Quando la sofferenza è costante e senza una spiegazione, può trattarsi del lutto per qualcuno che si è perso in fase prenatale.
Ti è mai capitato di provare un senso di vuoto inspiegabile, una tristezza senza motivo apparente, o una paura irrazionale dell’abbandono? Magari ti senti sempre in debito con gli altri, o fatichi a trovare il tuo posto nel mondo. Potrebbe esserci una spiegazione, meno conosciuta ma più comune di quanto si pensi: la Sindrome del Gemello Scomparso.
Ne abbiamo parlato con Gloria Di Capua e Maurizio Lambardi, Counselor e Coach relazionali ad approccio corporeo: «È un fenomeno struggente e misterioso, ancora non del tutto chiarito, che a volte è l’unica spiegazione per sofferenze in apparenza immotivate, ma profonde e costanti. Entriamo nel campo dei traumi prenatali, una zona di frontiera, ma non di fantascienza. Sono molto reali e concreti»
Quando una gravidanza, iniziata con più embrioni, si conclude con la nascita di un solo neonato, il gemello sopravvissuto porta con sé il trauma della perdita del fratello.
Fino a non molto tempo fa, si pensava che l’embrione fosse incapace di provare emozioni o percepire ciò che accadeva intorno a sé. Oggi sappiamo che non è così. Già nelle prime settimane di gestazione, quando ancora il cervello non è completamente formato, l’embrione è in grado di percepire stimoli e interagire. L’orecchio, ad esempio, è tra i primi organi a svilupparsi e può percepire il battito del gemello prima ancora di quello della madre.
Quando un gemello “scompare” (riassorbito dal corpo materno, da quello del gemello o espulso). Questa sparizione può avvenire senza lasciare alcuna traccia. L’altro feto, pur diviso solo da una sottilissima membrana, percepisce questa assenza. Non è una perdita “ricordata” consciamente e neanche razionalizzata o concettualizzata, ma viene impressa profondamente nella memoria corporea e nelle parti più antiche del nostro cervello (il cervello rettiliano e limbico), quelle responsabili delle nostre reazioni più istintive ed emotive. Questa è la prima grande perdita che l’individuo sperimenta, e può lasciare una traccia profonda, influenzando la sua vita adulta in modi spesso incomprensibili a livello razionale.
«È accaduto mentre il tuo corpo si stava formando – aggiunge Gloria Di Capua – non eri in grado di pensare e razionalizzare ma hai “sentito” che qualcuno che era letteralmente parte di te è scomparso. Non eri mai stato solo fino a quell’istante in cui la tua esistenza è cambiata per sempre.»
Come sospettare la Sindrome del Gemello Scomparso
Un senso di vuoto
La sensazione di un “pezzo mancante”, sentirsi incompleti, cercare in modo quasi ossessivo relazioni o esperienze che possano colmare quel vuoto.«Un senso di solitudine costante e di vuoto incolmabile – precisa Maurizio Lambardi – che non sei mai riuscito a riempire, perché non sai cosa sia e da dove venga. Non sai neanche spiegarlo a parole».
Tristezza o malinconia senza motivo
Una sofferenza emotiva che sembra “venire dal nulla” e che non riesci a scrollarti di dosso.
Ansia e paure irrazionali
Ansia, paure di ogni tipo o specifiche come quella dell’abbandono, di subire perdite significative, di morire. Queste paure possono essere croniche e apparentemente immotivate. «La morte e la mortalità ti opprimono costantemente – aggiunge Gloria Di Capua – perché sei sopravvissuto ad un disastro di cui non hai memoria.»
Senso di colpa cronico
Sentirsi in colpa senza una ragione chiara. Norbert Meyer ha chiamato questo fenomeno il “complesso di Caino”, riferendosi al senso di colpa del sopravvissuto.
Difficoltà nelle relazioni
Potresti avere una tendenza a creare legami simbiotici e di dipendenza, aggrappandoti agli altri per paura di rimanere solo, oppure, al contrario, mantenere una distanza emotiva per proteggerti da possibili perdite. A volte, si manifesta una sottomissione frustrante, l’impressione di doversi “sottomettere” agli altri per non essere rifiutati o “morire”, negando i propri bisogni. Puoi sentire l’impulso di “dover salvare qualcuno” o di “dover essere salvato” o percepirti come “diverso”, “alieno” ed in qualche modo “fuori fase”.
Comportamenti auto-sabotanti
Potresti notare schemi ricorrenti di auto-sabotaggio, difficoltà a portare a termine progetti o relazioni, quasi come se ci fosse una parte di te che ti impedisce di raggiungere la piena realizzazione.
Noia e distacco dalla vita
Una sensazione di noia perenne, anche quando sei impegnato o ottieni successi. Vai avanti ma non sei coinvolto, ti senti come distaccato dalla tua stessa vita, come se qualcosa di sconosciuto ti avesse lacerato l’anima e risucchiato la voglia di vivere.
Problemi fisici
Il disagio prenatale può manifestarsi in problemi fisici cronici, come mal di schiena, che non trovano una spiegazione medica chiara.
Sei mancino o nel corso della vita ti sono state rimosse delle cisti che contenevano tracce di ossa, capelli ed epidermide o altri frammenti di organi, che non avevano motivo di essere dove sono stati trovati.
Problemi nello sviluppo infantile
Hai avuto difficoltà motorie e di apprendimento scolastico nei primi 10 anni di vita
La parte non consapevole
I sogni, i disegni, gli scritti, o qualsiasi altra forma di espressione artistica sono i canali preferiti dal nostro inconscio per comunicare. Alcune canzoni d’amore, ad esempio, possono essere rilette come una struggente lettera al gemello perduto.
Percorsi di guarigione
Comprendere la Sindrome del Gemello Scomparso significa dare un nome a un dolore che spesso non ne ha avuto uno. Riconoscere che queste sensazioni non sono “immaginate” ma hanno una radice profonda può essere il primo passo verso la guarigione.
Come primo passo puoi chiedere – se possibile – a tua madre se nei primi tre mesi di gestazione ha avuto un sanguinamento o un momento problematico della gravidanza che è culminato con l’espulsione di un gemello non vitale. O se inizialmente il monitoraggio aveva indicato una gravidanza gemellare e poi invece i controlli successivi, hanno evidenziato un solo feto. A volte – ma non sempre – la scomparsa del gemello non avviene senza che abbia mai lasciato tracce.
Molti psicologi e professionisti della salute mentale si sono dedicati a sviluppare metodologie specifiche per esplorare e integrare queste dinamiche prenatali.
«Lo strumento per gestire questa tipologia di traumi è rappresentato dalle costellazioni familiari – afferma Gloria Di Capua – è una metodica che consente di individuare, osservare e trasformare anche gli eventi prenatali, avviandosi verso un percorso di riconciliazione col senso di colpa nei confronti del nostro gemello perduto, con il dolore e la solitudine che il distacco improvviso da lui ci ha procurato, con il senso di vuoto e di incompletezza che ha generato in noi la perdita di quella che percepivamo essere una parte di noi stessi.»
«Ci permette anche di raggiungere una fondamentale consapevolezza, necessaria al processo di guarigione – sottolinea Maurizio Lambardi – che non abbiamo alcun potere sui processi di selezione naturale che portano la gestazione a mutarsi da gemellare in singola.»
Queste tecniche, che si svolgono in un setting di gruppo, permettono di tornare indietro fino al primo trimestre di gravidanza, perché è in questo stadio iniziale della gestazione che gli embrioni multipli possono più facilmente “scomparire”, generando il trauma nel o nei sopravvissuti. È possibile, nel caso di una gestazione che inizialmente è multigemellare e poi si risolve con una sola nascita, che un particolare gemello ci fosse più “caro”, perché più vicino fisicamente e nostro “specchio” identitario. E quella scomparsa, più delle altre, ha creato il senso di smarrimento esistenziale. Sono metodologie agiscono sulle aree più antiche e profonde del cervello, permettendo al corpo di elaborare esperienze traumatiche che la mente razionale non riesce a comprendere o ricordare. L’integrazione di queste esperienze a livello somatico può aiutare a sciogliere nodi emotivi e comportamentali che si ripetono nella vita quotidiana.
L’obiettivo è integrare consapevolmente questi vissuti prenatali. Questo non solo può alleviare i “sintomi” come ansia, senso di vuoto o difficoltà relazionali, ma anche permettere al sopravvissuto di riconoscere e modificare schemi comportamentali che lo hanno accompagnato per tutta la vita.
Quanto sono frequenti le gravidanze gemellari?
Contrariamente a quanto si possa pensare, le gravidanze gemellari sono molto più diffuse di quanto non si creda. Le stime variano, ma la letteratura scientifica concorda sul fatto che un numero significativo di gravidanze inizi come multipla, per poi risolversi in un unico feto (alcuni studi parlano addirittura del 60-70%).
Il Dott. Stoeckel già nel 1945 fu tra i primi a ipotizzare che il numero di concepimenti gemellari superasse di molto le nascite effettive. Questa intuizione è stata ampiamente confermata con l’introduzione dell’ecografia. Grazie a ecografi modernissimi in 3D, è possibile identificare la presenza di più embrioni già tre settimane dopo la fecondazione. Questi studi hanno rivelato che «la gran parte dei gemelli muore entro i primi tre mesi» di gestazione. Come evidenziato dal Dott. Blockage al 3° Congresso Internazionale di Gemellologia a Gerusalemme nel 1980, il fenomeno dei gemelli “evanescenti” è «un fatto fisiologico della razza umana: quando veniamo concepiti non siamo soli, è presente nell’utero materno, con noi, nostro fratello o nostra sorella.» Il tessuto del gemello scomparso viene poi riassorbito dalla placenta, dall’utero materno, dal feto superstite, o, in rari casi, può trasformarsi in una ciste calcificata.
Questo fenomeno è ancora più marcato nelle gravidanze ottenute tramite fecondazione assistita, dove l’identificazione precoce delle gravidanze multiple è prassi, e i numeri dei gemelli che scompaiono si alzano ulteriormente. Alcuni studi suggeriscono che «per ogni coppia gemella viva ci sono altre 10-12 gravidanze gemellari che finiscono con un singolo nato» (Tong et al., 2002).
Il profondo legame tra gemelli nell’ utero
Nonostante si ritenesse, fino alla metà del Novecento, che l’embrione fosse un’entità incapace di provare emozioni, la psicologia prenatale e la ricerca scientifica hanno rivoluzionato questa prospettiva. Oggi sappiamo che i feti percepiscono e interagiscono attivamente fin dalle primissime fasi dello sviluppo. L’orecchio (che è il primo organo a formarsi, ancor prima del cervello) ode per primo il battito del fratello, attraverso la circolazione del sangue, e poi quello della madre.
Il legame tra gemelli è sorprendentemente profondo e precoce, come dimostrato da diversi studi:
Interazione tattile: È stato osservato che appena le mani si formano, intorno alla nona settimana di gravidanza, i gemelli le intrecciano. Si prendono per mano.
Giochi e movimenti reciproci: Ricerche, anche italiane (Beretta, Bonghi, Testa, 2003), hanno dimostrato che «Durante il quarto mese di gestazione i gemelli giocano, hanno dei movimenti uno verso l’altro che non si riscontrano nelle gravidanze non gemellari.»
Simbiosi e fusione d’identità: Questa comunicazione inizia a livello fetale con reciproche sollecitazioni e risposte. Il legame che unisce due gemelli è qualcosa di estremamente profondo, perché inizia con la formazione embrionale di entrambi e dura per tutta la vita, perfino a distanza. Sono in continua interazione tra di loro e si condizionano sia a livello psichico che fisico. Si parla di complementarietà marcata, di legami simbiotici e perfino di fusione d’identità (Brustria Rollé, Pogliano, De Pascale, 2007).
Riconoscimento post-natale: Il legame persiste anche dopo la nascita. La vicinanza del gemello risulta tranquillizzante per il neonato, mentre la separazione origina agitazione. Un esempio toccante di questa connessione è che prima di apprendere a dire “mamma” i gemelli pronunciano come prima parola l’uno il nome dell’altro.
L’interruzione improvvisa e traumatica di questa connessione potentissima, anche se non ricordata consapevolmente, è un evento di portata totale per l’embrione sopravvissuto. L’embrione perde una parte di sé, un compagno esistenziale. Non era mai stato solo, fino a quel momento, non conosceva la possibilità di assenza dell’altro, non conosceva la morte. Un simile dolore così precoce e così assoluto può lasciare tracce molto pesanti nello sviluppo del neonato, ed accompagnarlo in tutta la sua vita.