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Il linguaggio del cambiamento

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In attesa di apprezzare di persona l'intervento di Roberto Bondavalli all'evento "Vivere la Felicità" in programma Domenica 21 settembre nella splendida cornice di Arquà Petrarca, proponiamo un suo interessante articolo sulla natura del cambiamento e la potenza del linguaggio.


Saranno almeno 20 anni che parlo, scrivo e mi occupo di comunicazione e linguaggio. Ogni volta che mi accingo a produrre qualcosa di nuovo, cerco sempre una qualche forma stilistica o concetto originale. I Maestri a cui faccio riferimento sono del resto una fonte inesauribile di creatività ed ingegno. Uno di questi Paul Watzlawick, di cui mi onoro di essere stato amico, così inizia un suo libro che porta lo stesso titolo di questo articolo:

“Si possono liberare i bambini dalle verruche, ‘comprandogliele’. In pratica succede così, che si dà al bambino una moneta per la sua verruca, acquisendo in questo modo un diritto di proprietà su di essa. Per lo più il bambino, divertito o sorpreso, chiede come farà adesso la verruca ad andarsene, al che si può rispondere tranquillamente che lui non si deve preoccupare, presto la verruca andrà da sé al compratore”.

Quando lessi per la prima volta questa storia fui molto sorpreso dalle affermazioni fatte e volli provare con il primo piccolo psicopaziente dotato di verruche che capitò nel mio studio. Con meraviglia dovetti constatare che nonostante non esistesse alcuna spiegazione scientifica del fatto, sulla base di una semplice comunicazione verbale, dal contenuto del tutto assurdo, si generò un fatto concreto. I vasi sanguigni che portano nutrimento a questa escrescenza di origine virale si restringono ed il tessuto si dissecca per mancanza di ossigeno. In pratica (e ciò costituisce ancora per me meraviglia) l’impiego di una comunicazione interpersonale calibrata porta non solo a cambiamenti di atteggiamenti o opinioni ma addirittura a cambiamenti fisici.

Come le circostanze della vita lavorativa, familiare, sociale, politica, professionale, affettiva, inducano cambiamenti negli individui è cosa ampiamente conosciuta. Come possa indurre cambiamenti la comunicazione interpersonale, il linguaggio verbale, non è cosa altrettanto nota. Vediamo di svelarne qualche meccanismo.
Si distinguono didatticamente quattro tipi di linguaggio in base alla finalità che si propongono:

1. Linguaggio di precisione. Ha lo scopo di definire con estrema accuratezza ciò che va descrivendo. Utilizza un vocabolario tecnico, comprensibile da chi condivide gli stessi significati attribuiti ai vocaboli scelti.

2. Linguaggio di chiarezza. Definisce in modo comprensibile i significati di quanto si va descrivendo, anche a coloro che non posseggono necessariamente un vocabolario tecnico. Dunque se per esempio parlo di strati geologici che si sovrappongono, uso un linguaggio preciso; se parlo di montagne, uso un linguaggio chiaro.

3. Linguaggio di persuasione. Descrive la propria realtà con l’intenzione di farla diventare la realtà dell’interlocutore. Utilizza strategie verbali e non verbali per rendere convincente il proprio punto di vista.

4. Linguaggio di manipolazione. Costringe l’interlocutore ad accettare la propria realtà, senza possibilità di scelta.

Del linguaggio di precisione e di chiarezza non ci occupiamo in questa sede. Sono tipi di linguaggio che talora impropriamente vengono utilizzati per il cambiamento. È esperienza comune che un’opinione ben espressa, logica e piena di buon senso, non ha mai fatto cambiare parere o comportamento a nessuno. Il linguaggio di persuasione è quello adatto al cambiamento di: (in ordine) opinioni, atteggiamenti interni, emozioni, atteggiamenti esterni, comportamenti; e di questo ci occupiamo. Non consideriamo molto importante il linguaggio di manipolazione, in grado di ottenere sì dei risultati, ma di brevissima durata, senza il reale consenso dell’interlocutore. È un linguaggio che non consente di ottenere obiettivi duraturi ed a medio e lungo termine; non è molto utile (se non per turlupinare) e diciamo è poco ‘ecologico’.
Ci sono due modalità per comunicare un messaggio. Il primo modo è legato al significato che si vuole trasmettere e viene chiamato digitale. Così se dico la parola ‘tavolo’, tutti quelli che condividono lo stesso vocabolario vi attribuiscono lo stesso significato. Il secondo modo è legato alle sensazioni, alle emozioni trasmesse (talora neppure consapevolmente) e viene chiamato analogico. Se mentre pronuncio la parola ‘tavolo’ tamburello con le dita sul medesimo (o vi batto il palmo della mano, o lo dico con un’inflessione partenopea), veicolo altri significati non chiari come la parola è in grado di evocare, ma altrettanto importanti. L’aspetto analogico della comunicazione non fornisce un significato preciso ed univoco, ma suggerisce una sensazione, uno stato d’animo, un alone di significati.

Il nostro cervello possiede due emisferi con funzioni diverse. L’emisfero dominante (il sinistro per chi usa la mano destra; il contrario per i mancini) è preposto alla comprensione del contenuto digitale della comunicazione. È quella parte del nostro cervello che fa i ragionamenti logici, matematici. L’emisfero non dominante (il destro per chi usa la mano destra) è preposto all’apprezzamento dell’arte, della bellezza, dei sentimenti, delle emozioni. Le persone cambiano parere e comportamento sull’attivazione di questa parte del nostro cervello. In pratica finché non sentiamo le cose in un certo modo, non si cambia.
La prima considerazione interessante è che l’aspetto più persuasivo del linguaggio è legato proprio a quella modalità più sfuggente e di difficile gestione che è l’aspetto non verbale, analogico come l’abbiamo definito. Anche quando un buon ragionamento ottiene effetti di modificazione di opinioni, è solo grazie al fatto che le argomentazioni sono piaciute, hanno cioè prodotto un’emozione.

Facciamo qualche esempio. Mi si permetta di trarlo dal mondo della consulenza individuale e non dell’azienda. Le dinamiche sono identiche, con la differenza che i cambiamenti individuali sono sempre molto più difficili, quindi più significativi. Nessuno è mai cambiato perché sa e conosce. Vi racconto una storia interessante tratta dall’esperienza di R. Bandler e J. Grinder. Una ragazza durante un loro seminario sulla Programmazione Neurolinguistica, chiede di parlare. Spiega ai due relatori che ha un problema molto serio e limitante: non riesce a dir mai di no. La cosa è veramente preoccupante perché non può sottrarsi alle richieste anche le più imbarazzanti (tra l’altro è una bella ragazza) sia personali che economiche (con preoccupanti risvolti sessuali). Racconta che conosce benissimo l’origine il problema. Quando aveva cinque anni (vent’anni prima) viveva in una fattoria. La mamma dovette assentarsi per una commissione e le raccomandò di non andare a giocare in giardino perché doveva assistere il papà che era a letto ammalato. La bimba disubbidì e andò a giocare. Sventuratamente il padre proprio mentre lei era fuori casa morì d’infarto. Lo shock da quel momento fu tale, che al timore che un suo rifiuto potesse produrre effetti tanto tragici, non poté più dir di no a nessuno. La ragazza aveva una conoscenza perfetta sulle origini storiche del suo problema. Ma dall’età di 12 anni i due diversi analisti che la ebbero in cura, nonostante tutte le complesse spiegazioni sui rapporti conflittuali con le diverse figure genitoriali non sortirono nessun risultato. I due relatori, ascoltato attentamente il racconto, si rivolsero agli altri corsisti presenti e dissero:

“Vorremmo da voi tutti che formulaste una richiesta personale alla vostra compagna. E tu (rivolgendosi alla ragazza) che andassi da ciascuno dei presenti, che ti facessi dire che cosa vogliono da te, e non appena l’avrai udito dovrai rispondere con un secco NO!” 

Al che la ragazza rispose: “Forse non avete capito, ma questo è il mio problema, io non posso dire di no.” Al che ancora più incalzanti :”Tu adesso vai da loro e dì loro di NO!” Rispose irritata: “NO, non posso dir di no.” Dopo poco si accorse che stava dicendo di NO ai due docenti. Era la prima volta che lo faceva da vent’anni a quella parte. In realtà Bandler e Grinder la misero in una posizione chiamata di doppio legame, in pratica una forma linguistica che non lascia scampo. La ragazza della storia non aveva via d’uscita, non poteva fare altro che dire di no a qualcuno: o ai docenti o ai compagni di corso. Elegantissimo esempio di linguaggio orientato ad un cambiamento in tempi brevi. L’esperienza emozionale correttiva (così come viene definita) della ragazza fu sufficiente per risolvere completamente e definitivamente il problema.

Altro esempio. Quante volte imprenditori capacissimi si lamentano di non potersi fidare dei propri collaboratori e di essere continuamente costretti a farsi carico di parte del loro lavoro, poiché questi non appaiono in grado di assumersi alcuna responsabilità. Il caso è da manuale: più il capo si sostituisce ai propri collaboratori e non delega, più questi si disinteressano al lavoro e finiscono per impegnarsi sempre meno, confermando al superiore di non essere affidabili. Di solito dico:

“Vorrei che lei pensasse che ogniqualvolta aiuta e si sostituisce ai suoi collaboratori, in realtà trasmette loro contemporaneamente due messaggi. Il primo, che è il più evidente, è: ‘Vi aiuto perché tengo a voi e siamo una squadra’. Il secondo, non dichiarato ma più sottile e forte, è: ‘Vi aiuto perché da soli non siete in grado di farcela’. A lungo andare, il secondo di questi messaggi contribuisce non solo a mantenere il problema immutato, ma lo fa peggiorare, perché i suoi collaboratori si convinceranno sempre più di non avere sufficiente capacità per svolgere da soli il proprio lavoro e finiranno per produrre sempre meno. Certo, non le sto chiedendo di delegare completamente ai suoi collaboratori e di smettere di aiutarli, perché è evidente che ora non sono in grado di andare avanti da soli e so che lei ha anche degli obblighi verso i suoi clienti. Vorrei semplicemente che pensasse che ogniqualvolta si sostituisce a loro e si assume lei tutta la responsabilità, contribuisce non solo a mantenere, ma a far aggravare la situazione della sua azienda.”

Di fronte a questa ristrutturazione (in pratica i fatti non cambiano, ma la loro interpretazione sì), generalmente, la persona inizia in maniera spontanea un processo di cambiamento nella direzione di una maggior capacità di delegare, sulla scia della paura di un possibile peggioramento della situazione.
Il doppio legame del primo esempio, la ristrutturazione del secondo, sono solo alcune delle tecniche di persuasione. Accenno brevemente alle tecniche del paradosso, alle alternative illusorie, all’utilizzo della resistenza, alla tecnica della confusione ed all’uso di metafore.
È affascinante vedere come in fondo chi cambia le persone sono le altre persone, chi cambia le opinioni sono le altre opinioni, chi cambia i comportamenti sono gli altri comportamenti.
1900 anni fa Epitteto diceva: “Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che abbiamo di quelle cose”. Karl Popper a distanza di 19 secoli sembra commentare: “La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza non può che essere, di necessità, infinita”.

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