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Di fatto, il Washington Post rivelava, il 10 aprile, che Al-Zarkawi era un'invenzione dei comandi americani.
E ora, rieccolo.
Di persona.
Al Zarkawi manda addirittura un video, ed è una prima assoluta: del superterrorista non circolava che una foto tessera vecchia di almeno quindici anni, e continuamente riproposta dai comandi USA. Già solo questo fatto deve allarmare: se il burattino di nome «Al Zarkawi» viene esposto con la sua faccia, vuol dire che si prepara qualcosa di grosso.
Se sarà poi la sua, la faccia.
Non c'è verso che i media dicano da quale fonte, per quale trafila, arrivino i proclami di «Zarkawi», «Zawahiri» e «Bin Laden».

Per quest'ultimo la stessa BBC, di solito assai precisa, dice che «un sito web» ha mandato il video: quale?
Non si sa.
Come per tutti gli altri messaggi, non verrà mai detto nulla di più di quanto appare nelle prime notizie.
Resta il fatto che Al Zarkawi è risuscitato (e con lui la fantomatica organizzazione che guiderebbe, «Al Qaeda in Iraq») nonostante la fresca rivelazione della sua inesistenza: si vede che ne hanno bisogno, nel momento in cui «Osama bin laden» manda un audio, e subito «i terroristi» fanno strage di egiziani a Dahab.
I burattinai confidano a tal punto nella nostra amnesia?
Come possono spingere a tal punto la loro impudenza da ripresentare uno «Zarkawi» dimostrato falso 15 giorni prima?
Possono, possono.
Perchè possono appoggiarsi sull'opera di «un numero relativamente basso di giornalisti ben ammanicati» a cui loro stessi confidano «gli scoop» che poi saranno magnificati «nei media di grande tiratura, anch'essi relativamente pochi, dove i parametri del dibattito sono fissati una volta per tutte, e la 'verità ufficiale' è consacrata».
In USA, Fox News, CNN, i «grandi» giornali sono quei «relativamente pochi mainsteam media».
In Italia, fate voi: non sono certo pochi i canali «sicuri».
Tanto più se si è avuto cura di mettervi alla testa dei direttori neocon.
Contro l'amnesia guidata (dagli spudorati mediatici), sarà bene citare ancora una volta l'essenziale di quell'articolo rivelatore del Washington Post.
Tenendo bene a mente che disinformazione, propaganda e «operazioni psicologiche» sono parte integrante di ogni azione militare, appositamente pianificate; tanto più in questo tipo di guerre americo-israeliane fondate, fin dall'inizio, su menzogne. (1)
Diceva dunque il Washington Post: «alla campagna Zarkawi si fa riferimento in diversi rapporti interni militari. In un briefing militare USA del 2004 si legge: 'Villainize Zarkawi – leverage xenophobia response'» [traduzione: dipingere Zarkawi come il cattivo, ed eccitare la reazione xenofoba] (2).
E c'è l'indicazione di tre metodi: «Operazioni sui media», «Operazioni speciali 626» [allusione alla Task Force 626, un corpo speciale dedito alla caccia ai dirigenti baathisti] e «PSYOP» [guerra psicologica].

Il programma di propaganda militare, aggiungeva il Washington Post, «ha di mira principalmente gli iracheni, ma pare sia stato usato anche per i media USA».
Una diapositiva di un rapporto dal titolo «Comunicazione strategica», preparato dal generale George W. Casey, jr., il comandante supremo in Iraq, indica la «audience nazionale» come uno dei sei bersagli principali da parte americana nella guerra.
Secondo il giornale, l'autore della specifica operazione Zarkawi è stato il generale Kimmit, che tra il 2003 e il 2004 coordinava «i rapporti con la stampa, l'informazione e le PSYOP in Iraq e in Medio Oriente»: tutto insieme, guerra psicologica e conferenze-stampa, come un tutt'uno. Benchè neghi questa sua parte, Kimmit ammette: «c'è stata chiaramente una campagna informativa per aumentare la consapevolezza del pubblico su chi fosse Al-Zarkawi, anzitutto per il pubblico iracheno, ma anche per quello internazionale».
«Lo scopo era di provocare una frattura tra gli insorti accentuando [sic] gli atti terroristici di Zarkawi e la sua origine straniera… grazie all'aggressiva campagna di comunicazione strategica, dice il documento, oggi Zarkawi rappresenta: terrorismo in Iraq = combattenti stranieri in Iraq = sofferenze del popolo iracheno (attacchi alle infrastrutture) = ostacolo alle aspirazioni irachene».

Per il solo 2004 la propaganda USA in Iraq è costata 24 milioni di dollari, compresa «la distribuzione di migliaia di volantini con la faccia di Zarkawi».
Il tutto in coincidenza con una campagna «informativa» guidata dal Lincoln Group, un'agenzia di pubbliche relazioni, grazie alla quale sono stati «piazzati» (a pagamento) articoli favorevoli agli USA nei giornali iracheni.
A questa disinformazione hanno partecipato deliberatamente i massimi livelli del governo USA.
In termini che fanno per lo meno sospettare che all'imprendibile Zarkawi sono state accollate atrocità compiute dagli occupanti.
George Bush, in una conferenza-stampa del 1 giugno 2004: «sapete, detesto prevedere la violenza, ma comprendo la natura di quegli assassini. Questo tizio, Zarkawi, un associato di Al Qaeda – che tra l'altro era a Baghdad prima della caduta di Saddam – è ancora alla macchia in Iraq. E come potete ricordare, parte del suo piano operativo è di innescare la violenza e la discordia tra i vari gruppi iracheni a forza di assassinii a sangue freddo».

A Zarkawi sono state attribuite le varie decapitazioni (a cominciare da quella di Nick Berg, il cui video è ritenuto falso dai servizi francesi), tutte le stragi nelle moschee, persino l'attentato all'albergo in Giordania che ha ucciso diplomatici cinesi a colloquio con delegati palestinesi.
Il generale Richard Zahner, in un'intervista al Washington Post del 25 settembre 2005:«quello cui assistiamo qui è un'insurrezione che è divenuta una campagna terroristica. Zarkawi è diventato il marchio di fabbrica di questa cosa, ha ottenuto i fondi, l'attenzione dei media, e spinto altri a lavorare nella sua direzione».
Il giornale commentava che «l'indiscriminato terrorismo di Al Zarkawi è riuscito ad unire tutti in Medio Oriente contro l'ideologia della jihad globale…sempre più numerosi iracheni ed arabi sunniti hanno condannato la visione da incubo del terrorista».
Si noti: anche dopo l'attentato di Dahab tutti gli islamici più o meno estremisti, dai Fratelli Musulmani ad Hamas, hanno condannato la strage.
Come allora, per lo stesso motivo: non sapevano chi le avesse fatte, non ne riconoscevano gli autori come alleati.
E ben a ragione, visto che a farle era ed è il nemico.

Il Washington Post dell'11 dicembre 2005, echeggiando «informazioni» e «indiscrezioni» dei comandi: «il ritiro dall'Iraq non è un'opzione che l'amministrazione USA può accarezzare. Essa darebbe ad Al Zarkawi e alla sua piccola banda di stranieri il modo di cantare vittoria… ciò rafforzerebbe Al Qaeda in tutto il Medio Oriente».
Anche il terrificante bombardamento di Falluja, con la strage di centinaia di civili a forza di bombe al fosforo, fu spiegata come una battaglia contro «la rete di Al Zarkawi».
Il Washington Post, 21 settembre 2004, riportava di «quattro missioni di bombardamento contro bersagli che sono detti associati alla rete di Zarkawi, dentro e intorno alla città. Fra questi un complesso di edifici rurali a 15 miglia a sud di Falluja, dove i comandi USA affermano che s'erano raccolti almeno 90 combattenti stranieri. I militari dicono che l'attacco ha ucciso almeno 60 combattenti stranieri» [si noti la ripetizione del termine propagandistico: «combattenti stranieri»].
[Ma] «testimoni e il personale dell'ospedale non hanno confermato questa versione. Secondo loro sono stati uccisi circa trenta uomini, in genere iracheni. E che 15 bambini e 11 donne sono morte nel bombardamento».

Gli attentati e le stragi sono purtroppo reali.
C'è da chiedersi chi le fa (abbiamo qualche risposta: Israele, per innescare la guerra civile in Iraq, secondo il piano di smembrare questi Paesi per linee etnico-religiose).
Altre domande vengono quando «un sito web» mai identificato emana un video di Al Zarkawi, che non viene mai analizzato – per esempio – dal punto di vista linguistico, o almeno nulla dell'analisi appare sui media.
Bisogna ricordare – contro l'amnesia indotta – che «Al Zarkawi» è il marchio di una campagna pubblicitaria intesa a «dare un volto al terrorismo».
E che senza periodiche apparizioni in audio o video di «Al Zarkawi» o «Osama bin Laden», la stessa guerra infinita di Rumsfeld e dei neocon – da loro definita «guerra al terrorismo» – perderebbe la sua ragion d'essere.
Perciò devono resuscitarli periodicamente.
Per cento volte il Washington Post documenterà il falso, e per cento volte tutti i media che accettano la verità ufficiale come sacra, compreso il Washington Post (e non parliamo de Il Corriere, de Il Foglio, de La Stampa), torneranno a dirci che Al Zarkawi «si è rifatto vivo» (3).
E inutilmente i guerriglieri, i fondamentalisti, gli estremisti islamici diranno che non è vero, prenderanno le distanze, condanneranno gli attentati di Al Zarkawi e di Dhaba.
Le fonti credibili e autorevoli saranno sempre quelle che, solo due settimane prima, sono state colte con le mani nel sacco delle bugie (4).

Note
1) Chaim Kupferberg, «The propaganda preparation for 9/11», Center for research on globalization, 19 settembre 2002.
2) Si è molto insistito sul fatto che Zarkawi è uno «straniero» in Iraq, e guida dei guerriglieri «stranieri».
3) Secondo Robert Fisk, il vero Zarkawi è probabilmente morto sotto un bombardamento USA nel 2003, in Afghanistan più probabilmente che in Iraq.
4) Michel Chossudovsky, «Who is behind 'Al Qaeda in Iraq'? Pentagon acknolewedges fabricating a Zarkawi legend», Center for reasearch on globalization, 18 aprile 2006.

(Fonte: www.effedieffe.com)

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