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Cos’è il Brain Project di Obama?

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Fonte immagine: megachip.globalist.it

Sarà qualcosa di analogo al “Progetto Genoma” e produrrà frutti altrettanto copiosi di quelli che inondarono la genetica e le borse valori dell’Occidente. In un campo, tuttavia, del tutto diverso. Si chiamerà infatti “Brain Project” (BRAIN, per semplicità, per Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies) e dovrà produrre un gigantesco balzo in avanti della conoscenza del funzionamento del cervello umano, consentendo di vedere da vicino, dall’interno, come l’individuo percepisce il mondo esterno e quell’altro mondo che gli è proprio, il luogo dove confluiscono i miliardi e miliardi di informazioni che vengono dai miliardi e miliardi di cellule del corpo umano. Che è – quest’ultima parte – all’incirca il 98% di tutta l’attività cerebrale.

Il BRAIN si propone di sapere da dove nascono – e come – pensieri, sensazioni, sentimenti, ricordi. Fin dove si spinge la coscienza, dove sconfina nell’inconscio. Anzi, di più, cos’è la coscienza. E dove si trova. Mai ci si era proposti un compito così immenso. Tanto che, con le idee e le tecnologie di ieri, lo si sarebbe definito, sic et simpliciter, impossibile.
Ma non finisce qui. Così sarebbe solo un esercizio calligrafico di bravura scientifica: qualcosa per confermare ancora una volta a noi stessi quanto siamo bravi a dominare la Natura, quanto siamo prometeici, quanto ci piacciono le sfide. No, nei tempi della fine dell’abbondanza, queste soddisfazioni costano – e possono rendere – assai. Non ci s’imbarca in un’avventura di queste dimensioni se non si pensa di poterne trarre un vantaggio. Tanti vantaggi. Il primo dei quali è immediatamente economico, sebbene ve ne siano molti, da sbandierare, e altri di cui è bene parlare sottovoce, almeno per il momento. Non è una corporation quella che si propone una tale cornucopia di obiettivi: è l’America in persona, quella che impugna la fiaccola della libertà. E’ lo Stato che ha dominato il XX secolo quello che rilancia la posta di una partita che non è più certo di poter vincere nel XXI. Certo, gli Stati Uniti, in quanto Stato, impersonano possenti interessi di dominio che non sono solo statuali. Ma sono questi interessi a dettare la rotta. Il BRAIN è il loro prolungamento. Forse un protrarsi fatale, vedremo.
Ma quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile. Qualcuno, assai bene informato, afferma che è già in fase di realizzazione, alla chetichella, da non poco tempo (James Martin, “The Meaning of the XXI Century“). Già decine di laboratori, negli Stati Uniti e altrove, sono impegnati a studiare il collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale. Cioè a trasferire capacità umane -come la visione, la comprensione dei linguaggi, gli stessi processi decisionali che caratterizzano il cervello umano – nelle “macchine di calcolo”. E viceversa.
Attenzione, perché il viceversa è proprio la novità del BRAIN: significa letteralmente trasferire nel cervello umano alcune delle capacità non umane di elaborazione di quantità sterminate di dati, e anche di trasferire almeno in parte, le velocità superumane di realizzazione di tali elaborazioni. E l’idea di stabilire una connessione tra due intelligenze qualitativamente diverse, inconfrontabili, ma che hanno elementi basilari di funzionamento comuni. Tra questi, in primo luogo, il linguaggio binario. E’ qui che la tecnologia è l’elemento determinante. Prima non c’era, adesso c’è. Cosa ne verrà fuori non lo sa nessuno. Ci affacciamo su un altro abisso inesplorato, guardando il quale, dal luogo in cui ci troviamo, si possono intravvedere ombre inquietanti. Tant’è che lo stesso Obama si è sentito in bisogno – annunciando il progetto – di informare il pubblico che verrà istituita una qualche “commissione etica” con l’incarico di studiare le ripercussioni che una tale esplorazione potrà implicare. Sappiamo che le commissioni etiche hanno scarse munizioni a disposizione contro i possenti interessi di cui stiamo parlando. Dunque cerchiamo di restare nel campo del realismo. I rischi sono enormi.

Il BRAIN è dunque una vera e propria “nuova frontiera”, destinata in ogni caso a proiettare Barack Obama nella rosa dei presidenti americani che hanno fatto la storia del futuro. Eppure, quando il lancio è stato effettuato, nel marzo 2013, il clamore, curiosamente, è stato contenuto in poche righe. Il che c’induce a dare un’occhiata più ravvicinata alla faccenda, che vada oltre le poche cose fino ad ora rese note, e anche ai primi 100 milioni di dollari stanziati per il 2014. Com’era da attendersi, gli obiettivi che sono stati messi in primo piano concernono le potenziali – per altro gigantesche – applicazioni mediche. Tutte buone. Potremo affrontare la cura dell’Alzheimer, insieme a tutte le innumerevoli malattie mentali che hanno afflitto l’Uomo nella storia, più quelle nuove, che affliggono l’uomo contemporaneo occidentale e che occupano molti dei suoi pensieri: schizofrenia, autismo e così via. Il BRAIN ci libererà dunque da molti mali. Come non applaudire? Di fronte a queste virtù taumaturgiche addizionali tutte le altre faccende passano in secondo piano. Le affronteremo quando si presenteranno concretamente. Perché fasciarci la testa in anticipo? E’ un procedimento obliterativo assai simile a quello che accompagnò la creazione della prima bomba atomica. I vantaggi erano lì, visibili, sottomano. Come non approfittarne? Il principio di precauzione venne dopo, quando già Hiroshima e Nagasaki – indubbi vantaggi dell’epoca – si erano realizzati e avevano cambiato la storia del mondo. E, come sappiamo, ancora oggi il principio di precauzione funziona assai poco e male. Basta pensare a Fukushima. Eppure si va avanti a tutto gas.
Quanto sia il gas che sta cominciando a bruciare per avviare il BRAIN lo si intuisce sfogliando l’elenco dei soggetti principali che lo faranno muovere. C’è tutto il Gotha del Potere, della scienza, della forza: agenzie federali, a cominciare da quelle militari; fondazioni private; corporations; università; interi teams di neuro-scienziati e di nano-scienziati, e – non c’era dubbio – il Pentagono in prima persona, essendo a tutti nota la sua sollecitudine verso non solo la salute mentale degli americani ma quella di tutti i sette miliardi d’individui del pianeta Terra. I primi indirizzi sono già stati indicati: Istituto Nazionale per la Salute (NHI), l’Agenzia della Difesa per i progetti avanzati di ricerca (DARPA), La Fondazione Nazionale della scienza (NSF), L’istituto di ricerche mediche Howard Hughes, l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il “dream team” che è stato formato per cominciare è guidato da Cori Bargmann dell’Università Rockfeller e da William Newsome, dell’Università di Stanford.

Dunque proviamo a riassumere i pregi del BRAIN: salute e prolungamento della vita umana, di quella attiva in particolare; sviluppo di numerose tecnologie del tutto nuove in diverse direzioni; investimento a grande potenziale di resa. Dalle cifre che si metteranno in campo si desume che potrebbe essere anche un rilancio in grande stile dell’economia americana. Non a caso si è parlato fin da subito di qualcosa di simile al decennale “Progetto Genoma” (HGP, Human Genome Project), che fu accompagnato da un investimento pubblico di circa $300 milioni annui. Che, moltiplicato per dieci, fa $ 3 miliardi. BRAIN andrà molto oltre. Secondo George M. Church, biologo molecolare già impegnato nell’HGP, già adesso cifre di quest’ordine di grandezza si spendono nello studio delle neuroscienze e delle nanotecnologie (International Herald Tribune [IHT], 18 febbraio 2013). Presumibilmente il BRAIN andrà ben oltre. Proviamo a moltiplicare per quattro, o cinque. In fondo Ben Bernanke tira fuori dal nulla circa 85 miliardi di dollari al mese. Nulla impedisce che si possa moltiplicare per cinque gl’investimenti in BRAIN, magari senza dirci niente. Lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha fatto un calcolo fantasmagorico: ogni dollaro investito nel HGP ne ha fruttato 140. Se il “Progetto Genoma” ha creato profitti per $800 miliardi, proviamo a immaginare cosa potrebbe significare, per l’economia USA, un BRAIN che potesse contare sull’attivazione di trilioni di $ di investimenti. Cifre che fanno sognare banchieri e politici, ancora più convinti che lo sviluppo possa continuare a essere “infinito”, nella realtà come lo è nelle loro teste. Il campo di sfruttamento più redditizio sarà quello dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello: territorio di ripopolamento dove si troveranno miliardi di limoni da spremere, costi quello che costi.
Mappare il cervello: lo si può fare oggi, senza aprirlo. Analogia con l’immensità degli spazi cosmici. Siamo oggi in grado di conoscere la composizione chimica di una stella distante 100 anni luce, o di un satellite di Giove, senza esserci mai andati. Addirittura senza avere neppure la speranza che qualcuno possa mai andarci, nei secoli dei secoli. Lo sappiamo dall’analisi spettroscopica. Oggi la biologia sintetica ci consente di entrare nel cervello con intere flotte di nano-astronavi capaci di raccogliere (e trasmettere all’esterno) l’attività delle cellule neuronali.
Tutto bene, tutto meraviglioso. Ma viene alla mente quello che scriveva Edgar Morin, nei “Sette Saperi”:

“la genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gl’indottrinamenti e le propagande sulla specie umana”.

Come ci insegna Edward Snowden (ma quanti se ne sono resi conto?), chi è in grado di spiare nei segreti (in questo caso della natura), è anche in condizioni di controllare i comportamenti (in questo caso dell’Uomo). Scriveva John Markoff, autore dell’articolo già citato di IHT – ma solo nelle ultime cinque righe – che

“gli scienziati individuano un insieme di complessi temi etici, che includono la privacy, la possibilità di leggere i pensieri e perfino una cosa che oggi riguarda la fantascienza, cioè il controllo delle menti”.

Si sbagliava. Già oggi decine di centri di ricerca sono impegnati – scriveva ancora IHT il 5 aprile 2013 (Clair Cain Miller) “a leggere nelle nostre menti”, per sapere in anticipo cosa desidereremo, come possiamo comprare, dove andremo, come ci comporteremo. Lo fanno con l’intelligenza artificiale, con i motori di ricerca. Ora proviamo a immaginare un cervello artificiale che copia perfettamente un cervello umano. E poi proviamo a immaginare di poter mettere in relazione, via wifi, i due “strumenti”. E avremo un altro Uomo. Ci siamo già. E quest’uomo non ci sarà amico, perché sarà o pazzo o smisuratamente più forte di noi. L’unica cosa certa è che non sarà nessuno di noi.

Immagino gli entusiasmi degli “scienziati ebeti” che sono stati formati per credere ciecamente nel risultato immediato di ciò che creano, ma che sono incapaci di vederne le ripercussioni. E capiremo che siamo nelle dirette vicinanze del “sogno di Frankenstein”.
Immagino anche gli entusiasmi degli adoratori della Rete: che bello averla direttamente connessa con il proprio cervello! Che meraviglia dilatare istantaneamente il proprio sguardo a tutto YouTube!
Dato il livello culturale e intellettuale medio dei “cittadini di Matrix”, cioè dei cittadini del Mercato, cioè ancora degli “scienziati ebeti”, e dei non meno ebeti economisti, si può scommettere che non esiteranno ad applaudire ogni aggeggio che porti vantaggio economico. Gli diranno che è utile alla salute, o alla tasca, farsi mettere qualche capsula da qualche parte. O farsi fare una “benefica” vaccinazione. Sarà una centrale trasmittente e ricevente, ma che importa ai cittadini di Google?

Ultima avvertenza, speciale per i più ottimisti: stiamo parlando non di un futuro remoto. Il BRAIN ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente. Ma tutto questo è in via di realizzazione in un contesto “disturbante”, “quando non esiste nessuna certezza riguardo chi utilizzerà questi strumenti; quando nessuno può prevedere gli effetti di medio e lungo periodo; quando il tutto si realizza in condizioni di laceranti squilibri di ricchezza, di reddito, di forza e di potere tra aree del mondo, tra Stati, popoli, civiltà, culture. Saranno i più ricchi, e i meglio armati, ad avere nelle mani strumenti che verranno usati per accrescere il loro dominio sugli altri. Il tutto in condizioni di impressionanti sperequazioni sociali e di penuria assoluta di beni. E non dimentichiamo che gli apprendisti stregoni sono i “Masters of the Universe”, cioè la scimmia al comando. Prepariamoci all’atterraggio.

Fonte: ilfattoquotidiano.it


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