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Si parlava dell’America 150 anni prima di Colombo

Scoperta dell’Università statale di Milano: in un manoscritto del 1340 di Galvano Fiamma si menziona l’America (Marcklada) 150 anni prima di Colombo. È la prima volta che si ha la prova che si parlava delle terre oltre la Groenlandia anche nel Mediterraneo.

Ancora oggi, nell’immaginario collettivo, quando si pensa alla scoperta dell’America si associa la data del 1492 e il navigatore Cristoforo Colombo. Eppure, ormai sappiamo da tempo che non è questa la realtà.

È noto e accettato anche in ambiente scientifico che gli antichi norreni, poco prima dell’anno mille, hanno avvistato e successivamente esplorato le coste del continente nordamericano. Negli anni ’60 del secolo scorso, presso il villaggio canadese di L’Anse aux Meadows, sull’isola di Terranova, l’archeologo norvegese Helge Ingstad ha portato alla luce un insediamento nordico – ora patrimonio dell’UNESCO – databile con precisione intorno all’anno mille.

Nella Saga di Eiríkr il Rosso si menzionano ad ovest della Groenlandia: Helluland “Terra della lastra di roccia”, Markland “Terra delle foreste” e Vínland “Terra del vino”. Dagli annali islandesi sappiamo che i groenlandesi dovevano recarsi regolarmente in America per la fornitura di legname almeno fino al 1347. L’analisi del legname di cinque siti archeologici groenlandesi ha confermato la veridicità degli annali. Effettivamente il legname è nordamericano.

Quello che non si sapeva – fino alla scoperta dell’Università Statale di Milano – è che si parlasse di queste terre anche molto a sud della Scandinavia, nel cuore del Mediterraneo ben 150 anni prima del celebre viaggio di Colombo.

Al centro di questa sorprendente rivelazione vi è la “Cronica universalis”, un’opera del 1340 del frate domenicano milanese Galvano Fiamma, che apre nuove prospettive sulla circolazione del sapere geografico nel Medioevo.

Galvano Fiamma in una miniatura dal Codice Trivulziano, 1438, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana

La riscoperta del manoscritto e la menzione di Marckalada

La genesi di questa scoperta è in un meticoloso progetto di ricerca del Dipartimento di Studi Letterari Filologici e Linguistici dell’Università Statale di Milano, diretto dal Professor Paolo Chiesa, sull’unico manoscritto esistente della “Cronica universalis” di Galvano Fiamma (nato a Milano, attivo tra il 1283 e il 1345 circa).

Questo codice, che si riteneva disperso dopo il Settecento, quando si trovava nella biblioteca del monastero di Sant’Ambrogio a Milano, è riemerso in un’asta a Londra nel 1998, attirando l’attenzione del professor Sante Ambrogio Céngarle Parisi. Nel 2015, il professor Chiesa ebbe l’opportunità unica di esaminarlo e fotografarlo in una biblioteca privata a New York, dove si trova ora.

Il complesso lavoro di trascrizione e analisi del testo, svolto anche grazie al fondamentale contributo di numerosi studenti, ha portato a una scoperta clamorosa, i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista statunitense “Terrae Incognitae” nell’articolo “Marckalada. The first mention of America in the Mediterranean Area“.

Ecco il significativo passaggio della “Cronica universalis” che parla di Marckalada:

«I marinai che percorrono i mari della Danimarca e della Norvegia dicono che oltre la Norvegia, verso settentrione, si trova l’Islanda. Più oltre c’è un’isola detta Grolandia. E ancora oltre, verso occidente, c’è una terra chiamata Marckalada. Gli abitanti del posto sono dei giganti: lì si trovano edifici di pietre così grosse che nessun uomo sarebbe in grado di metterle in posa, se non grandissimi giganti. Lì crescono alberi verdi e vivono moltissimi animali e uccelli. Però non c’è mai stato nessun marinaio che sia riuscito a sapere con certezza notizie su questa terra e sulle sue caratteristiche».

È un dettaglio cruciale che, a differenza di altre informazioni enciclopediche di Fiamma, questa menzione non deriva da fonti libresche preesistenti, ma è attribuita direttamente a racconti orali: “dicunt marinarii” (dicono i marinai).

La parte della Cronica universalis di Galvano Fiamma dove si cita la terra chiamata “Marckalada”, qui evidenziata in rosso. Il testo recita: “Inde versus occidens est terra quedam que dicitur Marckalada, ubi gigantes habitant et sunt hedifitia habentia lapides saxeos tam grandes quod nullus homo posset in hedifitio collocare nisi essent gygantes maximi. Ibi sunt arbores virides et animalia et aves multe nimis. Nec umquam fuit aliquis marinarius qui de ista terra nec de eius condictionibus aliquid scire potuerit pro certo”

Gli studiosi non hanno dubbi nell’identificare la Marckalada di Galvano Fiamma con la Markland delle saghe norrene. Fino a questo momento, i riferimenti a territori oltre l’Atlantico erano considerati dominio esclusivo delle fonti scandinave e spesso visti come semi-leggendari. La “Cronica universalis” fornisce la prima documentazione di tale conoscenza al di fuori della Scandinavia e, soprattutto, nell’area mediterranea, dimostrando una circolazione di informazioni transatlantiche sorprendentemente più ampia e precoce di quanto si fosse mai ipotizzato.

Genova come crogiolo di saperi geografici

La questione fondamentale è come Galvano Fiamma, un frate milanese, sia venuto a conoscenza di notizie così avanzate e riservate ai navigatori del nord. La risposta, come suggerito dalle ricerche, punta decisa verso Genova, città con cui Fiamma aveva consolidati contatti. L’ipotesi più accreditata è che l’informazione sulla Marckalada gli sia giunta attraverso marinai e commercianti genovesi, i quali, a loro volta, l’avrebbero appresa tramite scambi o contatti con le regioni del Nord Europa.

La stessa “Cronica universalis” offre una serie di indizi che rafforzano il ruolo di Genova come straordinario polo di trasmissione di saperi geografici nel Basso Medioevo. Fiamma cita dettagliatamente, e probabilmente riportando fedelmente, un “Tractatus” per noi perduto redatto da un sacerdote del porto di Genova. Questo testo raccoglieva le testimonianze di ambasciatori provenienti dall’Etiopia, giunti a Genova tra il 1312 e il 1315.

Il pretedel porto  di Genova era molto probabilmente Giovanni da Carignano, celebre geografo

Tale episodio evidenzia la capacità di Genova di attrarre e integrare informazioni da regioni remotissime, fungendo da vero e proprio epicentro di intelligenza geografica. Giovanni da Carignano stesso, un geografo di fama, aveva introdotto nella sua mappa (distrutta nella Seconda Guerra Mondiale ma nota da riproduzioni) informazioni derivate dall’esperienza diretta di viaggiatori e mercanti, segno di un approccio all’avanguardia.

Galvano Fiamma fa anche riferimento a una “mappa Ianuensis” (mappa genovese) e mescola termini scientifici classici con espressioni tipiche del linguaggio marinaresco (come i nomi dei venti), sottolineando ulteriormente come a Genova si fondessero saperi accademici ed esperienze sul campo. Anche la celebre spedizione dei fratelli Vivaldi del 1291, un pioniere tentativo di circumnavigare l’Africa verso le Indie, trova nella “Cronica universalis” una versione alternativa, probabilmente derivata anch’essa dal “Tractatus”.

Fiamma narra che i navigatori, il cui comandante era Uberto di Savignone e non un Vivaldi, non naufragarono ma sopravvissero, accolti dall’imperatore d’Etiopia. Sebbene la storicità di questo finale sia discussa e considerata probabilmente una leggenda consolatoria, essa dimostra come le vicende di viaggio e le conoscenze geografiche fossero costantemente rielaborate e diffuse nell’ambiente genovese e potrebbero aver reso accettabile l’idea di navigare verso occidente (nel 1492) proprio perché si parlava di terre raggiunte da spedizioni nordiche già da oltre un secolo. La menzione dell’Etiopia, inoltre, rappresenta il primo riferimento ad un regno cristiano nell’Africa orientale nell’enciclopedismo latino, ed è la più antica testimonianza di un contatto fra Europa occidentale e quella regione nel corso del medioevo.

 



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