Ricordate la discussione su Obama-burattino? Abbiamo sbagliato tutti, a quanto pare, su un fronte come sull’altro.
Abbiamo dedicato notevoli energie, nei mesi scorsi, per cercare di capire fino a che punto fosse valida la teoria proposta da Webster Tarpley, nella quale Barack Obama sarebbe stato un candidato “costruito in laboratorio”, con una facciata vistosamente liberal, destinata a raccogliere i consensi di un popolo frustrato e confuso, ma con un’agenda strettamente imperialistica, coordinata dal “grande vecchio” del neo-colonialismo americano di fine secolo, Zibigniew Brzezinski.
Come ampiamente illustrato nel suo libro “The Grand Chessboard” (“Il grande scacchiere”), la filosofia di Brzezinski prevedeva di arrivare alla supremazia geopolitica tramite un indebolimento dell’impero sovietico, da ottenere con il progressivo passaggio dei suoi paesi-satellite alla sfera occidentale, accompagnato da una strategia che alimentasse una costante destabilizzazione fra Russia e Cina.
In tutto questo – secondo Tarpley – Obama era stato individuato come veicolo ideale per ripristinare questa strategia a discapito di quella, molto più limitata nelle ambizioni (e decisamente fallimentare sul campo), messa in atto dai neocons negli ultimi otto anni.
Contrariamente a Tarpley, c’era chi sosteneva che ormai i tempi fossero cambiati in maniera così radicale, rispetto agli anni ’80, che quel genere di politica sarebbe assolutamente improponibile oggi, chiunque fosse il presidente: con Russia e Cina più forti che mai, con un esercito logoro e insufficiente, con il paradigma energetico da rivedere alla radice, con un debito estero ormai fuori controllo, gli Stati Uniti possono solo contare sulla clemenza degli avversari per non vedersi cancellare di colpo dal “grande scacchiere” che una volta intendevano dominare.
In questo senso andavano lette – sempre secondo la teoria opposta a Tarpley – certe scelte di Obama, che ha evidentemente dovuto pagare il ritiro dall’Iraq con l’implemento di forze in Afghanistan, ma che ha sottolineato fin dall’inizio la necessità di sostituire al più presto l’approccio politico a quello militare, nei rapporti con i poteri locali, per risolvere in qualche modo l’intricata situazione nell’Asia centrale. Sempre in quest’ottica si inserirebbe anche il fatto che proprio di recente Obama abbia convocato il suo stato maggiore, chiedendo di spiegargli chiaramente quali siano le finalità di una occupazione così onerosa – e per molti versi controproducente – come quella dell’Afghanistan. Pare che i militari non abbiano saputo dare una chiara risposta, e non si fatica ad immaginare che Obama sapesse molto bene sin dall’inizio che non l’avrebbero avuta. (La risposta vera esiste, ovviamente, ma nessuno può declamarla a voce alta).
Sembrano quindi, a prima vista, due teorie contrapposte ed inconciliabili, dove ciascuna porta necessariamente ad escludere l’altra.
Come spesso accade invece, il primo errore nell’affrontare questioni così complesse sta nel ridursi a due alternative soltanto, bianco-o-nero, dimenticando le infinite sfumature di grigio che possano esistere fra di loro. Ma lasciamo che siano gli stessi utenti a commentare questa sorprendente intervista di Brzezinski, realizzata da Robert Frost lo scorso 20 marzo.
Massimo Mazzucco
Trascrizione del video:
Robert Frost intervista Zibigniew Brzezinski – 20 marzo 2009
FROST: Gli ascoltatori ricorderanno che l'anno scorso intervista il'ex-consigliere nazionale di sicurezza, ancora oggi una voce influente, Zibigniew Brzezinski.
In quell'occasione mi disse di supportare Barack Obama per la presidenza, in parte per la sua chiara competenza per quel ruolo.
Ho incontrato nuovamente Mr. Brzezinski a Washington, e ho iniziato chiedendogli se dopo alcune settimane di presidenza Mr. Obama sia stato all'altezza delle sue aspettative.
BRZEZINSKI: Ho avuto la sensazione, soprattutto nel primo incontro, che si tratti di una persona con una visione molto razionale, ma anche istintiva, di quanto ci sia di nuovo in questa epoca, di quanto ci sia di nuovo in questo secolo, e di cosa questo comporti per il ruolo dell'America nel mondo.
Questo mi ha davvero colpito.
Ovviamente è stato in qualche modo distratto dalle questioni di politica estera, e le ha delegate in parte al Ministro degli Esteri, signora Clinton.
Ma in generale io semplicemente inorridisco all'idea di cosa vorrebbe dire avere ancora George W. Bush come presidente.
FROST: E' quindi questo il vero aspetto positivo che lei rileva?
BRZEZINSKI: E' più di quello. E' un appoggio ufficiale, una espressione di fiducia, è un riconoscimento delle complessità e delle difficoltà del momento, ed è una conferma della differenza fondamentale fra le sue capacità, la sua competenza e, triste da dire, la loro mancanza evidente durante la presidenza del precedente incaricato.
FROST: Cosa pensa attualmente di una zona che lei conosce meglio della maggioranza delle persone, fino a partire dal 1976, sotto l'amministrazione Carter. Cosa pensa attualmente dell'Afghanistan?
BRZEZINSKI: La cosa che mi preoccupa di più è che se non stiamo attenti ci resteremo impantanati. In Afghanistan e in Pakistan.
Cosa significherebbe questo per la nostra posizione nel mondo? Per la nostra stabilità economica e finanziaria? Per il consenso popolare interno? Per le nostre capacità di mantenere rapporti di alleanza? Per la nostra capacità di rispondere con efficacia alle sfide e alle minacce altrui? Sarebbe disastroso.
Dobbiamo quindi chiederci quali obiettivi si possano raggiungere in quel contesto, come perseguirli, e come limitare un impegno che è soprattutto di tipo militare, e non piuttosto politico.
In altre parole, capovologere il rapporto fra impegno militare e politico, a favore di uno più politico, e in quel quadro perseguire obiettivi che possono anche non essere ideali, ma che siano meglio di un coinvolgimento rassegnato, che ci inghiotta sempre di più.
Esiste la minaccia di un profondo e potenzialmente interminabile coinvolgimento americano, in una zona del mondo che nei miei scritti definisco "i Balcani Globali". Una zona che inghiotte le grandi potenze, come accadeva con i Balcani, dalla quale potremmo non riuscire a districarci per molti anni a venire.
Nell'affrontare quanto di nuovo… e lei è un inglese, quindi sa di cosa parlo, parlo di questa epoca e di quella coloniale, voi controllavate l'Impero delle Indie con 4.000 dipendenti civili e ufficiali, in una zona dove allora c'erano 200 milioni di persone.
Questo è quello che avete fatto. Perchè le popolazioni erano politicamente passive. Ho scritto molto su questo.
Quello che c'è di nuovo oggi nei conflitti internazionali è che affrontiamo popoli politicamente coscienti. La popolazione mondiale si è risvegliata politicamente. Questo significa che c'è resistenza quasi dappertutto, c'è rancore per il colonialismo e per la dominazione culturale straniera. C'è un senso diffuso di mancato rispetto per la loro dignità. Non possiamo sconfiggerli con quel tipo di compattezza razziale. Ma essendo democrazie non possiamo nemmeno annientarli e basta. Teoricamente potremmo uccidere tutti i pakistani e gli afghani con bombe atomiche, ma non possiamo farlo. Siamo quindi invischiati in uno scontro che noi combattiamo con una superiorità tecnologica su scala ridotta, loro combattono con una resistenza informe, e non c'è via d'uscita.
Questo rappresenta un pericolo enorme per tutti noi, e in particolare per il mondo occidentale.
FROST: Dott. Brzezinski, grazie per questi stimolanti pensieri.
BRZEZINSKI: Grazie a lei.
QUI l’intervista completa.
Fonte: luogocomune.net