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    Afghanistan, l’orrore nei racconti dei soldati di Enrico Piovesana

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    «Dopo sei mesi di missione in Iraq sono venuto volontario in Afghanistan. Non avevamo capito che qui sarebbe stata così dura. È stato uno shock! In confronto con la situazione afghana, quella irachena era tranquilla». Sono le parole di Michael Diamond, 20 anni, soldato del 1° Battaglione del Reggimento Reale Irlandese dell'esercito britannico. Diamond è appena tornato dal fronte, da Musa Qala, nella provincia di Helmand, dove i talebani hanno tenuto sotto assedio le forze Isaf per mesi, fino a costringerle alla ritirata, avvenuta pochi giorni fa. «I loro attacchi iniziavano ogni giorno intorno alle 4 del mattino e proseguivano per sei, sette ore», racconta il suo comandante, Paul Martin, 29 anni, gravemente ferito da una granata lanciata dai talebani su una postazione d'artiglieria britannica. «Sono tenaci, coraggiosi e addestrati. Ci stavano addosso senza sosta. È stata molto dura».
    Racconti simili quelli che arrivano dai soldati canadesi, che nelle scorse settimane hanno combattuto a Panjwayi e Zhari, nella provincia di Kandahar. L'operazione «Medusa» è stata segnata da violente battaglie che hanno lasciato sul terreno 43 soldati canadesi e 231 feriti, molti dei quali – un numero molto maggiore di quelli dichiarati dal governo di Ottawa – paralizzati e mutilati. Proprio sui feriti gravi è in corso a Ottawa una durissima polemica tra governo e opposizioni: queste ultime accusano il ministero della Difesa di fornire cifre false, ampiamente sottostimate, sul numero dei ragazzi che tornano dall'Afghanistan senza gambe, braccia o costretti per tutta la vita su una sedia a rotelle. Ma l'accusa più dura è quella di aver mentito alla nazione, usando la menzogna della «missione di pace» per mandare i ragazzi canadesi a morire in guerra.
    Anche le truppe olandesi impegnate sul fronte nord del «triangolo talebano», quello della provincia centrale di Uruzgan, stanno pagando le conseguenze di mesi di battaglie. Soprattutto dal punto di vista psicologico. Molti soldati inviati a combattere i talebani in Afghanistan si sono trovati in una situazione così dura che hanno perso la testa. Chi, secondo la stampa olandese, dandosi ad atti di violenza gratuita, chi suicidandosi, come ha fatto lo scorso 11 ottobre il sergente Dijkstra. L'esperienza afghana deve essere stata davvero dura se i reduci, pur di non essere rimandati al fronte, preferiscono la galera. Come il soldato ventunenne Wegenaar, afflitto da disturbi psichici dovuti alla sua ultima missione in Afghanistan e ora finito davanti alla corte marziale come disertore per essersi rifiutato di tornare al fronte. «Quella è una missione suicida», ha dichiarato davanti ai giudici in divisa.

    (Tratto da http://italy.peacelink.org; fonte: http://www.ilmanifesto.it; Peacereporter.net)

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