L'omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja, il 7 ottobre scorso, è stato accolto con l'unanimità monolitica che è diventata il segno distintivo della cosiddetta stampa libera occidentale. Il quotidiano di destra Daily Telegraph ha dedicato il 9 gennaio un fondo all'omicidio, che cominciava con la frase:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse lo scorso anno Anna Politkovskaja a proposito della Russia di Putin".
Quello stesso giorno anche il quotidiano di sinistra Guardian ha pubblicato un fondo sull'omicidio, che cominciava così:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse Anna Politkovskaja a una conferenza sulla libertà di stampa lo scorso dicembre.
Tutta la stampa britannica, americana e dell'Europa occidentale ha esaltato la Politkovskaja come "uno dei giornalisti russi più coraggiosi e brillanti" (The Guardian), "una delle poche voci che osavano contraddire la linea del partito" (The Daily Telegraph), "una forza incendiaria che lottava per la libertà" (The Independent), "la più famosa giornalista investigativa russa" (The Times), "una delle più coraggiose giornaliste russe" (The New York Times); "una vittima di raro coraggio" (The Washington Post). Tutte queste citazioni provengono dagli articoli di fondo che ciascuno di questi giornali ha ritenuto di dover dedicare alla sua morte. In realtà, Anna Politkovskaja era praticamente sconosciuta in Russia. La reazione esemplare di un ricco uomo d'affari russo durante una cena a Buxelles la sera dell'omicidio è stata:
"Politkovskaja? Mai sentita nominare".
Sotto questo aspetto la Politkovskaja ricorda un altro giornalista che aveva rapporti con il Caucaso, Georgij Gongadze, il cittadino ucraino dal cognome georgiano il cui omicidio nel 2000 fu strumentalizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di compromettere l'allora presidente ucraino, Leonid Ku?ma. La Politkovskaja non era sconosciuta come Gongadze, che si limitava ad avere un semplice sito web (anche se a Washington DC fu ricevuto dal Segretario di Stato Madeleine Albright), mentre il giornale per il quale lavorava la giornalista russa ha una diffusione di 250.000 copie. Non è comunque moltissimo in un paese di quasi 150 milioni di abitanti e certamente non abbastanza per meritarle gli elogi esagerati che le sono stati rovesciati addosso dopo la morte.
I media britannici e americani hanno anche fatto a gara nell'indicare come colpevole il presidente Putin. Il Financial Times ha scritto che:
"In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l'attacco del Cremlino ai media indipendenti, un'atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo".
Il Washington Post ha affermato pomposamente che:
"È possibile, senza svolgere alcun lavoro di indagine, indicare ciò che è in definitiva la causa di queste morti: il clima di brutalità che ha prosperato sotto il governo di Putin".
Tutti i giornali insinuavano che la Politkovskaja fosse stata uccisa da alleati del presidente russo per aver raccontato la verità sulla guerra in Cecenia. Secondo loro la Russia è quasi una dittatura in cui il governo non è disposto a tollerare alcuna forma di dissenso, e hanno illustrato questa teoria facendo riferimento – anche se in termini stranamente vaghi – al numero dei giornalisti che sono stati vittima di omicidi su commissione simili a questo.
È qui che possiamo chiamarli bugiardi. Alcuni di questi articoli contenevano sbrigativi riferimenti all'ultimo giornalista ucciso a Mosca prima della Politkovskaja, il direttore americano di Forbes magazine, Paul Klebnikov, senza aggiungere che nessuno aveva mai suggerito che fosse stato il governo russo a far uccidere Klebnikov. Al contrario: mentre la Politkovskaja era un'oppositrice di Putin, Klebnikov si opponeva agli oligarchi. Scrisse un brillante libro su Boris Berezovskij – uno dei libri più informativi sulla transizione russa negli anni Novanta, in cui accusava Berezovskij di omicidio e di collusione con la malavita e i trafficanti di droga ceceni – e pubblicò una serie di interviste con uno dei capi separatisti ceceni, intitolate poco diplomaticamente "conversazioni con un barbaro". Per il suo lavoro fu premiato con un proiettile in testa. Quando morì, sulla stampa occidentale non fu celebrato il suo coraggio, anche se era americano, perché Klebnikov per tutta la vita aveva affermato che la politica occidentale in Russia è basata su un'alleanza con criminali, e che gli "uomini d'affari" che l'occidente esalta come combattenti per la libertà – Berezovskij ha asilo politico in Gran Bretagna – sono di fatto un mucchio di spietati assassini.
All'opposto di Klebnikov e della Politkovskaja, l'unico giornalista russo ucciso che tutti i russi conoscevano – e il cui nome è praticamente sconosciuto in Occidente – era Vlad List'ev.
Quando cadde sotto i proiettili del suo assassino, la notte del 1° marzo 1995, List'ev era il più popolare conduttore russo di talk show e una delle persone più ascoltate del paese, una vera stella della televisione. Era appena diventato direttore del canale principale, ORT (ora Primo Canale). Nonostante la sua immensa fama, i media occidentali non hanno mai citato il suo omicidio come un esempio dell'illegalità o dell'intolleranza incoraggiate dall'allora presidente Boris El'cin (che è quello che stanno facendo adesso con Putin). Questo è certamente dovuto al fatto che – per usare i leggiadri eufemismi di Wikipedia – "Quando List'ev tagliò fuori l'intermediazione delle agenzie pubblicitarie privò molti uomini d'affari corrotti di una fonte di enormi profitti". In parole povere, significa che secondo la maggior parte dei russi List'ev fu assassinato o da Boris Berezovskij – che assunse il controllo di ORT immediatamente dopo l'omicidio, e ampiamente a causa di esso – o da Vladimir Gusinskij, un magnate televisivo rivale che, come Berezovsky, è un oligarca dell'era El'cin ora in esilio. L'unico giornalista occidentale che discusse apertamente della possibilità che il mandante dell'omicidio List'ev fosse Berezovsky, Gusinskij o un alleato di Berezovskij, e cioè il magnate della pubblicità Sergej Lisovskij, fu, stranamente, Paul Klebnikov.
Tra i colleghi della Politkovskaja alla Novaya Gazeta ci sono celebri commentatori filoamericani come l'analista della difesa Pavel Felgenhauer, che lavora anche come articolista per la Jamestown Foundation: il direttore di quell'organizzazione, Glen Howard, è direttore esecutivo del Comitato americano per la pace in Cecenia, un gruppo neocon che appoggia un "compromesso politico" con i terroristi della provincia del Caucaso Settentrionale della Federazione Russa. Questo può spiegare perché si riesca a trovare una sola, monolitica opinione sulla Politkovskaja in tutti i media occidentali.
Allo stesso tempo, però, nella stessa presunta dittatura russa c'è una grande varietà di ipotesi sul suo omicidio. Le teorie che ora circolano a Mosca sull'assassinio comprendono (oltre a quella che indica come responsabili il governo russo o le autorità cecene):
– la vendetta di poliziotti corrotti ricercati o incarcerati in seguito ai suoi articoli sensazionalistici;
– una cospirazione degli oppositori del presidente russo e del primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, per screditarli;
– la vendetta di ex-militanti ceceni;
– un omicidio voluto dai nazionalisti russi che si oppongono a Putin (il suo nome era sulle liste di morte di vari gruppi neonazisti);
– la provocazione politica per screditare le autorità cecene o innescare reazioni in quella provincia;
– una cospirazione di oppositori dell'ex repubblica sovietica della Georgia, con la quale Mosca è attualmente impegnata in un acceso scontro diplomatico.
Scegliete l'ipotesi che vi sembra più plausibile, ma soprattutto notate che la varietà stessa di punti di vista smentisce l'affermazione che la Politkovskaja si trovasse a combattere contro una macchina mediatica monolitica controllata dal governo.
Tra i molti punti di vista espressi, pochi sono più efficaci come questo, scritto da un commentatore di Lentacom.ru:
"L'omicidio Politkovskaja produce inequivocabili benefici per l'Occidente. Nell'ultimo mese c'è stato un ufficioso giro di vite nei confronti della Russia. I tentativi di far entrare l'Ucraina nella NATO. L'intenso dialogo dell'alleanza con la Georgia. Il comportamento di Saakašvili (il presidente georgiano), molto umiliante per la Russia e certamente concordato precedentemente con le potenze occidentali. Teoricamente, l'omicidio Politkovskaja distoglie l'attenzione dalla Georgia e fa sì che crescano le pressioni occidentali sulla Russia: da questo, oggi, la Georgia può trarre solo vantaggi.
Credo tuttavia che coloro che hanno commissionato il crimine siano più globali. Non ci sono prove dirette del fatto che qualcuno a Ovest possa aver fornito istruzioni. Non c'è dubbio, però, che l'Occidente ne sia un beneficiario diretto".
Non dobbiamo credere a questa o ad altre teorie del complotto. Ma in Russia il lettore ha un gran numero di diversi punti di vista da prendere in considerazione, tutti facilmente accessibili all'uomo comune che compri un giornale o che navighi su internet. A Ovest, invece, anche il più assiduo e incallito teorico della cospirazione troverà molto difficile trovare qualcosa di diverso dall'ipotesi che indica Putin come colpevole.
Che cosa vi dice tutto questo sul pluralismo politico e mediatico in Occidente?
John Laughland è membro del British Helsinki Human Rights Group e socio di Sanders Research.
Versione originale:
John Laughland
Fonte: http://www.lewrockwell
Link: http://www.lewrockwell.com/orig6/laughland2.html
Versione italiana:
Fonte: http://mirumir.blogspot.com/
Link: http://mirumir.blogspot.com/2006/10/la-morte-di-anna-politkovskaja-e-i.html
Traduzione a cura di MIRUMIR