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[Nel cinquantesimo anniversario dell'attacco alla USS Liberty da parte israeliana, riproponiamo questo articolo originariamente pubblicato su NEXUS New Times n. 50 (giugno – luglio 2004) su un avvenimento ancora misterioso (e taciuto) della nostra storia recente…]


Durante il conflitto arabo-israeliano del giugno 1967 le acque del Mediterraneo orientale furono scenario di un inspiegabile attacco delle forze aeree e navali israeliane contro l’unità USS Liberty della Marina degli Stati Uniti. Ripercorriamo in breve la cronaca dell’episodio ricordando come da allora le sue dinamiche non siano mai state chiarite andando ad aggiungersi all’elenco, purtroppo sempre più lungo, dei misteri della nostra storia contemporanea. Abbiamo scelto di ricostruire questa tragedia omettendo deliberatamente i particolari delle testimonianze dirette dei superstiti che, come i lettori possono ben comprendere, descrivono dettagliatamente tutti gli orrori del dramma vissuto.


La mattina dell’8 giugno 1967 annunciava una bellissima giornata con il mare tranquillo e il sole splendente nel cielo terso. Sulla USS Liberty in navigazione nelle acque internazionali del Mediterraneo orientale a circa 13 miglia dalle coste della Penisola del Sinai una parte dell’equipaggio era al lavoro, alcuni marinai erano a riposare dopo il faticoso turno notturno, altri si abbronzavano sul ponte. La nave, una delle più anziane in servizio nell’US Navy, era un vecchio piroscafo da carico, del tipo Liberty appunto, utilizzato nel corso della Seconda Guerra Mondiale per i trasporti logistici, in seguito l’unità era stata ristrutturata e trasformata in un centro di ascolto radio.

La USS Liberty era praticamente disarmata, aveva soltanto quattro mitragliatrici, ma era dotata di moderni apparati di ricezione in grado di captare i segnali radio su un ampio spettro di frequenze. Aveva installato anche uno dei primi sofisticati sistemi TRSSCOMM in grado d’inviare in tempo reale i messaggi e i dati intercettati al centro della National Security Agency di Washington. Era stata inviata in quella zona per ascoltare le comunicazioni in corso nel conflitto arabo-israeliano iniziato quattro giorni prima. In quelle ore l’esercito di Tel Aviv stava avanzando nel Sinai travolgendo le difese egiziane, le truppe beduine giordane avevano ormai perduto il controllo di Gerusalemme e della Cisgiordania mentre i reparti corazzati israeliani affluivano verso le alture del Golan siriano. Il governo statunitense conosceva da tempo le intenzioni d’Israele per scatenare un attacco ai suoi vicini e per ogni evenienza aveva inviato la Sesta Flotta nel Mediterraneo. La USS Liberty era indubbiamente l’unità più vicina al teatro dei combattimenti e, come si è detto,  navigava lentamente in acque internazionali percorrendo avanti e indietro il tratto di mare tra Port Said e Gaza, mentre in quelle stesse ore il grosso della Sesta Flotta era in navigazione nei pressi dell’isola di Creta.

La nave era chiaramente riconoscibile dalla sigla GTR-5 dipinta sulle fiancate e per la grande bandiera a stelle e strisce issata sulla torre maestra. Dalle ore 8.00 di quella mattina la calma venne interrotta da alcuni velivoli ricognitori dell’aviazione militare israeliana che a bassa quota sorvolarono in circolo una dozzina di volte la nave, i membri dell’equipaggio sul ponte si sbracciarono a salutare i piloti israeliani e la giornata continuò nella solita routine operativa. Improvvisamente alle 14.00, proveniente da direzione Tel Aviv, una squadriglia di aerei Mirage III con la stella di David arrivò veloce a pelo d’acqua aprendo il fuoco con cannoni e razzi, fu seguita dopo alcuni minuti da una squadriglia di caccia bombardieri Mister che oltre a sparare con i loro cannoni da 30 millimetri centrarono la nave con numerose bombe al napalm. La USS Liberty si incendiò immediatamente con otto membri dell’equipaggio morti e oltre cento feriti compreso il Comandante William McGonagle. Mentre i sopravvissuti si prodigavano a prestare soccorso ai compagni e a spegnere gli incendi, alle 14.24 sopraggiunsero tre motosiluranti della marina israeliana provenienti dalla base di Ashdod che iniziarono un intenso cannoneggiamento con pezzi da 20 e da 40 millimetri. Alle 14.31 vennero lanciati cinque siluri, quattro mancarono il bersaglio ma uno di questi colpì il centro dell’unità uccidendo altri venticinque marinai statunitensi e creando una falla di oltre dieci metri che fece imbarcare una grande quantità d’acqua e inclinare pericolosamente l’unità. Alle 15.15 il comandante diede l’ordine di abbandonare la nave ma le motosiluranti mitragliarono i canotti di salvataggio rendendoli inservibili e uccidendo un altro marinaio.


Sopra: tre foto dell’enorme squarcio al centro dello scafo, prodotto da uno dei siluri lanciati dalle motosiluranti israeliane.


L’equipaggio rimase a bordo lavorando pesantemente per mantenere la nave a galla e cercando di contattare con attrezzature radio di emergenza il comando della Sesta Flotta. Dopo ripetuti tentativi riuscirono a stabilire un collegamento, a lanciare il My-day e ad informare sulla situazione. L’incredulo comando dopo qualche incertezza lanciò dalle portaerei Saratoga e America alcuni cacciabombardieri F-4 Phantom in missione di soccorso e protezione ma, inspiegabilmente, l’operazione venne annullata da un ordine diretto del Segretario alla Difesa Robert McNamara e del Presidente Lyndon B. Johnson. Gli aerei dovettero rientrare sul ponte delle loro unità.

Circa un’ora più tardi le motosiluranti israeliane ritornarono ad avvicinarsi in formazione d’attacco per il colpo finale che avrebbe sicuramente provocato l’affondamento dell’unità, il comandante della Liberty diede ordine all’equipaggio di prepararsi a respingere ogni tentativo di abbordaggio, ma di li a poco le unità attaccanti cominciarono ad allontanarsi forse temendo l’arrivo della Sesta Flotta. Poco prima di andarsene qualcuno da una delle motosiluranti israeliane chiese con un megafono: “Ehi, avete qualche problema a bordo?”.
L’attacco israeliano lasciò la USS Liberty agonizzante, perforata da migliaia di colpi e schegge, inclinata e disseminata da focolai di incendi, il suo equipaggio di  297 uomini aveva sofferto 34 morti e 171 feriti [vedi immagine in apertura, ndr]. Per la Marina degli Stati Uniti fu la più pesante perdita dovuta ad azione ostile dalla Seconda Guerra Mondiale.



Sopra: foro alla Liberty visto dall'interno



Sopra: buchi da mitragliatrice


I mai chiariti perché

Nelle ore successive il governo d’Israele porse le scuse ufficiali e si giustificò sostenendo che l’attacco fosse dovuto ad un errore d’identificazione, la USS Liberty era stata scambiata per la nave militare egiziana El Quseir [a destra, ndr] adibita al trasporto di cavalli. Vale la pena di sottolineare che la Liberty aveva una stazza di quasi 10.000 tonnellate mentre la vetusta unità egiziana superava di poco le 2.500 tonnellate, le loro dimensioni e il loro profilo erano completamente differenti. Il Segretario di Stato statunitense Dean Rusk, il capo dei consiglieri di politica estera Clark Clifford e il Capo di Stato Maggiore l’Ammiraglio Thomas Moorer, insistettero sul fatto che l’attacco fosse stato deliberato. Alle stesse conclusioni arrivarono tre dettagliati rapporti della CIA. Uno di questi sosteneva che l’ordine d’attacco era stato dato personalmente dal Generale Moshe Dayan, Ministro della Difesa d’Israele.

Questi rapporti vennero deliberatamente nascosti dal Presidente Johnson e dal suo Segretario alla Difesa. La Casa Bianca e il Congresso accettarono le spiegazioni del governo israeliano. L’ufficio legale dell’US Navy quantificò i danni ai propri beni e all’equipaggio in circa 40 milioni di dollari ma il governo d’Israele versò sei milioni di dollari come riparazione per le vittime, "un dollaro per ogni ebreo ucciso nei campi di concentramento" dissero, e una somma analoga nel 1980 per chiudere il contenzioso. Il vice Presidente Walter Mondale accettò il versamento alla vigilia di Natale, proprio quando il Congresso e il Presidente Carter erano in vacanza. Il Dipartimento di Stato diramò subito un comunicato, riportato in prima pagina dal New York Times, che annunciava

“Ora il dossier sulla USS Liberty è chiuso”.

Da allora al Congresso fu impossibile rinnovare l’interesse sul caso. Israele pagò i sei milioni di dollari in tre rate annuali di 2 milioni l’una. In seguito il Segretario di Stato Dean Rusk dichiarò di considerare quel pagamento privo di significato poiché il Congresso decise un aumento dei fondi ad Israele pari a quella cifra. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti d’America il Congresso non fece un’inchiesta su un attacco ad una nave che aveva provocato delle vittime.  
Questa decisione provocò il malumore e la disperazione dei sopravvissuti e delle famiglie dei caduti che da allora si sentirono oggetto di un’incomprensibile ingiustizia. L’equipaggio della USS Liberty venne smembrato e disperso, a tutto il personale venne ordinato tassativamente di mantenere l’assoluto silenzio sui fatti, pena la Corte Marziale, stesso ordine venne imposto agli equipaggi degli aerei impiegati nella missione di soccorso in seguito annullata. Soltanto al termine del loro servizio nella Marina i sopravvissuti iniziarono a raccontare la loro tragedia.

Il governo israeliano e i gruppi statunitensi che ne sostengono la politica iniziarono ad accusare ripetutamente i sopravvissuti della USS Liberty di essere incompetenti, ubriaconi, anti-semiti e nemici d’Israele. Da allora i maggiori canali televisivi statunitensi si rifiutano d’intervistare i membri dell’equipaggio e i libri scritti sull’argomento in questi anni sono stati esclusi dalle normali reti di distribuzione.
Oggi, a 37 anni da quei fatti, queste persone incontrano ancora grandi difficoltà nel trovare spazio sugli organi d’informazione per raccontare la loro storia e rivendicare giustizia e verità in quella che, imperterrite, continuano sempre a chiedere: un’inchiesta ufficiale.
Sulle lapidi tombali dei marinai uccisi venne imposta la scritta “caduto nel Mediterraneo orientale”, una citazione venne assegnata ai membri dell’equipaggio nel 1967 ma essi ne vennero a conoscenza soltanto nel 1991 nel corso di una manifestazione non ufficiale. Il Comandante William McGonagle venne decorato con la Medaglia d’Onore, per l’eroismo suo e quello del suo equipaggio, in una cerimonia non alla Casa Bianca come è prassi e tradizione ma in un evento defilato presso l’arsenale navale di Washington.

Ma perché Israele avrebbe dovuto affondare una nave degli Stati Uniti, il paese suo principale alleato e benefattore? È probabile che questo venne deciso dalle massime autorità del governo israeliano perché l’attività di ascolto e intercettazione della USS Liberty avrebbe smentito le dichiarazioni ufficiali del 5 giugno sul fatto che l’Egitto aveva attaccato Israele e che l’attacco della sua aviazione ai tre paesi arabi era soltanto una rappresaglia per questo. In realtà, la guerra venne iniziata da Israele con un attacco devastante, in stile Pearl Harbor, che sorprese gli arabi nel sonno e distrusse le loro forze aeree. Conoscendo da tempo queste intenzioni, Washington aveva avvertito Tel Aviv di non invadere la Siria che era rimasta inattiva. L’inchiesta di James Bamford sostiene come l’apparizione della Liberty al largo di Gaza fece ritardare l’attacco alla Siria che Israele aveva accusato di averla attaccata, i dati raccolti dall’equipaggio dell’unità statunitense avrebbero smentito queste affermazioni. Le intercettazioni radio della Liberty avrebbero anche provato i preparativi di guerra del maggio-giugno 1967, pianificati da tempo e diretti all’invasione e all’annessione della Cisgiordania, di Gaza, del Golan e della penisola del Sinai.

Nel novembre 1991Rowland Evans e Robert Novak, giornalisti del New York Post, rivelarono che tra i messaggi  intercettati dall’ambasciata USA di Beirut durante l’attacco all’USS Liberty c’è ne uno nel quale un pilota israeliano comunicava chiaramente che “è una nave americana” ma il comando di Tel Aviv ne ignorò l’avviso e ordinò al pilota di attaccare. I due giornalisti concludono sostenendo come la decisione di attacco fosse dovuta al fatto che la USS Liberty avrebbe registrato tutte le comunicazioni tra le unità dell’esercito israeliano in movimento per l’invasione della Siria, cosa che avvenne il giorno seguente. Queste notizie vennero confermate da Dwight Porter, che nel 1967 era l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libano.   

Un’altra storia apparve sul quotidiano israeliano Yediot Ahronot del 17 agosto 1995, lo storico Gabby Bron sosteneva come l’equipaggio dell’USS Liberty forse era stato, quella mattina, involontario testimone dell’esecuzione di un gruppo di 150 prigionieri di guerra egiziani eseguita nei pressi dell’aeroporto di El Arish direttamente visibile dal mare con adeguati strumenti ottici. Oppure avrebbero intercettato le comunicazioni radio dei militari israeliani impegnati in quel massacro che violava ogni legislazione internazionale. Ma questa, per il momento, rimane soltanto un’ipotesi.
Ma perché, si chiede James Bamford nella sua storia della NSA, nonostante le schiaccianti evidenze sul deliberato attacco israeliano all’unità statunitense e sull’uccisione del suo equipaggio, l’amministrazione Johnson e il Congresso statunitense coprirono integralmente l’incidente? Pare che il Presidente preferì nascondere l’attacco piuttosto che irritare i sostenitori e finanziatori del Partito Democratico in un momento molto critico della politica interna statunitense. Infatti, le ripercussioni della sua fallimentare politica nel conflitto vietnamita lo spinsero ad offrire ai membri ebrei liberals del Partito Democratico un appoggio incondizionato ad Israele ed un insabbiamento sull’attacco alla USS Liberty. In cambio ottenne la sospensione delle loro pressanti critiche sul suo operato in Vietnam.

Le prove scomparse

Diversi membri dell’equipaggio della USS Liberty, che si trovavano sul ponte e sulla plancia di comando, dichiararono di aver notato nei momenti precedenti l’attacco la scia del periscopio di un sottomarino a breve distanza dalla loro nave.
Joe Lentini, uno dei marinai sopravvissuti ha raccontato che qualche settimana più tardi, mentre si trovava in cura presso l’ospedale navale di Portsmouth in Virginia, venne avvicinato da un altro marinaio che aveva notato la scritta USS Liberty sulla sua divisa, questi rivelò che era a bordo di un sottomarino e che…

“Vedemmo tutto, scattammo numerose fotografie di quanto succedeva e inviammo un ufficiale a consegnare il materiale al Pentagono”.

Lentini rimase così sconvolto da quelle dichiarazioni che non comprese il nome dell’unità sulla quale era imbarcato il suo commilitone. In seguito, James M. Ennes, Jr. [a destra, ndr] un sopravvissuto che da anni conduce indagini approfondite sulla tragedia, riuscì ad avere la conferma che l’unità subacquea in questione fosse l’USS Amberjack SS522 in missione di ricognizione. Scoprì anche che nella stessa zona, in quelle stesse ore, erano presenti altri due sottomarini statunitensi, l’USS Trutta SS421 e l’USS Requin SS481, più un sottomarino francese ed uno della Marina italiana. Per non parlare della verosimile presenza dei sottomarini sovietici. È possibile che, se non tutte, almeno alcune di queste unità siano state testimoni dell’attacco alla nave statunitense e che abbiano potuto registrare immagini e comunicazioni radio dell’episodio. In seguito altri membri dell’equipaggio del sottomarino Amberjack raccontarono di essere stati talmente vicini e sotto la Liberty che pensarono di essere loro l’oggetto dell’attacco. All’Amberjack venne ordinato di far rotta su Souda Bay a Creta, dove all’equipaggio venne vietato di scendere a terra, in seguito venne spostato a Malta dove fu ancorato vicino alla carcassa della Liberty. James M. Ennes, Jr. ha anche potuto raccogliere la testimonianza del suo vecchio commilitone Charles Rowley, operatore radio intercettore della Liberty: questi ha dichiarato che poco prima dell’attacco aveva rilevato e decifrato uno strano segnale e lo aveva immediatamente inviato a Washington. Invece di ringraziarlo per il lavoro eseguito, dalla capitale gli ordinarono di distruggere immediatamente ogni copia della registrazione e di ignorare ogni segnale similare che avesse ascoltato in seguito. Chiese spiegazione di questa reazione ai suoi colleghi più anziani e competenti, questi gli risposero che, probabilmente, si trattava dei segnali di un sottomarino coinvolto in operazioni chiamate “Cyanide” o “Frontlet 615”.  In quei momenti Rowley pensò soltanto che si trattasse di programmi segreti sui sottomarini.

Nel 1988 la Lyndon B. Johnson Library declassificò un documento riservato con il timbro "Eyes Only" datato 10 aprile 1967, si trattava del verbale del Generale Ralph D. Steakley su una riunione del "Comitato 303". A quella riunione erano presenti anche Walt Rostow, Foy Kohler, Cyrus Vance e l’Ammiraglio Rufus Taylor. Secondo il documento, il Generale Steakley illustrò ai presenti un progetto riservato del Dipartimento della Difesa conosciuto come Frontlet 615. Nell’originale della memoria esso viene descritto in una nota a mano come “sottomarino operante all’interno delle acque della UAR, la Repubblica Araba Unita”. Dopo aver esplorato le alternative “la proposta venne approvata dai membri del comitato”.  Anni dopo questo documento venne archiviato nel fascicolo USS Liberty della biblioteca Lyndon B. Johnson. Perché proprio in quel fascicolo?, si sono chiesti i sopravvissuti. È ovvio che si tratta di un qualcosa che ha a che fare con l’attacco alla nave, perché si tratta probabilmente del sottomarino che vide tutto.

Un’altra crepa nel muro di gomma avvenne nell’aprile 2001 quando sul libro “Body of Secrets”, dedicato alla storia della NSA, l’autore James Bamford, riconosciuto esperto in materia di intelligence, rivelò come le forze israeliane non si accorsero che un aeroplano EC-121 per la ricognizione elettronica dell’US Navy in volo ad alta quota avesse registrato tutte le fasi dell’attacco e le comunicazioni radio tra le unità aeree e navali israeliane e quelle tra queste e i loro centri di comando. L’equipaggio del ricognitore aveva potuto acquisire le prove che i piloti israeliani erano consapevoli di attaccare un’unità della US Navy con la bandiera a stelle e strisce ben visibile.


Sopra: rispettivamente, ricognitore e motovedetta israeliani


I sopravvissuti si appellarono al FOIA, il Freedom of Information Act che, come garantisce la Costituzione statunitense, consente ai cittadini di avere accesso a tutti i documenti che riguardano un comportamento illegittimo dell’amministrazione. Chiesero di poter vedere ogni documento relativo agli episodi sopra citati presente negli archivi della Marina, del Dipartimento della Difesa, del Consiglio Nazionale per la Sicurezza, della National Security Agency, della CIA, dello Stato Maggiore della Difesa e in qualsiasi altro archivio pubblico. A sostegno della richiesta vennero allegate copie dei documenti declassificati. La risposta fu che non esistevano documenti in possesso degli uffici governativi relativi a Cyanide, a Frontlet 615 o ad unità subacquee in navigazione nei pressi della Liberty nel giugno del 1967.

A quasi 40 anni di distanza i documenti relativi a quei tragici fatti vengono mantenuti secretati dal Governo degli Stati Uniti. L’ex Segretario alla Difesa McNamara, nonostante le sue recenti memorie dove autocritica la sua politica durante il conflitto vietnamita, continua a sostenere di non ricordare assolutamente niente di un suo ruolo nell’episodio.

Perché, se l’attacco fu realmente un errore, Israele e i suoi sostenitori continuano così fortemente ad opporsi ad un’inchiesta del Congresso degli USA? Come mai questi eroici veterani vengono così strenuamente ostacolati e attaccati? Sono questi i principali interrogativi che i sopravvissuti e le famiglie dei caduti della USS Liberty si pongono, pongono al loro paese e all’opinione pubblica internazionale.

La difficile ricerca della verità

A parte l’attività dei veterani della Liberty e dell’associazione delle famiglie delle vittime, vogliamo segnalare alcune altre persone che negli scorsi anni hanno cercato di superare il muro di gomma che ci separa dalla verità sul tragico episodio.
Uno dei pochi rappresentanti al Congresso degli Stati Uniti che non credettero mai alla versione ufficiale israeliana fu il Senatore Adlai Stevenson III. Durante una conferenza stampa denunciò la sua convinzione sulla deliberatezza dell’attacco e sulla necessità di un’inchiesta ufficiale. Dichiarò che avrebbe speso tutto il periodo rimanente del suo incarico per l’apertura dell’inchiesta. Non venne più rieletto.
Dopo un’approfondita analisi, il Comandante Walter Jacobsen dell’ufficio legale dell’US Navy, sostenne su Naval Law Review dell’inverno 1986, come l’attacco fosse stato un deliberato crimine di guerra. Il rapporto sottolinea come l’episodio in molti aspetti violi la Convenzione di Ginevra perché l’attacco non era legalmente giustificato e ha costituito un atto di aggressione contro lo statuto delle Nazioni Unite. L’utilizzo di velivoli senza contrassegni, la deliberata distruzione delle scialuppe di salvataggio in acqua, il disturbo delle frequenze radio di soccorso internazionale e il mancato soccorso da parte dei comandanti delle motosiluranti all’equipaggio ferito e indifeso furono tutte violazioni alle leggi internazionali. Inoltre, il rifiuto del Governo degli Stati Uniti a condurre un’inchiesta viola anch’esso la Convenzione di Ginevra. Infatti, gli Stati Uniti, come firmatari della Convenzione di Ginevra nel 1949, sono “sotto l’obbligo di investigare sulle persone accusate di aver commesso, o di aver ordinato di commettere” le violazioni delle convenzioni, e di provvedere che questi criminali vengano assicurati alla giustizia. Non vi possono essere eccezioni.  

Il 6 giugno 2002, un altro politico statunitense, il deputato Cynthia McKinney, fece la seguente dichiarazione alla Camera dei Rappresentati del suo paese: 

“Onorevoli colleghi, vi parlo per commemorare e riconoscere il tragico attacco che ebbe luogo l’8 giugno 1967 contro la nave USS Liberty. Nonostante siano trascorsi 35 anni da questo tragico evento, i sopravvissuti della Liberty stanno ancora lottando con il fatto che la loro storia non sia ancora conosciuta. Nonostante non ci sia ancora stata un’inchiesta ufficiale su questo evento, abbiamo appreso dei racconti dei sopravvissuti che per oltre 75 minuti le forze armate d’Israele attaccarono la Liberty, uccidendo 34 militari americani e ferendone altri 172. Con il 70 per cento dell’equipaggio morto o ferito, essi riuscirono in qualche modo a mantenere a galla la nave dopo che era stata colpita da oltre mille colpi di razzi, cannoni, mitragliatrici, bombe al napalm e perfino da un siluro. Questo attacco non provocato ebbe luogo in acque internazionali e da parte di un nostro alleato di fiducia. La sola spiegazione data ai sopravvissuti e alle loro famiglie fu che si trattò di un incidente e che la nave non venne identificata come americana, nonostante il fatto che la nostra bandiera vi sventolasse magnificamente. Sfortunatamente, questa spiegazione non è sufficiente per quelli le cui vite  sono state spezzate da questo attacco e non è sufficiente per il popolo americano. Non lasciamo trascorrere altri 35 anni prima di poter fornire ai sopravvissuti un’inchiesta ufficiale sul perché questo attacco ebbe luogo e permettiamo ad essi di raccontare la loro storia. A loro dobbiamo più che un debito di gratitudine per il loro sacrificio; gli dobbiamo la verità.”

Naturalmente la McKinney non venne rieletta alle successive elezioni.

Sviluppi recenti

Lo scorso ottobre [2003, ndr] il Capitano Ward Boston consigliere legale della US Navy, ora in pensione, ha rivelato nel corso di una conferenza stampa, durante la quale ha consegnato una memoria giurata, che nel 1967 furono il Presidente Johnson e il Segretario alla Difesa Mcnamara ad ordinare agli inquirenti di concludere il caso come un incidente. Boston ha sostenuto di essere rimasto in silenzio in tutti questi anni perché era un militare e doveva obbedire a specifici ordini di segretezza su quell’episodio.
Agli inizi di gennaio di quest’anno [2004, ndr] l’Ammiraglio Thomas Moorer, già comandante in capo dello Stato Maggiore della Difesa degli Stati Uniti dal 1970 al 1974, ha illustrato quanto risultato da un’inchiesta indipendente svolta sul tragico attacco alla Liberty assieme al Generale Ray Davis (recentemente scomparso), all’Ammiraglio Merling Staring già avvocato generale della Marina e all’ex-ambasciatore James Akins. Nella relazione viene sottolineato che:

1) i velivoli da ricognizione israeliana hanno potuto sorvolare e osservare attentamente la Liberty per circa otto ore prima dell’attacco da altezze anche prossime ai 60 metri. I rapporti meteorologici confermano come la giornata fosse limpida e la visibilità illimitata. L’unità era in navigazione in acque internazionali, aveva la bandiera sul pennone ed era dotata di grandi marche di identificazione sui lati dello scafo. La massiccia presenza di antenne radio e la sua stazza la rendevano completamente differente da qualsiasi imbarcazione della marina egiziana, ciò rende non credibile l’errore come giustificato dall’intelligence israeliana.

2) Israele ha tentato di prevenire l’invio di richieste di soccorso da parte dei radio operatori della Liberty disturbando i canali di soccorso di emergenza.

3) Le motosiluranti israeliane hanno mitragliato da breve distanza e affondato le scialuppe di salvataggio della Liberty che erano state ammainate per raccogliere i feriti.

Come risultato di quanto sopra la commissione ha concluso che:

a) esiste una forte evidenza che l’attacco israeliano fu un tentativo deliberato di distruggere una nave americana e uccidere l’intero equipaggio;

b) attaccando la Liberty, Israele ha commesso atti di assassinio nei confronti di marinai statunitensi e un atto di guerra contro gli Stati Uniti;

c) la Casa Bianca ha nascosto deliberatamente i fatti di questo attacco agli occhi del popolo americano;

d) tuttora la verità su quella che può essere definita una disgrazia nazionale continua ad essere mantenuta nascosta.

Queste recenti dichiarazioni rappresentano la conferma di quello che in passato è stato sostenuto dal pluridecorato Comandante della Liberty William McGonagle, dalla Cia in tre dettagliati rapporti, dal Segretario di Stato Dean Rusk e da Clark Clifford all’epoca capo dei consiglieri di politica estera.


Note

Tra i libri pubblicati sul caso USS Liberty segnaliamo:

  1. James M. Ennes, Jr. “Assault on the Liberty”, vari editori: Random House 1980, Ballantine Books 1986, Reintree Press 2002, Pag. 299;
  2. John Borne “The Uss Liberty – Dissent History vs. Official History”, Reconsideration Press 1995, Pag. 318;
  3. William D. Gerhard, Attack on the USS Liberty, Aegean Park Press 1981, Pag. 135;

I membri dell’equipaggio sopravvissuti hanno realizzato un sito (http://www.ussliberty.org) che contiene una grande quantità di documenti unici, tra cui le loro drammatiche testimonianze, una serie di significative immagini fotografiche, pagine del libro di bordo, i rapporti dell’intelligence e degli esperti, l’elenco di tutte le pubblicazioni e dei principali articoli apparsi sull’argomento, ecc. Da questo sito è possibile collegarsi a numerosi altri siti che parlano dello stesso argomento e che spesso contengono documenti di grande interesse storico.


Fonte: edizione cartacea di NEXUS New Times n. 50, giugno – luglio 2004


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