Nella Val d'Agri, in Basilicata, la gente non ne può più dell'estrazione petrolifera fuori misura.
Non a caso si parla di questa zona e dei suoi comuni (soprattutto Viggiano e Grumento Nuova) come del Texas italiano, un luogo dove volteggiano 13 mila tonnellate di azoto, che affumicano ed ammalano i cittadini.
Le cose sono ulteriormente peggiorate quando l'invaso della Petrusilla, che porta l'acqua nelle case di buona parte della Basilicata e della Puglia, si è tinto di marrone, anche se per le autorità sanitarie – ufficialmente – non c’è nulla di particolarmente preoccupante.
L'acqua però, allo stato dei fatti, resta imbevibile, e il sospetto che il petrolio si sia infiltrato nel lago esterno e nelle falde acquifere è troppo forte, anche se i sindaci interessati, le Asl e l'Arpav parlano di alghe che uccidono i pesci e "colorano" l'acqua.
Inutile dire che la gente non si beve neanche… questa propaganda.
La regione Basilicata, quando la situazione si fa troppo critica sia per la qualità dell'acqua che dell'aria, sospende per qualche settimana l'estrazione del greggio (in accordo con l'Eni) ma quando si ricomincia ecco che l'inquinamento si ripresenta in tutta la sua gravità, cronicizzando una situazione che ogni giorno diventa sempre più grave.
L'acqua inquinata oggi si sta riversando sui campi e sui prodotti agricoli, e si registrano già le prime leucemie tra i cittadini che vivono vicino ai pozzi, nonché un aumento esponenziale dei tumori in tutta la valle.
Lo sversamento dei liquami è tale che sono stati trovati idrocarburi nel terreno a una profondità di dieci metri, mentre le autobotti ancora succhiano.
L'Amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi ha un piano per rendere tutta questa situazione un po' più "simpatica": egli intende investire due, tre o forse anche quattro miliardi per comprare il consenso dei cittadini, aumentando i posti di lavoro attraverso la creazione di centri di ricerca, sostegno alle aziende e alle famiglie, ai giovani, agli studenti e perfino alle mamme.
Insomma, vorrebbe distribuire una sorta di reddito di cittadinanza che alla fine verrebbe speso semplicemente in medicine.
Il punto è che le concessioni dell'Eni scadono nel 2019 e vanno rinnovate: ecco perché Descalzi ragiona in questo modo.
Attualmente, si estraggono in Basilicata circa 90 mila barili al giorno, anche se si vorrebbe arrivare a 130 mila.
Come mai i media non ne parlano?
Forse perché l'Eni è una grossa concessionaria pubblicitaria… e mettersela contro non conviene a nessuno?
L'Ente Nazionale Idrocarburi, manco a parlarne, ha tutte le simpatie politiche del caso: dalla regione Basilicata fino a Confindustria e ai media nazionali e perfino locali, tutti sminuiscono o nascondono il petrolio sotto il tappeto.
Dei quotidiani italiani – bisogna ammetterlo -–solo Il Fatto Quotidiano ha denunciato il dramma ambientale e dei cittadini, e nel farlo – guarda caso! – ha perso un importante contratto di concessione pubblicitaria.
Ma ai quattro angoli della Lucania non c’è solo l'Eni bensì anche la British Petroleum e la Shell che vogliono incrementare la produzione nei prossimi anni.
La propaganda a favore del petrolio, dunque, è tale che nelle scuole primarie sono stati distribuiti dei libriccini grazie ai quali i bambini devono colorare di verde i tralicci petroliferi e di vari colori il fumo nero tipico dell'estrazione.
La situazione è talmente compromessa che la regione ha recentemente chiuso il centro olio di Viggiano, in quanto "Il livello di solventi organici aromatici è di cinque volte superiore al livello consentito".
Il 4 aprile del 2017, davanti all'evidenza, la regione ha avvertito l'Eni di mettere in sicurezza l'area, fermando la contaminazione di ferro, manganese e idrocarburi.
La situazione però resta esplosiva, anche se ciò che fa altrettanto rumore è il silenzio intorno a tutta questa vicenda, che incornicia la vera cifra della credibilità e del conflitto d'interessi di tutti o quasi i media attuali.