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Berlusconi è un presidente Gentile – di Alessandro Lattanzio

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Ha suscitato applausi e riprovazione la visita del Premier Silvio Berlusconi in Israele. Eppure ha solo ribadito ciò che ha sempre detto: ‘Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente’; ‘l’Iran vuole la bomba atomica’; ‘Ahamdinejad è un dittatore che vuole distruggere Israele’, e altri simili ‘spot pubblicitari’, come l’infelice frase ‘l’operazione Piombo Fuso è stata giusta‘; ma a quanto pare, in quest’ultimo caso, passando dal podio della Knesset alle stanze dell’Autorità Nazionale Palestinese, a Betlemme, avrebbe notato (o gli hanno fatto notare) l’enormità detta, e avrebbe cercato di riparare affermando che ‘è giusto piangere le vittime della shoah, come lo è manifestare dolore per ciò che si è verificato a Gaza’. Dimostrando, con ciò, solo di essere quel che è, un venditore, un piazzista, un uomo da piano-bar; è il suo mestiere intrattenere il pubblico. Che siano i tifosi del Milan, gli spettatori di Mediaset, i militanti del PPdL o i leader stranieri che incontra.
Tra l’altro, su come la pensi su certe cose l’aveva chiarito in altre occasioni; ad esempio definendo l’ultima elezione farsa in Honduras, una ‘affermazione della democrazia’; ecc.
Quel che è certo, è che per Berlusconi (come per altri fantocci come Sarkozy o Obama) a dettare le linee politiche fondamentali e a stabilire le tabelle di marcia, nell’economia, nella politica estera, nei rapporti internazionali, nella finanza, insomma nella condotta strategica di un paese, non sono quei politicanti, più o meno ammaestrati e ben educati che ci sorbiamo alla TV o che vengono ‘eletti’ ai posti di governo. No, il compito di decidere spetta a chi detiene o persegue gli interessi economico-strategici centrali. In Italia, che è di certo un paese periferico e dalla scarsa autonomia, a poter decidere la politica estera sono, da una parte le aziende italiane più importanti (ENI, Finmeccanica), cioè quelle che hanno peso sufficiente per poter giocare le loro carte sul tavolo internazionale. Dall’altra sono le ambasciate, i think tank, e le loro varie longae mani locali, di potenze come gli USA, il Regno Unito e Israele. E ultimamente questi due fronti, quello grande-aziendale locale e quello USAcentrico, si sono confrontati sul campo della politica estera di Roma.
Difatti, è già tanto riuscire a stabilire dei legami economici con potenze invise alla ‘Comunità Internazionale’ (come i mass media di regime definiscono, in modo fraudolento, l’intreccio erotico tra Washington-Londra-TelAviv). Ma ora che i giochi si sono fatti duri, Scaroni, AD dell’ENI, almeno secondo il del tutto parziale e al disotto di ogni sospetto Gianfranco Fini, avrebbe deciso di interrompere qualsiasi attività presso i giacimenti energetici iraniani. Da Tehran è giunta una smentita; ma se la linea di avvicinamento tra Roma, Mosca e Ankara ha iniziato a dare fastidio sul serio, presso le vere autorità dominanti del ‘Mondo Occidentale’, non va escluso che il governo Berlusconi, o meglio coloro che dettavano al Premier la linea economica internazionale da seguire, abbiano deciso di fare marcia indietro.
L’Italia, come già detto, è una potenza periferica che si è suicidata, in quanto tale, negli allegri anni del post-tangentopoli, quando il centro-sinistra bancariocentrico dei Ciampi, Amato, Prodi e Draghi (con annessi Tremonti e Grillo), decisero di meritarsi gli elogi del Financial Times e de The Economist attuando le direttive assegnate sul panfilo ‘Britannia’; lo yacht reale* della famiglia Windsor (alias Sassonia-Coburgo-Gotha), che nell’occasione trasportava i pezzi grossi del sistema finanziario-piratesco della City-Wallstreet, tra cui un certo George Soros, l’ideatore dei famigerati hedges funds e delle ‘rivoluzioni colorate’ (viola e verde ultimamente) e criminale condannato in contumacia in Malaysia, per tentato genocidio.
Le direttive britanniche imponevano la disintegrazione dell’apparato produttivo italiano. Mentre si distraeva il pubblico santorianamente ‘consapevole’ con le sceneggiature pseudo-hollywoodiane di Colombo-Dipietro&Co., e si spacciavano le burlesche tesi pseudo-economiche del ‘piccolo e bello’, della ‘terziarizzazione’, della ‘flessibilità’, del continuo ‘aggiornamento’ delle qualifiche e altre ciarlatanerie, si è proceduto alla riduzione della cosiddetta settima potenza mondiale in un barcone sequestrato da ‘Pirati Oltraggiosi’, che sforna sempre più jingle per cellulari e sempre meno beni durevoli, di produzione o di consumo, reali. Si è assistito, in forma ancor più grottesca, alla riedizione della distruzione del Regno delle Due Sicilie da parte dell’Impero Britannico, tramite l’uso, efficace senza dubbio, di loschi figuri spacciati per eroi locali. Ieri Garibaldi, oggi Dipietro. Con Berlusconi nel ruolo di Franceschiello, una parte che recita a meraviglia.
Tornando a bomba su Silvio Berlusconi, sionista per 48 ore. È inutile sorprendersi per le sue prese di posizione. È pur sempre il più ‘serio’ capo del governo che uno stato, come quello italiano, potesse mettere in campo. L’Italia che cerca accordi con la Russia, la Turchia, la Libia, perfino con i ‘reietti’ venezuelano e iraniano; e che riesce a mandare Tremonti e Brunetta alla scuola quadri del Partito Comunista Cinese (un sogno anche per i gerarchi del PCI togliattesco-berlingueriano) o un Bertolaso ad Haiti, ad azzardare critiche ai coniugi Clinton per come gestiscono l’occupazione (umanitaria ovviamente) della repubblica caraibica, (roba da infarto anche per ‘antimperialisti’ del calibro dell’incredibile duo Bertinotti-Cossutta; la coppia di sinistri vecchietti da ‘Muppet Show’, felice e contenta quando andava a beccare il mangime dalle mani dell’ambasciatore degli USA, in un paio di festività del 4 luglio.) Sono le migliori maschere che il capitale centrale italiano potesse ritrovarsi, nel cercare di recuperare un proprio spazio nel mondo mondializzato.
Ma come sempre accade, quando il troppo stroppia, anche se sono in gioco interessi centrali, importanti, strategici per la repubblica italiana; anche quando sono in campo i ‘poteri forti’ italiani, di fronte a Washington non può che essere inevitabile una rapida ritirata; strategica o tattica, momentanea o definitiva, questo lo si vedrà col tempo. Dipenderà dalla fame di energia che avrà ciò che resta dell’Italia e, soprattutto, da come andranno a finire le bizze geopolitiche dei pupari che manovrano Barack Obama e Ehud Barak**. 

*Evento negato dal negazionista Marco Travaglio, dimostrando così di essere degno figlio spirituale e seguace morale dell’agente d’influenza londinese Indro Montanelli. È un modo per dimostrare la sua fedeltà canina, verso chi l’ha messo su un piedistallo quale ‘giornalista modello’ del sistema dell’informazione-cabaret.
**L’amministrazione Obama sta infastidendo tante di quelle nazioni, dal Venezuela all’Iran, dalla Cina allo Yemen, dal Pakistan alla Grecia, che difficilmente si può permettere qualche avventatezza. Senza dimenticare l’Afghanistan, che già da sola ingoia oltre 100000 GI’s, e le decine di migliaia che ancora occupano l’Iraq, dove andrebbero a prendere, l’US Army e il Pentagono, altri soldati per ulteriori avventure?
Netanyahu e Libermann fanno la voce grossa, e come si dice, can che abbaia non morde. Sono anni che TelAviv minaccia azioni risolutive contro l’Iran, ma di lezioni ne ha già prese tante in Libano, e a Gaza ha fallito così miseramente, che probabilmente tutto il can-can guerrafondaio sionista serve a distrarre la popolazione dai processi al Capo di stato maggiore di Tzahal, Shaul Mohfaz, e all’ex premier Olmert, e anche a far dimenticare la gravissima crisi economico-sociale che colpisce Israele, tanto che la comunità russofona (quella che ha eletto Liberman), guarda con sempre più nostalgia alla Madrepatria Russia e al suo benessere economico-sociale ‘putinista’.

Alessandro Lattanzio, 4/2/2010

Fonte: http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/?p=82

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