino non classificato. Gli studiosi fecero ritorno a Namatanai allo scopo di ottenere ulteriori informazioni sui ri a suo tempo macellati e consumati come cibo, e individuarono un inserviente d’ospedale di formazione occidentale il quale era stato presente all’evento e dichiarò risolutamente che di certo l’animale non era un dugongo. La sua descrizione collimava con i precedenti rapporti, ma corredata dall’informazione supplementare che le braccia erano racchiuse o “fuse” nei fianchi del corpo, corpo peraltro di fattezze umane dotato di pelle liscia (assenza di squame) e di colore marrone chiaro.

Il capo del clan Nakela nel villaggio di Pire riferì al team che 40-50 anni prima era stata uccisa una madre ri, il cui piccolo era stato mantenuto in vita per un breve periodo, prima di morire anch’esso. Altri abitanti parlarono di ri che si addentravano nottetempo nei fiumi per pescare in acque bassissime. Dopo aver esplorato senza successo la Baia di Ramat, il team fu informato che presso il villaggio di Nokon, 50 miglia (80.5 chilometri) a sud, si avvistavano ri quasi quotidianamente.
Per il medesimo animale Il popolo Susurunga di Nokon usa il termine ilkai; lo descrissero dotato di tronco e testa di sembianze umane, con occhi disposti sulla parte anteriore; secondo le descrizioni la bocca era peculiare e sporgente. Le braccia erano “fuse” nei fianchi del corpo e le pseudo-mani fungevano da pinne. Le gambe erano fuse l’una con l’altra e, invece che con piedi, terminavano con pinne che provvedevano alla propulsione acquatica. Numerosi abitanti del villaggio riconoscevano che in realtà l’ilkai è “non uomo” ma “simile all’uomo”.

All’alba del 5 luglio 1983 alcuni componenti del team riuscirono ad avvistare l’ilkai mentre, a quanto pareva, pescava in acque poco profonde a 100 piedi (∼30.5 metri) di distanza dalla riva. Nuotò rapidamente per una ventina di minuti, frangendo la superficie con il dorso, di colore marrone chiaro e visivamente privo di pinna dorsale; si videro pesci balzare fuori dall’acqua per evitare la cattura. Quindi, secondo quanto osservato, l’animale si immerse ripetutamente in acque più profonde a 300-400 piedi (∼91-122 metri) di distanza dalla riva e appariva scuro e snello; emergeva ogni dieci minuti con un brusco dondolio, indicante un’estrema flessione verticale. Il team si avvicinò alla distanza di 50 piedi (∼15 metri) dall’ilkai e osservò che per un certo tempo l’animale teneva le estremità della coda, decisamente di mammifero, al di sopra della superficie; gli scattarono fotografie prima che si immergesse senza ricomparire.
I componenti della spedizione non effettuarono ulteriori osservazioni a Nokon o a Huris, sul lato opposto di Capo Matanatamberan, a sud-est della Baia Elizabeth, ma mentre stavano conducendo le ricerche ricevettero dalla popolazione del villaggio alcuni rapporti su avvistamenti di ilkai presso entrambe le località. Il 12 luglio due componenti del team osservarono il medesimo animale che dondolava in superficie in piena luce solare; sembrava di colore cangiante da marrone chiaro a verde chiaro. Non videro la testa della creatura in nessun momento.

Tutti gli esperti di mammiferi marini consultati dopo il rientro a casa del team concordarono sul fatto che l’animale risultava ignoto alla scienza. Gli zoologi trassero la conclusione che il rapido movimento dell’animale, la coerentemente estesa durata delle sue immersioni, la coerentemente estrema flessione verticale e il suo comportamento predatore escludeva la possibilità che si trattasse di una specie di delfino o dugongo priva di pinne.

Nel volume quattro (1985) di Cryptozoology è incluso un rapporto sul campo di Thomas R. Williams, dal titolo “Identification of the Ri through Further Fieldwork in New Ireland, Papua New Guinea”, (4) in cui è descritta la spedizione del febbraio 1985 condotta dall’autore e da altri dodici membri della Ecosophical Research Association a bordo del natante per immersioni TSMV Reef Explorer di 65 piedi (∼19.8 metri). Gli studiosi percorsero 1.000 miglia nautiche da Port Moresby alla Nuova Irlanda e, in occasione delle brevi visite ai villaggi lungo il tragitto, scoprirono che tutte le persone contattate sapevano dell’esistenza del ri o pishmary, come è più comunemente noto in pidgin. Diversamente dal dugongo dalle lente movenze, il ri veniva sempre descritto come un mammifero marino che nuota velocemente, dal corpo ragguardevolmente flessibile e dotato della capacità di rimanere sott’acqua per periodi assai prolungati.

 

La sirena atlantica

Ho reperito altre informazioni sulle sirene nel capitolo uno, “The Natural History of Mermaids", del libro di Richard Carrington del 1957, dal titolo Mermaids and Mastodons. (5) Il primo naturalista a descrivere nel dettaglio la sirena fu Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, comparsa nel primo secolo d.C. Nel diciassettesimo secolo l’esistenza delle sirene era generalmente considerato un fatto provato, in quanto si osservavano regolarmente sirene al largo della costa della Gran Bretagna e viaggiatori riferivano racconti a esse inerenti da numerose parti del mondo.

Esiste la descrizione di una sirena in A Discourse and Discovery of New-found-land (Londra, 1620) di Sir Richard Whitbourne, capitano di marina di Exmouth, Devonshire, il quale effettuò numerosi viaggi a Terranova:

Ora non trascurerò di riferire alcune cose a riguardo di una strana Creatura, che vidi per la prima volta in quel luogo nell’anno 1610, di primo mattino, mentre mi trovavo sul limitare dell’acqua, nel porto di Saint Johns, la quale nuotò lestamente verso di me e osservava sorridente, come fosse stata una donna: quanto a viso, occhi, naso, bocca, mento, orecchie, collo e fronte sembrava assai bella, e in quelle parti così ben proporzionata, dotata attorno alla testa di strisce blu, simili a capelli, fino al collo (me certamente non erano capelli), e tuttavia li vedevo lunghi… Nuotò verso il luogo [ove] prima ero sbarcato; quindi vidi le spalle e la schiena sino a metà del corpo, così allineata, bianca e liscia come quella di un uomo; e dalla metà sino alla parte posteriore del corpo si affusolava in proporzione come una grande freccia uncinata; dal collo e dalle spalle non riuscii a ben distinguere quanto fosse proporzionata nella parte anteriore; ma accadde poco dopo, a una barca nello stesso porto …e la medesima Creatura appoggiò ambedue le mani sulla fiancata della barca, e si sforzò di avvicinarsi a lui, e quindi ai tuffatori della stessa barca, i quali erano spaventati, e uno di loro la colpì forte sulla testa, al che ella si discostò da essi… Quella (presumo) era una Sirena…

Nel flemmatico e prosaico resoconto dei viaggi di Henry Hudson alla scoperta del Passaggio a nord-ovest, dal titolo “Divers Voyages, and Northerne Discoveries of…Master Henry Hudson” (in Purchas His Pilgrimes, Londra, 1625, vol. 3), vi è la descrizione di un episodio avvenuto vicino a Nova Zembla:

Questa mattina [15 giugno 1608] uno della nostra compagnia, guardando fuori bordo ha visto una sirena, e una volta chiamato qualche compare a vederla ne è giunto un altro, e a quel punto ella era arrivata vicino alla fiancata della nave, rimanendo a osservare gli uomini con assiduità. Poco dopo un maroso la ha rovesciata. Dall’ombelico in su la schiena e il seno erano come quelli di una donna, come affermano coloro che la hanno vista, ma il corpo era robusto come quello di uno di noi. La pelle era bianchissima, e lunghi capelli neri le scendevano sulle spalle. Mentre si immergeva le hanno scrutato la coda, simile a quella di una focena e maculata come quella di un maccarello…

In The Field Guide to Bigfoot, Yeti, and Other Mystery Primates Worldwide (1999), (6) Loren Coleman e Patrick Huyghe descrivono rapporti concernenti varie sirene nonché tritoni nell’Oceano Atlantico settentrionale e altri mari adiacenti (p. 94). Una sirena dai lunghi capelli verdi venne avvistata al largo della Scozia nord-orientale in data 12 gennaio 1809, mentre ulteriori avvistamenti ebbero luogo nel 1814 al largo della costa scozzese occidentale.

Nel 1820 l’American Journal of Science pubblicò uno stralcio del giornale di bordo della nave Leonidas che si trovava a ridosso della costa francese allorquando, nel maggio 1817, alle due di un pomeriggio l’equipaggio individuò un tritone in acqua.
Questo mammifero marino era lungo all’incirca cinque piedi, aveva una coda a punta ed era ricoperto di una corta peluria sino alla cima della testa. La schiena era marrone e il ventre bianco, e dalla vita in su somigliava a un essere umano. Il comandante in seconda Stevens descrisse la creatura come dotata di un volto bianco assai simile a quello di un umano, con capigliatura nera. Le braccia erano lunghe solo la metà di quelle di una persona e le mani sembravano umane. Secondo il giornale di bordo, l’equipaggio osservò il tritone nuotare avanti e indietro per sei ore, immergendosi sotto la nave e riemergendo, sporgendosi sino a due piedi sul pelo dell’acqua per rimirare l’equipaggio.

 

La sirena indonesiana

Anche Richard Carrington ha rimarcato nel suo libro che nei secoli diciassettesimo e diciottesimo la sirena veniva regolarmente avvistata presso le isole orientali dell’Indonesia, all’epoca note come Indie Orientali.

[Sopra: la sirena indonesiana (illustrazione di Harry Trumbore, tratta da The Field Guide to Bigfoot, Yeti, and Other Mystery Primates Worldwide di Coleman e Huyghe, p. 153)]

Nel libro dal titolo The Natural History of Amboina (Dordrecht e Amsterdam, 1724-26), il cappellano coloniale François Valentijn ha accluso una dettagliata descrizione di zee-menschen (uomini-marini) e zee-wyven (donne-marine), e ha documentato l’incontro con una sirena nei pressi di Amboina (Ambon):

Potrei affermare di sapere per certo che nell’anno 1652 o 1653 un tenente di vascello al servizio della Compagnia vide due di questi esseri nel golfo, vicino al villaggio di Hennetelo, nel distretto amministrativo di Amboina. Stavano nuotando affiancati, il che fece presumere al tenente che uno fosse un maschio e l’altro una femmina. Sei settimane dopo ricomparvero nel medesimo punto, erano di colore grigio verdastro, avevano la precisa forma di esseri umani dalla testa alla vita, provvisti di braccia e mani, ma i loro corpi risultavano via via affusolati.

Louis Renard, editore di Amsterdam, redasse il libro dal titolo Poissons, Ecrevisses et Crabes… (Pesci, Aragoste e Granchi…”, Amsterdam, 1718), comprendente il disegno di una sirena, per mano di Samuel Fallours, che reca la seguente didascalia (tradotta dal francese):

Un mostro simile a una sirena catturato al largo della costa del Borneo, nel distretto amministrativo di Amboina. Misurava 5 [piedi] e 9 pollici di lunghezza e in proporzione come un’anguilla. È sopravvissuto sulla terraferma per quattro giorni e sette ore all’interno di un barile pieno d’acqua. Di tanto in tanto emetteva sommessi versi, come quelli di un topo. Sebbene gli siano stati offerti piccoli pesci, molluschi, granchi, aragoste, etc., non ha mangiato. Dopo il decesso nel barile sono stati reperiti alcuni escrementi, come quelli di un gatto.

[Sopra: la sirena di Amboina (tratta dal The Natural History of Amboina di Valentijn riprodotta in Mermaids and Mastodons di Carrington, p. 11)]

Anche Coleman e Huyghe riferiscono della cattura di una sirena, avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, presso un’isola indonesiana situata fra Amboina e la costa settentrionale della Nuova Guinea (pp. 152-3). Rein Mellaart era di stanza sull’isola Morotai, la più settentrionale delle Isole Halmahera, e osservò la popolazione del villaggio tirare a riva una rete contenente uno straordinario animale marino che si dibatteva per fuggire.
Di lunghezza pari a circa due metri (sette piedi) e di coloro rosso-rosato, la parte anteriore era identica a quella di una donna; l’animale aveva un lungo naso appuntito, lunghi capelli e mani con quattro dita e due pollici. La parte posteriore appariva esattamente come quella di un delfino, provvista di pinna caudale biloba.
Quando Mellaart chiese ai nativi di cosa si trattasse, costoro replicarono: “Abbiamo catturato di nuovo una sirena”. Mellaart richiese che la lasciassero andare, ma essi si rifiutarono dicendogli “Non la uccideremo; morirà da sé”, mentre l’animale lottò una mezz’ora per fuggire e quindi iniziò a lamentarsi come un bambino. Mellaart corse a cercare i missionari allo scopo di indurre i nativi a liberare l’animale, ma al suo ritorno lo trovò morto.
I nativi spiegarono che gli esseri di quella specie si spostavano in gruppi, si nutrivano di pesce e di notte approdavano su spiagge remote per dormire; erano terribilmente spaventati dal contatto con gli umani e quando vedevano natanti avvicinarsi si immergevano a grande profondità.
I nativi li consideravano semplicemente un altro animale da catturare e di cui cibarsi. Rammentate che numerose popolazioni del Sud Pacifico erano dedite al cannibalismo sino a tempi relativamente recenti, quindi mangiare un mammifero marino dalle sembianze umane non sarebbe risultato granché differente dal mangiare membri della propria specie.

 

La sirena mediterranea

Verso la metà del 2009, dozzine di persone hanno riferito avvistamenti di sirene nelle vicinanze della città di Kirvat Yam, nei pressi di Haifa, Israele. Secondo Israel National News (12 agosto 2009) un testimone, tale Shlomo Cohen, ha così descritto quanto da lui osservato:

Mi trovavo con alcuni amici, quando all’improvviso abbiamo scorto una donna distesa sulla sabbia in una postura bizzarra. All’inizio ho pensato si trattasse dell’ennesima donna che prendeva il sole, ma quando ci siamo avvicinati si è tuffata in acqua ed è scomparsa. Siamo rimasti tutti sconvolti constatando che aveva la coda. Almeno cinque di noi la hanno vista e stentavamo a crederci.

Il consiglio comunale di Kirvat Yam offre un milione di dollari di ricompensa a chiunque sia in grado di dimostrare l’esistenza di una sirena mediterranea. Natti Zilberman, portavoce del consiglio, ha detto a Sky News (11 agosto 2009):

In molti, indipendenti gli uni dagli altri, ci riferiscono di essere sicuri di aver visto una sirena. Dicono che sia per metà ragazza, per metà pesce, e salta come un delfino. Compie ogni genere di evoluzioni, quindi scompare.

 

Le sirene sono ominini acquatici?

In base alle osservazioni delle sirene nel corso dei secoli, le descrizioni rivelano che forse è esistita, e magari esiste tuttora, una specie acquatica di ominine. Forse, come accaduto a noi stessi, tali esseri si sono evoluti da una specie analoga a uno scimpanzé che trascorreva gran parte del tempo in acqua alla ricerca di cibo, per poi adattare il proprio corpo a un modo di vivere interamente acquatico. D’altra parte, forse si tratta di un nostro parente assai prossimo, un vero e proprio essere umano acquatico evolutosi da umani semi-acquatici che hanno dato origine alla nostra specie.
Quantunque ciò possa apparire improbabile, va ricordato che gli oceani pullulano di mammiferi marini i cui progenitori erano specie terrestri adattatesi a un’esistenza marina.
I mammiferi marini sono specie a sangue caldo e le femmine allattano i loro piccoli. Alcune specie hanno trasformato il corpo peloso a quattro arti in un lucido corpo provvisto di pinna e di coda. Focene, delfini, balene e foche si sono tutte evolute da un carnivoro simile a un cane.
Le lontre marine si sono evolute da un animale simile a una donnola o a un furetto. Il dugongo e il lamantino si sono evoluti da un erbivoro simile a un elefante; tra l’altro una specie aveva le dimensioni di un elefante sino a quando, in tempi relativamente recenti, si è estinta in quanto preda di caccia.
Queste specie hanno perso in parte, in gran parte o del tutto l’originaria peluria esterna, sostituita da una pelle con uno strato sottocutaneo di grasso. Anche gli esseri umani dispongono di uno strato di grasso sottocutaneo, caratteristica unica fra i primati. Le popolazioni più numerose di esseri umani si trovano a ridosso delle coste dei mari o lungo le rive di fiumi e laghi. 
Fra le dita abbiamo ancora una lieve membrana interdigitale. La disposizione delle linee di peluria sul nostro corpo è esattamente simile al modo in cui l’acqua vi scorre sopra durante il bagno. 
Invece di un semplice paio di narici, come per gran parte degli altri primati, abbiamo un grande naso a forma di cappuccio. Immaginate cosa accadrebbe se una scimmia, antropomorfa o meno, provasse a immergersi o a nuotare sott’acqua; naturalmente l’acqua affluirebbe direttamente nelle narici. Ma se comparisse un’estensione a cappuccio per proteggere parzialmente le narici dall’acqua che scorre lungo la fronte e il volto allorquando ci si immerge o si nuota, il problema risulterebbe decisamente attenuato. L’unica altra specie di scimmia provvista di naso a cappuccio, ovvero la scimmia proboscidata del Borneo, è altresì l’unico altro primate semi-acquatico.

Di fatto gli esseri umani sono parzialmente acquatici; questo è il motivo per cui ci piace nuotare. L’originaria nicchia ecologica da noi scelta molto tempo addietro come ambiente  prediletto in cui vivere era l’acqua. Forse i nostri parenti viventi più prossimi nuotano tuttora in remote regioni circostanti le isole della Nuova Guinea e della Nuova Irlanda, nonché in altre località sparse nei vasti oceani del nostro pianeta.    ∞

Articolo pubblicato originariamente nel n. 88 di NEXUS New Times, ottobre – novembre 2010:


L’autore:

Gary Opit è un biologo e criptozoologo residente sulla costa settentrionale del Nuovo Galles del Sud, Australia. Dal 1997 tiene presso ABC Radio North Coast un programma radiofonico settimanale informativo su questioni inerenti alla natura allo stato selvatico.
Gary ha pubblicato vari articoli su NEXUS, fra cui  “Il mistero del Bunyip” (nr. 40).
Gary è autore di Understanding Humans, ETs & The Awakening of the Planetary Mind e di Australian Cryptozoology, ambedue contenenti informazioni riguardanti sirene e altre specie enigmatiche.
Per contattare Gary Opit, tramite posta ordinaria presso Post Office Box 383, Brunswick Heads, NSW 2483, Australia, via email presso [email protected].


Note

1. Tennent, J. Emerson, Sketches of the Natural History of Ceylon, Longmans, Londra, 1868 
2. Wagner, R., "The Ri: Unidentified Aquatic Animals of New Ireland, Papua New Guinea", Cryptozoology 1982; 1:33-39 
3. Wagner, R., J.R. Greenwell, G.J. Raymond e K. von Nieda, "Further Investigations into the Biological and Cultural Affinities of the Ri", Cryptozoology 1983; 2:113-125 
4. Williams, T.R., "Identification of the Ri through Further Fieldwork in New Ireland, Papua New Guinea", Cryptozoology 1985; 4:61-68 
5. Carrington, R., Mermaids and Mastodons: A Book of Natural and Unnatural History, Chatto & Windus, Londra, 1957, pp. 3-19 
6. Coleman, Loren e Patrick Huyghe, The Field Guide to Bigfoot, Yeti, and Other Mystery Primates Worldwide, Avon Books, New York, 1999


 

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