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Sepolture anomale e paura dei non morti

La paura dei non morti non nasce in tempi recenti ma è qualcosa di antico e molto diffuso, come dimostrano i ritrovamenti archeologici di sepolture anomale

Le cronache del XVII secolo di tutta Europa riferivano che nelle terre baltiche, i morti potessero ridestarsi dalle tombe per succhiare il sangue dei vivi.
Nel 1732 a Medvedjia (oggi in Serbia) furono riesumati alcuni cadaveri per ordine del medico militare, al fine di fare chiarezza su una serie di morti sospette. Le indagini portarono a due donne defunte, Miliza e Stanno, che vennero disseppellite ed esaminate. Il chirurgo constatò che il corpo di Stanno era pressoché intatto, pertanto la donna doveva essere una non morta. Entrambe furono gestite piantando loro un paletto nel corpo e poi bruciando i cadaveri. Storie di questo tipo sono numerose, la più recente probabilmente è della fine del XIX secolo, negli USA, passata alla storia come “Panico sui vampiri del New England”. Allo scoppio di una epidemia di tubercolosi, che si riteneva essere causata dal defunto che consumava la vita dei suoi parenti sopravvissuti, una serie di corpi furono riesumati, a volte vennero decapitati, in altri casi gli organi interni furono estratti e bruciati, a volte le ceneri venivano fatte bere (o i fumi dell’incenerimento venivano fatti inalare) ai parenti superstiti, per far riprendere loro la vitalità sottratta. L’ultimo caso – e il più famoso – è del 1892.

Solitamente si credeva che i morti che tornavano avevano bisogno del sangue dei vivi, quindi per impedire ai defunti di ridestarsi e nutrirsene, le tombe di persone “sospette” venivano periodicamente riaperte per praticare nuovi rituali (e assicurarsi che restassero morti). Il rinvenimento di cadaveri incorrotti o in posizioni anomale rispetto a quelle di sepoltura, generò una vera e propria isteria, che determinò l’organizzarsi di irruzioni nei cimiteri, con esumazione di cadaveri, che quindi venivano impalati, decapitati e poi bruciati.

Non è una paura recente: le sepolture anomale

La concreta paura del riapparire fisico del morto, oltre a essere testimoniata in fonti antiche e moderne che parlano di streghe, non morti, redivivi, masticatori di sudari e altri lugubri e letali personaggi che hanno originato la più recente figura del vampiro, è ben evidente nelle sepolture che mostrano un trattamento anomalo del corpo rispetto a quello usuale nella necropoli di cui fa parte, o rispetto al contesto sociale e culturale al quale la tomba appartiene.
Parliamo di qualcosa che non è invenzione degli ultimi secoli nell’Europa dell’Est, ma presente con un ampia estensione nello spazio e nel tempo, a partire dal Neolitico e fino al XVIII secolo.

Nel corso dei millenni, numerose sepolture in varie parti del mondo, mostrano infatti accorgimenti particolari per impedire al morto di risvegliarsi.

Sono chiamate “sepolture anomale”, proprio per l’evidenza di una procedura specifica e non conforme agli ordinari riti funebri, con lo scopo di tenere il defunto nel suo regno. Sono pratiche svolte sul cadavere post mortem atte a fissarlo definitivamente nell’Aldilà. Evidentemente l’idea che i cadaveri potessero tornare tra i vivi, anche fisicamente, era considerata molto seriamente e temuta. Non ci sono solo miti e leggende di tutto il mondo, ci sono ritrovamenti archeologici.

E proprio in base ai ritrovamenti, ecco le principali pratiche applicate sui corpi dei defunti per impedirne il risveglio:

apporre pietre sulle gambe e sul corpo
sepoltura bocconi
legare gli arti con legacci di varia natura
bloccare gli arti inferiori con pali o chiodi
piantare un palo nel petto
piantare un sasso/un mattone in bocca
tagliare la testa e non riseppellirla
tagliare la testa e metterla tra le gambe o fuori posizione
tagliare gli arti
tagliare gli arti e invertirli di posizione
infiggere chiodi sul corpo
deporre chiodi accanto al corpo (anche in alcune urne cinerarie i chiodi sono all’interno o disposti a raggiera intorno all’urna)
bloccare i piedi con un’anfora o una pietra
bloccare il sepolcro con una grande pietra o una pesante macina

Sono tutte operazioni che appaiono accomunate dalla volontà di bloccare “fisicamente” il corpo nella tomba, quindi connesse ad una convinzione comune e persistente che immobilizzando il corpo si fermasse anche lo spirito.

Vediamo i ritrovamenti più suggestivi.

27.000 anni fa, a Dolní Věstonice, nell’attuale repubblica Ceca, in un villaggio recintato da ossa di mammut, una donna e due uomini furono sepolti insieme, coperti da tronchi e rami di abete bruciati. La donna era al centro, alla suo sinistra, un uomo a bocconi, a destra un altro uomo con un palo conficcato nell’inguine e nella coscia.

In Francia, nelle campagne di Montagnac, è stata rinvenuta la sepoltura molto anomala di una donna e cinque bambini. La donna è stata messa a faccia in giù e composta in una posizione simile a quella di un rospo o di una rana, con i piccoli attorno, come a formare una ruota. I bambini erano di età a scaletta: un neonato, uno tra i 3 ed i 5 anni, uno tra i 4 e gli 8 anni, uno tra i 12 ed i 14 anni e una ragazza più grande. Sono stati deposti in una fossa circolare, all’interno di quel che era un magazzino attiguo ad una casa, la quale bruciò. Il tutto è datato tra il 3000 ed il 3100 a.C.. La donna e 4 dei bambini sepolti con lei morirono insieme, un quinto bambino fu aggiunto successivamente.

Sempre in Francia, nel sito di Puisserguier, sono stati trovati i resti di una donna che fra il 2700 e il 2600 a.C. fu sepolta con la testa tagliata e posizionata sulle mani, col capo al contrario e le dita a coprire gli occhi.

A Castel S. Pietro Terme, in provincia di Bologna, durante gli scavi di un sepolcreto annesso alla basilica paleocristiana, è stata rinvenuta la sepoltura con infissi quattro grossi chiodi a testa rotonda a livello delle spalle. Sempre a Bologna, due tombe del II secolo a.C., rinvenute durante la costruzione della nuova stazione dell’Alta Velocità, si presentano abbastanza anomale. Uno scheletro ha gli arti e il cranio inchiodati e un anello inchiodato vicino alla spalla, l’altro ha i piedi amputati, il cranio chiodato e vari chiodi nei pressi delle gambe.

Nella necropoli di III secolo di Kimmeridge, nel Dorset in Inghilterra sono stati rinvenuti tre scheletri femminili il cui cranio era stato prelevato e posizionato tra i piedi mentre le mandibole, dislocate post mortem, erano state ricollocate vicino alle ginocchia. Unico oggetto di corredo era uno spillone e sulla copertura della sepoltura posava una pietra molto pesante, dando credito all’idea che i vivi temessero il ritorno in vita di queste donne.

Una sepoltura di epoca merovingia a Furfooz, in Belgio, contiene una donna anziana decapitata, ritrovata con il cranio tra i femori.

Nella necropoli di Caselecchio di Reno (Bologna) una sepoltura del V-VI secolo appartiene a un uomo il cui corpo è stato decapitato e i cui piedi sono stati amputati. Quindi il cranio è stato posto tra le tibie, il piede destro è stato messo sulla spalla sinistra ed il sinistro su quella destra.

Risale all’VIII secolo la sepoltura di due “zombie” rinvenuta nell’Irlanda occidentale, nel sito archeologico denominato Lough Key, nella contea di Roscommon. Qui due cadaveri sono stati sepolti con pietre conficcate in bocca. Secondo l’antica credenza locale la bocca è la via di accesso dell’anima e degli spiriti maligni, la pietra poteva essere quindi l’ostacolo per scongiurare tale evento.

A Veroli (FR), dove sorgeva la chiesa S. Maria della Rotonda, furono rinvenute tre sepolture, forse coeve alla costruzione della chiesa (XI secolo), che contenevano altrettanti scheletri alti oltre due metri, con i crani infissi da chiodi.
Caso simile è quello di 14 crani perforati trovati nello scavo di un cimitero presso l’Abbazia benedettina dedicata ai SS. Pietro e Andrea di Novalesa (TO), di datazione incerta fra l’XI e il XV secolo. I chiodi usati per la perforazione non sono stati trovati. Due crani chiodati, del X secolo, sono stati ritrovati presso la cripta della cattedrale di San Pietro a Bologna.

Un’adolescente, sepolta prona ma nel XII secolo d.C., è stata rinvenuta nel sito della possibile ubicazione del Baptisterio di Pava, in Toscana.

In Bulgaria sono diversi gli scheletri di 700 anni fa con il vomero di un aratro conficcato nel terreno, a tenerli inchiodati a terra. A Sozopol, sito vicino al Mar Nero, nel 2012 sono stati portati alla luce due scheletri di età medioevale infilzati da una sbarra di ferro e a Veliko Tarnovo, altra località bulgara, è stato trovato un corpo della stessa epoca con mani e piedi tagliati. Ancora più suggestivo è il vampiro di Perperikon, sempre in Bulgaria. Si tratta dello scheletro del XIII secolo di un uomo di circa 40 anni, con un paletto di metallo conficcato nel petto e una gamba amputata sotto al ginocchio e posizionata al suo fianco, quest’ultima una cautela aggiuntiva per impedire al morto di camminare di nuovo. Nella zona dei Balcani sono almeno 100 le sepolture che mostrano rituali anti resurrezione.

Nel complesso del San Calocero di Albenga, in Liguria, è stata rinvenuta la sepoltura di una bambina deposta prona e isolata nel XV secolo e quella di una seconda bambina, con le stesse caratteristiche, sepolta più di un secolo dopo. Entrambe sono diventate famose come le streghe di Albenga.

Famosa è la “vampira di Venezia” una donna sepolta nell’isola di Lazzaretto nuovo, nel XVI secolo. Lo scheletro, con un mattone conficcato in bocca, era in una fossa comune risalente alla peste di Venezia del 1576, nell’isoletta usata come sanatorio per i malati di peste. I sudari usati per coprire i volti dei defunti erano spesso deteriorati dai batteri presenti nella bocca, che lasciavano scoperti i denti del cadavere, ciò lasciò supporre che i vampiri si nutrissero dei sudari. Secondo i testi medici e religiosi medievali, si credeva che i “non morti” diffondessero la pestilenza per succhiare la vita residua dai cadaveri finché non avessero riacquistato la forza di tornare in strada. Per uccidere il vampiro bisognava rimuovere il sudario dalla sua bocca e metterci dentro qualcosa di immangiabile, come un mattone o una pietra.

In Polonia sono stati portati alla luce scheletri con falci attorno alla vita o al collo. Particolarmente famoso è il corpo di una nobildonna del XVII-XVIII secolo, con una falce da mietitura a bloccarle il collo e un lucchetto attorno all’alluce del piede sinistro. A poca distanza da lei c’era lo scheletro di un bambino di 5-7 anni, sepolto a faccia in giù e anche lui con un lucchetto al piede.

In vari cimiteri di condannati a morte, di diverse epoche, ci si imbatte molto frequentemente in in sepolture prone, legamenti, interramenti multipli, decapitazioni, mutilazioni soprattutto dei piedi, a volte assenti oppure ricollocati in posizione anatomicamente errata.

Cosa ha alimentato per migliaia di anni la convinzione che i defunti potessero tornare?
Forse un po’ il senso di colpa, o meglio “la coscienza sporca”, in epoca in cui sopruso, violenza e sterminio erano prassi. Se tutti coloro che avrebbero potuto vendicarsi erano morti, si aveva bisogno di essere certi che anche dall’aldilà non potessero avere la loro vendetta.

In Grecia si ha memoria della pratica del maschalismos effettuata dall’assassino nei confronti della sua vittima, per evitare che il morto tornasse dall’oltretomba per vendicarsi. L’assassino doveva tagliare mani, piedi, naso, orecchie e genitali al cadavere dell’ucciso, legare le parti amputate a una corda e farla passare sotto alle ascelle del defunto, facendo ricadere dietro al collo i pezzi recisi.

Nel mondo della magia e dell’esoterismo, ancora oggi si ritiene che non esista maleficio più potente della vendetta di un morto (o maledizione scagliata in punto di morte da chi ha subito un torto, nei confronti del suo aguzzino e della di lui discendenza). Allo stesso tempo, per maledire efficacemente qualcuno, è necessario usare materiale proveniente da un defunto (possibilmente che in vita fu molto cattivo), a testimonianza che persiste un residuo di ancestrale credenza che alcuni defunti in modo specifico possano tormentare i vivi.



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