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Lettera aperta a Daniele Mastrogiacomo di Massimo Mazzucco

Egregio Signor Mastrogiacomo, io non so assolutamente chi lei sia – non so se di mestiere faccia il giornalista, la spia, o l'allevatore di trote – ma la cosa non mi interessa minimamente.

Quello che so è che lei, circa un mese fa, è stato rapito in Afghanistan, e che deve aver sinceramente temuto per la propria pelle, come devono averlo temuto i suoi cari. E so anche che in qualche modo – e di nuovo non mi interessa sapere come – lei alla fine è stato liberato, e ha potuto tornare a casa e riabbracciarli tutti.

So infine – questo è uno dei pochi fatti che nessuno finora ha smentito – che la sua liberazione è avvenuta grazie all'intermediazione di un altro italiano, tale Gino Strada, che in Afghanistan opera con una sua struttura sanitaria indipendente.

A mia volta, non so se Gino Strada sia "buono" o "cattivo", e non mi interessa scoprirlo. So però che lo stesso Strada si è lamentato pubblicamente, ieri, per qualcosa di decisamente inquietante: ''È la prima volta che succede nella storia, la prima volta, che quando si fa uno scambio di prigionieri perche' due parti si mettono d'accordo e decidono di affidare a qualcun altro di mettere in pratica poi l'operazione. È la prima volta – ha aggiunto Strada – che chi poi la mette in pratica viene arrestato. E questa e' un infamia di cui sono responsabili sostanzialmente due signori e tutto quello che loro rappresentano, Hamid Karzai e Romano Prodi''.

Pare quindi che la persona che si è offerta di fare da tramite per la sua liberazione – un collaboratore di Strada, Rahmatullah Hanefi – sia stata a sua volta tenuta in ostaggio da una delle due parti direttamente coinvolte nella trattativa: se questo è vero – e fatico a immaginare un solo motivo per cui Strada dovrebbe inventarsi un'accusa del genere – il termine "infamia" è il minimo che si possa applicare a quanto accaduto.

Non si faccia ora distrarre dalla "politica", che non è assolutamente necessaria per esprimere un'opinione strettamente morale su questa vicenda: la politica, come sappiamo, è l'arte della confusione, dell'imbroglio, dell'ambiguità, e le sue acque sono facili da intorbidire anche quando siano chiare e cristalline – figuriamoci in casi come questo. Ma le questioni morali torbide non lo diventano mai: quel che è giusto rimane giusto, e quello che è sbagliato rimane sbagliato, a qualunque latitudine e longitudine. Sono cose che tutti sappiamo, che tutti portiamo dentro, senza avere il bisogno di ascoltare nessun altro o di leggere nessun giornale.

Se è quindi vero che gli stessi politici che hanno voluto il suo ritorno a casa – e quanto fortemente lo abbiano voluto lo hanno visto tutti – di colpo non trovano più la forza di imporsi per evitare quella che è stata chiaramente una ripicca americana nei nostri confronti, allora sta a lei alzarsi, risalire su un aereo, e tornare a Kabul ad offrirsi prigioniero al posto dell'uomo che ora rischia la vita per aver voluto salvare la sua.

Non credo infatti che lei, sapendolo in anticipo, avrebbe mai accettato una libertà che andasse a mettere in pericolo la vita di un altro uomo, che non solo non c'entra nulla, ma che si adoperava proprio per la sua liberazione.

Lo faccia quindi, al più presto. Torni a Kabul, si offra di tornare prigioniero al posto del suo intermediario, e denunci in questo modo l'ambiguità, la meschinità, l'opportunismo e la vigliaccheria di coloro che stanno dando al mondo – per più di un verso – un'immagine del nostro paese che nessun italiano degno di quel nome, di destra centro o sinistra che sia, credo vorrebbe mai vedere in mille generazioni a venire.

(Tratto da www.luogocomune.net)



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