Di fronte a una crisi che, malgrado le tante resistenze e chiusure, sta comunque rivoluzionando i paradigmi economico-sociali, sempre più giovani tornano alla terra ma anche alla pastorizia o le valorizzano se le ereditano dalla famiglia. Scelte di vita spesso radicali ma che sono segnale di un grande cambiamento
Dopo decenni di numeri sempre più ridotti, si inverte la tendenza e tornano ad aumentare le pecore in Italia, che nel 2016 può contare su un patrimonio 7,2 milioni di capi, quasi duecentomila in più rispetto a cinque anni fa secondo le ultime stime della Commissione europea. I conti li ha fatti Coldiretti in un dossier nell’anniversario dei vent’anni dalla prima clonazione animale con la nascita della pecora Dolly nel 1996.
«Le pecore dopo essere state a lungo dimenticate stanno vivendo un grande momento di riscossa con uno storico aumento delle greggi e l’arrivo di giovani pastori, proprio perché in Italia – sottolinea la Coldiretti – si è scelta una strada completamente diversa con l’innovazione nel rispetto della tradizione. A sostenere la rinascita è stato – precisa la Coldiretti – il boom della domanda all’estero di formaggi fino alla grande innovazione che ha rivoluzionato la pastorizia con contributi che spaziano dalla cosmetica alla moda, dalla bioedilizia alla scuola, ma anche la manutenzione ambientale, la pet therapy fino a nuovi prodotti, dal gelato al latte di pecora al pecorino senza colesterolo».
Il clima più positivo ha spinto anche l’occupazione ed in Italia si stima che siano circa duemila i giovani che hanno scelto di mettersi alla guida di un gregge in una scelta di vita dove a preoccupare sono però i ritardi e le inefficienze della burocrazia.
Si tratta di giovani che intendono dare continuità all’attività dei genitori, ma anche di ingressi ex novo spinti dalla voglia di trovare una occupazione alternativa a contatto con la natura. Con i giovani pastori tornano anche le antiche razze e sono ben 38 quelle salvate dall’estinzione dagli allevatori italiani.
Oggi nelle campagne italiane è possibile vedere una grande varietà, dalla rustica pecora Sarda alla pecora Sopravissana dall'ottima lana, dalla pecora Comisana con la caratteristica testa rossa a quella Massese dall'insolito manto nero, ma anche l’Appenninica, la Merinizzata, la Barbaresca siciliana e fino alla Bergamasca adatta alla transumanza che è la razza più grande al mondo, che rappresentano un patrimonio di biodiversità che arricchisce soprattutto le zone svantaggiate del Paese dove si concentrano i circa 60mila allevamenti presenti in Italia. Una scelta del tutto alternativa a quella della clonazione che – sostiene la Coldiretti – trova in Italia una forte opposizione. Solo il 3% degli italiani è d’accordo che anche in Italia si possa consumare carne e latte proveniente da animali clonati secondo il Rapporto Coldiretti/Univerde su “Gli italiani e la nuova agricoltura”.
La commercializzazione di carne, latte e formaggi proveniente da animali clonati è un rischio che gli italiani non vogliono correre, non accettabile dai consumatori, che pone insormontabili problemi anche di natura etica. La prima clonazione animale annunciata risale alla pecora Dolly nata il 5 luglio 1996 ma da allora si è intensificato lo sfruttamento commerciale di tale tecnica in molti Paesi e oggi è possibile clonare un animale con una spesa attorno i diecimila euro e la tecnica riguarda già molti animali da allevamento, dalle pecore ai maiali, dai tori ai cavalli. L’atteggiamento degli italiani è anche – secondo la Coldiretti – un segnale chiaro nei confronti delle trattative sugli accordi di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, dove la pratica della clonazione animale si è rapidamente diffusa, al pari di Brasile e Argentina.
Fonte: ilcambiamento.it