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Il mistero intorno alla morte di Rino Gaetano

La notte del 2 giugno 1981, un’auto si schiantò contro un camion in via Nomentana a Roma, portando via la vita di Salvatore Antonio Gaetano, per tutti Rino. Aveva solo trent’anni. Quello che a prima vista sembrò un tragico e banale incidente stradale si trasformò presto in uno degli enigmi più dolorosi e persistenti della storia della musica italiana. La morte del cantautore, schivo e geniale, è stata per anni avvolta da un’inquietante aura di mistero, alimentata non solo da un’incredibile catena di sfortunati eventi, ma anche dalla sua stessa musica.

La profezia nella canzone “La ballata di Renzo”

La leggenda di Rino Gaetano come “profeta” della sua stessa fine trova le sue radici in un brano che scrisse dieci anni prima della sua morte: “La ballata di Renzo”. In questa canzone, rimasta inedita per molto tempo, un uomo di nome Renzo muore in circostanze drammaticamente simili a quelle che avrebbero segnato la fine del cantautore.

Il testo recita:

“La strada era buia, s’andò al San Camillo
e lì non l’accettarono forse per l’orario,
si pregò tutti i santi ma s’andò al San Giovanni
e lì non lo vollero per lo sciopero.
S’andò al Policlinico
ma lo respinsero perché mancava il vice capo.”

Una sequenza che si rivelò profetica. Dopo l’incidente, Rino, in coma, venne trasportato al Policlinico Umberto I. I medici accertarono la necessità di un’operazione d’urgenza al cranio, ma la struttura non era attrezzata. Iniziò così una frenetica corsa contro il tempo: il medico di turno, il dottor Novelli, contattò una lunga lista di ospedali romani (San Giovanni, San Camillo, CTO della Garbatella, Policlinico Gemelli, San Filippo Neri), ma tutti, per vari motivi, negarono il ricovero. Tre di questi, il San Camillo, il San Giovanni e il Policlinico, sono gli stessi citati nel brano. Alla fine, Rino fu portato al Gemelli, ma per lui non c’era più nulla da fare. Morì alle sei del mattino. L’inquietante parallelismo tra la canzone e l’accaduto portò a un’inchiesta giudiziaria e a un’interrogazione parlamentare, ma il caso si spense lentamente nel nulla.

Il grande amore e l’incompiuto progetto di vita

La tragedia interruppe non solo una carriera, ma anche un progetto di vita. Amelia Conte, l’amore della sua vita, aveva conosciuto Rino in una festa di diciottesimo compleanno, lontano dai riflettori. Lei lo aveva sostenuto e compreso profondamente, rappresentando per lui un punto di equilibrio lontano dalla pressione del successo. I due, che già convivevano, avrebbero dovuto sposarsi entro poco tempo, in una cerimonia semplice e discreta. Come riservata e privata era sempre stata la loro relazione.
Anche Amelia, come la sorella di Rino, raccontò di uno strano sogno premonitore fatto quella stessa notte: “una macchina, un incidente e una bara”.

Dopo la morte del cantautore, Amelia è rimasta nel silenzio e nel riserbo, una scelta che ha alimentato la curiosità, ma anche il rispetto di chi ha compreso il suo dolore. Ha evitato la scena pubblica, non ha mai rilasciato interviste ufficiali né ha cercato di monetizzare la sua vicinanza al cantautore. Una dignità che ha reso la sua figura un simbolo di un amore vero, lontano dalle logiche dello show business.

Un cantautore scomodo

Non c’è solo la canzone profetica, a circondare di mistero la morte del cantautore. Molti sarebbero gli aspetti non chiariti della dinamica di quell’incidente avvenuto la notte del  2 giugno 1981 e soprattutto di come avvennero i soccorsi.

Non fu affatto un tragico e sfortunato incidente secondo l’avvocato penalista Bruno Mautone, che nei suoi libri fornisce una lettura degli eventi molto più inquietante: Rino Gaetano fu vittima di omicidio per aver denunciato, nei suoi testi, segreti e intrighi del potere.

Dietro la facciata del “giullare disimpegnato”, si nascondeva infatti un artista acuto e scomodo, capace di cogliere e mettere in rima i retroscena della politica italiana in un modo che nessuno aveva osato fare. Mautone, nei suoi libri, sostiene che Rino Gaetano avesse contatti con persone legate ai servizi segreti italiani e statunitensi e alla loggia massonica P2, e che le sue canzoni fossero una sorta di “documentario cifrato” degli scandali dell’epoca.

  • In “La zappa, il tridente, il rastrello”, del 1976, Gaetano canta di una “mansarda in via Condotti”, che solo anni dopo si scoprì essere la sede di una delle logge segrete della P2.
  • In “Nuntereggae più”, una sfilata di nomi della politica e dello spettacolo, Gaetano denuncia personaggi e fatti destinati a far discutere. Come il presunto riferimento a Vincenzo Cazzaniga, un amministratore della finanziaria Bastogi che finanziava la Democrazia Cristiana.
  • In “La Berta filava”, Gaetano nomina “Mario, Gino e Berta”, che Mautone e il giornalista Mino Pecorelli (ucciso l’anno successivo) interpretarono come Mario Tanassi, Luigi Gui e Robert Gross, tutti coinvolti nello scandalo Lockheed.

Ad aumentare il sospetto di una morte non del tutto accidentale, c’è il fatto che due anni prima, l’8 gennaio 1979, il cantautore aveva avuto un altro incidente automobilistico, provocato da un fuoristrata contromano. Era uscito miracolosamente illeso dall’auto distrutta.

A differenza di molti suoi contemporanei, Rino Gaetano rifiutò sempre di conformarsi a un’unica bandiera politica. La sua figura non era quella del cantautore militante, ma di un osservatore tagliente che denunciava senza schierarsi in modo netto. Nonostante fosse vicino a temi e valori della sinistra, la sua critica si estendeva a tutti i partiti e ai giochi di potere. Questa indipendenza gli costò cara, rendendolo una figura quasi isolata e mal sopportata, sia dagli “impegnati” che lo consideravano un giullare, sia dal sistema che metteva a nudo. L’album “E io ci sto” è la testimonianza più evidente di questa sua ribellione contro chi voleva “mettergli il bavaglio” e racchiuderlo in uno stereotipo.

Un’eredità senza tempo

La sua figura di “cantautore-giornalista” scomodo, con la sua voce rauca e la sua ironia corrosiva, continua a far riflettere su un’Italia fatta di segreti e poteri occulti. La sua musica, a oltre 40 anni dalla sua morte, non ha perso un briciolo della sua attualità e freschezza. Spesso usata in spot pubblicitari, è stata riscoperta e amata da nuove generazioni che ne hanno colto il messaggio di denuncia, la poetica surreale e la profonda malinconia celata dietro un sorriso beffardo.

Rino Gaetano continua a vivere e a far riflettere, lasciando aperte domande a cui forse non avremo mai una risposta. Il menestrello sognante e disincantato, aveva davvero previsto la sua fine, o è stato il suo genio a lasciare una traccia che avrebbe permesso a noi di interpretare il suo epilogo come una beffarda, tragica, “profezia”?



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