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STELLE, STRISCE E SPINE NEL FIANCO di Massimo Fini

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Manipolazione della storia e delle menti

La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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pericolo "catastrofico" per l’Occidente, non
c’è traccia.


In Italia, benché il nostro Paese abbia aderito alla guerra proprio
sulla base di quella minaccia, rivelatasi inesistente, la cosa non
sembra creare alcun imbarazzo al governo nè suscitare interesse nei
media.


Negli Stati Uniti è diverso. Il Congresso rumoreggia e qualche giorno
fa il New York Times, che spero nessuno vorrà annoverare fra i giornali
comunisti, ha concluso un lungo articolo affermando che «l’assenza di
un arsenale non convenzionale iracheno è il peggior scandalo della
storia politica americana». Perché per gli americani la cosa è così
grave? Perché significa che George W. Bush ha mentito al Paese,
inventandosi la storia delle «armi di distruzione di massa» per
convincere l’opinione pubblica della necessità della guerra. E negli
Stati Uniti, Paese criticabile per molti aspetti ma che ha alcune regole
precise, inderogabili, la menzogna non è ammessa, è considerata un
atto gravissimo perché rompe il rapporto di fiducia. E lo stesso
avviene in Gran Bretagna dove, secondo un recente sondaggio, più di un
terzo degli inglesi non ha più fiducia in Tony Blair perché, come Bush,
ha mentito su una questione così determinante.


A scuotere l’opinione pubblica anglosassone c’è probabilmente anche il
fatto che la spedizione in Iraq si sta rivelando, come quella in
Afghanistan, fallimentare. Quelli che erano stati presentati
trionfalmente come "i liberatori" sono costretti a mostrarsi,
ogni giorno che passa, per ciò che realmente sono e che nessun
esercizio linguistico può cambiare: degli occupanti e degli oppressori.
Se qualcuno, all’inizio, aveva forse cullato qualche illusione adesso se
l’è tolta. In Iraq gli americani li odiano tutti. Non solo, com’è
ovvio, i seguaci di Saddam Hussein, i baathisti, che rappresentano
comunque un terzo del Paese, ma anche gli sciiti che essendo la
stragrande maggioranza aspirano legittimamente a una Repubblica islamica
e sanno che ciò non sarà possibile, nemmeno col voto; perché per gli
occidentali – Algeria insegna – le elezioni sono valide solo se
risultano a loro favore. E soprattutto li odia la popolazione per le
continue stragi in cui van di mezzo i civili. In Iraq la gente dice: «gli
americani sparano a casaccio». E il risentimento non fa che aumentare.


In Afghanistan le cose non vanno meglio. Se la situazione è
apparentemente più tranquilla è solo perché il governo del "Quisling"
Karzai e le truppe di occupazione si accontentano di controllare, e a
malapena, Kabul e qualche altra città, mentre in tutto il resto del
Paese il potere è tornato nelle mani dei capi tribali. Se i nostri
alpini , acquartierati nelle vicinanze del villaggio di Khost, non sono
stati finora toccati è perché, secondo nostre antiche abitudini, hanno
stretto accordi sottobanco con i capi locali: costoro li lasciano in
pace e in cambio noi non controlliamo nulla.


Ma nonostante in Iraq e in Afghanistan gli Stati Uniti camminino sulle
uova, George "dabliù" Bush non demorde nel suo programma di
egemonia planetaria. Il prossimo obbiettivo, con tutta evidenza, è
l’Iran. Sono cominciate nei confronti di Teheran le solite accuse di
volersi munire di armi nucleari (perché poi l’Iran o qualsiasi altro
Paese della regione non dovrebbe avere ciò che Israele ha è una cosa
che, prima o poi, ci dovranno pure spiegare) e le consuete richieste di
ispezioni. Nel contempo l’America, attraverso una nutrita serie di tv
satellitari che trasmettono da Los Angeles, soffia sul fuoco del
malcontento di parte degli studenti iraniani (che poi non sono che i
rappresentanti di quella borghesia, assolutamente minoritaria nel Paese,
circa un 2\%, che era al potere con lo Scià), sperando di provocare una
guerra civile in Persia. La sinistra italiana, con un pavloviano
riflesso sessantottesco e giovanilista, sostiene la protesta degli
studenti. E, ottusa e rigida com’è sempre stata, non si accorge di fare
con ciò il gioco degli odiati yankee.

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