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UNA CULTURA DI POTERE di Mauro Quagliati

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Certo, da un General
Manager
ci si aspetta logicamente un’opinione


liberale e liberista, e su
Nexus
giustamente c’è spazio per tutte le idee.


Che
l’Italia abbia perso molti treni negli ultimi 40 anni, a causa del fatto


che
è governata da una classe politica di malfattori, mafiosi,
nepotisti,

tangentisti
e lobbisti (in una parola neo-coloniale), incapaci di vedere al

di
là del proprio naso è giusto ribadirlo. Che questa sia
l’eredità della

cultura
borbonica-mediterranea, lo dubito fortemente rimembrando, così a


spanne,
che le “Polis” della Magna Grecia erano in Sicilia e che all’epoca


dell’unificazione
era il Regno dei Borboni a detenere il primato nella

penisola
dal punto di vista del benessere e della produttività dei


cittadini.
Se proprio vogliamo trovare una causa storica del fatto che

l’Italia
è il paese della burocrazia e della malversazione, va cercata, se


mai,
nella sua origine savoiarda. E considerato che i regnanti piemontesi


erano
imparentati con i francesi (illuministi e iniziatori della moderna


democrazia
parlamentare) e che dal secondo dopoguerra siamo diventati

colonia
degli Usa, sembra proprio che l’Italia rappresenti un vero

fallimento
della strategia di imporre “con le buone o con le cattive” una

mentalità
democratica ateniese-anglo-americana.


Il
modello della Polis ateniese, comunque, può esistere solo se si
esercita

la
democrazia diretta, con assemblee pubbliche alle quali la cittadinanza
è

chiamata
a partecipare. Che la municipalità di Seattle sia un esempio di


democrazia
partecipativa migliore dei nostri comuni è molto probabile. Che


il
merito di ciò risieda nella sua fondazione anglosassone, non
è detto,

altrimenti
non si spiegherebbe perché gli USA siano una pessima democrazia


rappresentativa
(con il primato di astensionismo tra i paesi

industrializzati)
che si preoccupa di imbarcarsi in guerre autolesioniste e

contrarie
alla volontà popolare, fatte ad hoc per occupare pozzi di
petrolio

che
potrebbero essere resi obsoleti dall’applicazione su vasta scala del


Dual-Bus
che tanto piacque ai cittadini di Seattle.


Quindi
c’è anche un problema di scala. Alle dimensioni della nazione


l’esercizio
della democrazia si limita al rito delle elezioni periodiche,

attraverso
cui vengono legittimati al potere dei personaggi scelti dalle

oligarchie,
che andranno a fare un mestiere oscuro e lontano dal controllo

puntuale
dei loro elettori, che dovranno subire le conseguenze delle

decisioni
veramente importanti, prese da eminenze grigie, su cui nemmeno i


politici
hanno il controllo. La “Democrazia” altro non è che il potere


dell’oligarchia,
gestito attraverso una serie di procedure che fanno

sembrare
che i cittadini siano parte in causa (un modo per “metterlo nel

culo
alla gente con il loro consenso” – leggasi “Sudditi” di M.Fini). E


naturalmente
gli USA sono il non plus-ultra dell’ipocrisia di questo potere

democratico,
basta vedere la composizione dell’attuale entourage della Casa

Bianca:
tutta gente che sta sul libro paga di aziende che curano interessi


ben
precisi e non certo quelli dei cittadini.


E’
giusto poi non ammazzare i piccoli imprenditori, ma spero che per


liberalizzare
l’impresa e gli incentivi ai neo-imprenditori che aprono

un’attività
non sia per forza necessario distruggere il Welfare come ha

fatto
la Tatcher negli anni ’80 (molti in UK ringraziano ancora oggi). Tra


la
via “burocratica” e la via del “Laissez-faire” totale ci sarà
una terza

via?

E
anche la distinzione generalizzata tra ex-colonie borboniche ed
ex-colonie

anglofone,
secondo me non regge affatto. USA, Canada e Australia non sono

ex-colonie;
sono luoghi in cui l’uomo bianco europeo è andato ad abitare


stabilmente,
prendendo il posto di chi vi abitava prima. Quindi non è che la


cultura
“democratica” ha attecchito meglio che negli altri luoghi,

semplicemente
in quei luoghi l’Europa si è replicata, sterminando

preventivamente
coloro che occupavano spazio “improduttivamente” (pellirossa

e
Inuit nordamericani, aborigeni australiani). Mostrando quindi il vero


volto
razzista che sottende la democrazia “neo-ateniese” moderna (in questo


aspetto
somigliante a quella dell’antica Grecia, a cui accedevano i pochi, i


cittadini
liberi, e da cui era esclusa la massa degli schiavi).

Dove
invece gli autoctoni sono rimasti la maggioranza etnica della

popolazione,
governati dalla classe dirigente europea (Africa, est asiatico)

oppure
dove i colonizzatori si sono mescolati
con gli indigeni (tipicamente

nei
domini spagnoli e portoghesi in Sudamerica), lì abbiamo il Terzo
Mondo.


Additare
l’India come esempio di paese dallo sviluppo economico molto alto e


partecipazione
dei cittadini molto intensa, lo trovo fuori luogo (al

contrario
si tratta del migliore esempio di catastrofe umanitaria che il

colonialismo
inglese sia riuscito a compiere in una civiltà estremamente


popolosa).
E
anche infierire sul Brasile e l’Argentina (e il Cile?) mi pare scortese.


Se
questi saltano da una dittatura all’altra è colpa della cultura


post-spagnola?
O non è forse colpa dei loro invadenti vicini di casa?

L’America
Latina è il continente ex-colonia che più di tutti ha
cercato

nella
partecipazione dal basso le motivazioni per costruire dei governi


indipendenti,
i quali, quelle poche volte che sono arrivati al potere sono

stati
scalzati con il decisivo aiuto di forze esterne che hanno rimesso le


cose
a posto. I guerriglieri della CIA o i ricatti del FMI, si sono

prodigati
per affermare in Sudamerica tutto fuorché la democrazia della


Magna
Charta.


In
ultima analisi volendo generalizzare – scorrettamente – il destino delle


ex-colonie
nel mondo, a me viene da distinguere i paesi abitati da autoctoni


e
meticci da quelli abitati da bianchi e autoctoni ma governati sempre e


comunque
dall’elite WASP.

I
rivolgimenti dell’ultimo secolo, per esempio, hanno permesso all’India e


al
Sudafrica di passare dal secondo gruppo al primo, non certo in
virtù di

una
mentalità inculcata dalla democrazia nordeuropea, ma a forza di
calci in

culo
e grazie a congiunture internazionali favorevoli. E ci vorranno molti


decenni
per risolvere i secolari problemi di quei paesi.

La
sola eccezione a questo panorama risulta il Giappone, peculiare mix di


democrazia
moderna, efficiente e autoritaria, popolato e governato da

autoctoni,
che vivono da un secolo secondo la ricetta del modello

occidentale
(importata volenti o nolenti).

L’unica
massima che possiamo quindi evincere dalla storia è che la
cultura

di
potere mercantile-capitalista è risultata vincente. Questa
impostazione

ha
prodotto, nei paesi dei padroni, la democrazia; nei paesi degli schiavi,

la
servitù
e l’instabilità sociale.

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