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Google sta aiutando Hillary Clinton?

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Roma, 14 giu – Google, il motore di ricerca più importante al mondo, è finito sotto accusa per presunti aiuti a Hillary Clinton. Il portale avrebbe manipolato il proprio algoritmo di ricerca in modo da occultare risultati negativi per la candidata democratica ed evidenziare quelli positivi. L’accusa arriva dal sito d’informazione SourceFed, il quale ha pubblicato un video in cui prende di mira, in particolare, la funzione di “completamento automatico” di Google, che presenterebbe sospettose differenze rispetto alle analoghe funzioni di altri motori di ricerca, come Bing e Yahoo.

Analizzando i comportamenti dei tre portali citati, SourceFed ha infatti rilevato che, digitando la stessa parola chiave per cercare news sulla Clinton, il completamento automatico di Google era l’unico a discostarsi dagli altri. Digitando ad esempio “Hillary Clinton cri”, sia Bing che Yahoo completavano la frase con “Hillary Clinton crime accusation”, mentre Google deviava su “Hillary Clinton crime reform”, “Hillary Clinton crime Bill” e “Hillary Clinton crisis”. Questo avverrebbe – sempre secondo il sito accusatore – in modo artificioso, perché Google non rispetterebbe la concordanza con i trend sulle ricerche esplicite (cioè quando viene scritto per intero l’oggetto della ricerca sul motore). Tradotto: la maggior parte delle ricerche sulla Clinton riguarderebbero i crimini da lei commessi, e la funzione di completamento automatico del motore di ricerca si dovrebbe accordare a questo dato. Bing e Yahoo lo fanno, Google no e la causa sarebbe una manipolazione dell’algoritmo, delle ‘regole del gioco’.
 

Il motore di ricerca americano non ha tardato a rispondere. Davanti alla marea montante di dubbi, domande e accuse ha deciso di affidare la replica ad un comunicato sul Washington Post:

Il completamento automatico di Google non favorisce alcun candidato o causa politica. Ci teniamo a chiarire quello che è un semplice fraintendimento rispetto a come la funzione opera. Il nostro algoritmo tende ad escludere dalle ricerche quelle parole che in qualche modo siano da ritenersi offensive o lesive se associate ad un nome di persona. Più in generale, le previsioni nell’autocompletamento sono prodotte sulla base di una serie di fattori inclusa la popolarità dei termini di ricerca.

L’algoritmo di Google pertanto peccherebbe solo di garantismo, sacrificando la popolarità dei termini di ricerca alla tutela del buon nome della persona oggetto di ricerca. Polemica chiusa? Non proprio. La replica è arrivata da altri portali, che hanno evidenziato come ulteriori ricerche ‘scomode’ sulla Clinton vengano cassate in nome di qualcosa di più e di diverso rispetto alla tutela del buon nome della persona cercata. Anche se imboccato, l’autocompletamento di Google evita infatti di legare la Clinton allo scandalo Whitewater, alla sua posizione sui matrimoni gay, fino ad arrivare a Monica Lewinsky. Ci si chiede insomma se ad essere sacrificato non sia in realtà il diritto di cronaca, e la certezza delle regole dei motori di ricerca, osservati speciali proprio perché in grado di orientare l’opinione pubblica e la massa dei consumatori. L’algoritmo dietro cui si nascondono i guru digitali infatti non ha origine divina ma umana, e già in passato è stato accusato di essere penetrabile da istanze commerciali e poco nobili. È ora la volta delle penetrazioni politiche?


Articolo tratto da Il Primato Nazionale

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