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DNA antico svela l’origine della peste nera

Per secoli gli scienziati e gli storici si sono domandati quale fosse esattamente il ceppo di peste che devastò l’impero bizantino nel VI secolo, sotto l’imperatore Giustiniano I. Si dibatteva se fosse un antenato della Morte Nera del XIV secolo, che uccise quasi un terzo della popolazione mondiale, oppure qualcosa di diverso.

Il VI secolo fu un periodo terribile in cui il sole si oscurò, il clima si raffreddò e in tutto il mondo si verificarono carestie e malnutrizione. Si verificò anche una devastante epidemia di peste che si propagò in tutto l’impero bizantino, nota come la peste di Giustiniano.

La risposta è arrivata dal sito archeologico di Gerasa in Giordania, dove l’ippodromo cittadino divenne un cimitero comune.

Veduta del sito archeologico di Gerasa in Giordania, attuale Jerash. Foto di JoTB

Le analisi genetiche del DNA antico estratto da alcuni dei resti umani hanno riscontrato la presenza proprio del batterio Yersinia pestis in forme quasi identiche fra i vari campioni del periodo. Il dato conferma le evidenze archeologiche (un’arena ludica convertita in fossa comune) e le fonti antiche, che descrivono un’improvvisa ondata di mortalità.
Uno studio parallelo fra genomi antichi e moderni di Yersinia pestis ha inoltre dimostrato che il batterio circolava tra le popolazioni umani da da molto tempo e che le sue versioni successive, sia quella medievale e che quella attuale, si sono sviluppate non da un singolo ceppo ancestrale ma da ripetute ed indipendenti evoluzioni mediante contatto interspecie con gli animali. Ricordiamo che il batterio della peste è trasportato dalle pulci, che affliggono sia i roditori che le persone.

Ma da dove arriva questo batterio?

Per quanto riguarda la peste di Giustiniano, si ritiene che abbia avuto origine in Etiopia o Egitto e si sia poi diffusa con gli scambi commerciali e con le guerre.

Per la morte nera del XIV secolo, si ipotizza sia nata nell’altopiano della Mongolia, per poi diffondersi in Cina, Siria, quindi in Turchia, Grecia, Egitto e poi a seguire in tutto il resto dell’Europa. Significativo è il fatto che buona parte del contagio è da attribuire ad un atto che oggi chiameremmo “bioterrorismo” compiuto dai tartari. Nel 1347 l’esercito dei tartari stava assediando Caffa, scalo commerciale della città di Genova in Crimea. Le fila dell’esercito orientale erano sconvolte da un’epidemia di peste, diffusa da qualche anno in Asia e così il khan Ganibek decise di utilizzare i corpi dei soldati morti per espugnare la città, catapultandoli oltre le mura. I marinai genovesi scappando da Caffa portarono la peste nei porti del Mediterraneo e da lì la malattia si diffuse in tutta Europa.

Le varie ondate epidemiche del XVII secolo vengono attribuite a spostamenti di truppe che dalla zona della Germania portarono il morbo verso l’Italia. Gli esperti ritengono che si trattasse in realtà di una prosecuzione dell’epidemia di 300 anni prima, divenuta endemica e quindi soggetta a ripresentarsi ciclicamente.

L’ultima grande pandemia di peste iniziò in Cina a fine XIX secolo e da lì si diffuse al resto dei continenti, contagiando oltre 30 milioni di persone e uccidendone 12 milioni. Questa nuova diffusione della malattia fu affrontata con uno sforzo multinazionale di ricerca che portò all’identificazione dell’agente della malattia. Nel 1894, Yersin e Kitasato, lavorando separatamente, descrissero un batterio gram negativo, isolato a Hong Kong dai bubboni di persone morte di peste.

Tuttavia l’origine della peste è molto più antica.

Secondo due studi, pubblicati su Nature e Cell, dai paleomicrobiologi dell’università di Copenaghen, in Danimarca, l’infezione colpì ripetutamente anche durante il tardo Neolitico, e cioè tra 5.300 e 4.900 anni fa. In tal caso, potrebbe essere responsabile di un fenomeno noto come declino del Neolitico, durante il quale si ebbe un improvviso calo della popolazione, finora mai spiegato in modo convincente. Il DNA antico di individui sepolti tra il 5100 ed il 4900 aC in Svezia hanno infatti riscontrato la presenza di un antico ceppo di Yersinia pestis, che è stato chiamato Gok2. I ricercatori sono riusciti a stabilire che probabilmente si differenziò da altri ceppi circa già alcuni secoli prima.

La ricerca suggerisce che la diffusione della peste in Europa sarebbe stata favorita dall’espansione della cultura di Trypillian, proveniente da un territorio a cavallo fra le moderne Moldavia, Romania e Ucraina. Tra il 4000 e il 3400 a.C. questi popoli costruivano insediamenti di dimensioni mai viste, capaci di ospitare fino a ventimila persone e migliaia di animali. I ricercatori pensano che questi mega-insedimaneti fossero degli incubatori ideali per la nascita e la diffusione di batteri. Tali cittadine venivano bruciate ogni 100 anni circa e ricostruite altrove, poi cessarono di esistere all’alba dell’età del bronzo. Probabilmente il motivo per cui venivano distrutte era proprio l’epidemia che si diffondeva.

Dal DNA antico di alcuni cacciatori-raccoglitori vissuti in Lettonia nel 5300 a.C. è stato isolato un ceppo di Yersinia pestis ancora più antico, che – secondo i ricercatori – si trasmetteva solo dagli animali all’uomo. Quindi, pur causando una malattia con esiti mortali, non aveva modo di diffondersi come epidemia.

Analogo risultato era già stato ottenuto dall’esame di 563 campioni di ossa e denti umani del tardo Neolitico provenienti da Russia, Ungheria, Croazia, Germania, Lituania, Estonia e Lettonia, collegando il diffondersi della peste in Europa ai flussi migratori del Neolitico. Dunque, probabilmente, il batterio della peste emerse in tale fase preistorica, mutò divenendo più aggressivo e generò una situazione endemica soggetta a ciclici ritorni.

Ciò sarebbe in qualche modo compatibile col fatto che della peste parli Omero, così come sia citata nella Bibbia (che a sua volta è ispirata ai testi babilonesi) e nei testi musulmani. L’esistenza del dio Nergal della peste, suggerisce che il problema fosse noto ai sumeri nel IV millennio a.C.

In effetti varie ricerche recenti hanno confermato ulteriormente come la peste sia stata una malattia endemica per millenni, emergendo più volte in modo indipendente dai serbatoi animali. Alcuni studi di paleogenomica hanno esaminato l’evoluzione genetica di Yersinia pestis nel corso del tempo. Una scoperta notevole riguarda il gene pla, che aiuta il batterio a penetrare e diffondersi nell’organismo. Le analisi hanno mostrato che il numero di copie di questo gene è diminuito nelle ondate pandemiche più recenti (dal XIV secolo in poi) rispetto a quelle più antiche. Questa riduzione ha reso il batterio meno letale, ma ha permesso agli ospiti (come i ratti) di sopravvivere più a lungo, aumentando la durata e la portata delle epidemie.

Va detto che la peste non è scomparsa. Oggi la malattia è diffusa soprattutto in Africa, Asia e America, con migliaia di casi segnalati ogni anno. Le aree più colpite includono la Repubblica Democratica del Congo, il Madagascar e il Perù. Attualmente stanno emergendo ceppi di Yersinia pestis resistenti agli antibiotici, il che suscita qualche preoccupazione per la prossima ondata.



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