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CIEB – parere sull’obbligatorieta’ del vaccino anti-Covid

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Il Comitato Internazionale per l'Etica della Biomedicina (CIEB) [International Committee for the Ethics of BiomedicineICEB] rappresenta un gruppo di docenti universitari ed esperti di diverse discipline e nazionalità, nato per dare indicazioni e risposte sui temi della bioetica e della biopolitica, secondo i principi del primato dell’essere umano sulla scienza e la società, del consenso informato, di precauzione, di beneficenza, di non maleficenza, di equo accesso alle cure sanitarie, del “prendersi cura”, di integrità morale del ricercatore.



Riportiamo il comunicato che esprime una valutazione etico-giuridica del CIEB sulla (non-)fondatezza di un obbligo di vaccinazione covid nella legislazione italiana, alla luce del diritto internazionale.

 

Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB)

Parere sull’obbligatorietà del vaccino anti-Covid

Con il presente parere, reso d’iniziativa, il CIEB intende valutare le criticità della campagna vaccinale in atto, in Italia come in altri Paesi europei, di cui molti italiani stanno prendendo consapevolezza, talvolta con reazioni esasperate in assenza di informazioni coerenti e verificabili.

A tal fine, è utile premettere che sta diffusamente emergendo la consapevolezza che l’autorizzazione all’immissione in commercio dei cosiddetti vaccini anti-Covid è avvenuta in via «condizionata» e temporanea, e con esclusivo riferimento a quelli basati sugli acidi nucleici, sulla base del regolamento della Commissione europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, che si applica espressamente a «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia» (art. 3, n. 1).

Occorre rilevare, a questo proposito, che tra le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione in parola figura la circostanza fattuale che i medicinali in questione rispondano a «esigenze mediche insoddisfatte» (art. 3, n. 1, lett. c) e che questa condizione non avrebbe potuto essere rispettata se il Ministero della salute non avesse adottato, nel novembre 2020, la prima delle circolari ministeriali concernenti le Linee guida per la cura domiciliare dei pazienti affetti da Covid (cosiddetta “vigile attesa e tachipirina”), che di fatto ha ostacolato lo sviluppo di terapie già note prima del rilascio dell’autorizzazione medesima, avvenuta nel dicembre 2020.

Va inoltre rilevato che, ai sensi del citato regolamento n. 507/2006, il rinnovo delle autorizzazioni concesse – che hanno validità di dodici mesi – può avvenire solo se il beneficiario soddisfi «l’obbligo specifico di completare gli studi in corso o di condurre nuovi studi», al fine di fornire i dati clinici che non aveva prodotto prima della concessione delle autorizzazioni medesime (art. 5, n. 1), e che la domanda di rinnovo deve essere presentata «almeno sei mesi prima della scadenza dell’autorizzazione condizionata», termine che, per alcuni vaccini, è scaduto lo scorso mese di giugno 2021 (art. 6, n. 2).

Parallelamente a ciò, sta emergendo la consapevolezza che le due principali organizzazioni internazionali operanti sul piano regionale europeo, il Consiglio d’Europa e l’Unione europea, hanno ritenuto necessario ribadire la libertà di scelta vaccinale allo scopo di scongiurare l’introduzione di illecite discriminazioni tra soggetti vaccinati e non vaccinati. Per prima, in tal senso, è intervenuta l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa mediante la risoluzione 2361(2021) del 27 gennaio 2021, che auspica come «nessuno subisca pressioni politiche, sociali o di altro tipo affinché si vaccini, se non desidera farlo personalmente». Per seconda è intervenuta l’Unione europea mediante il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2021/953 del 14 giugno 2021, che tra l’altro intende evitare «ogni discriminazione diretta o indiretta delle persone che hanno scelto di non vaccinarsi».

Mentre gli italiani, pur in assenza di una comunicazione istituzionale trasparente, si sforzano di acquisire una maggiore consapevolezza critica della gestione politica dell’emergenza Covid, anche in vista di informare il proprio consenso all’eventuale vaccinazione, il Governo continua nella sua azione volta a promuovere – mediante provvedimenti e metodi normativi sempre più coercitivi, controversi e contestati – la campagna vaccinale, ora prorogando continuamente lo stato emergenziale pur a fronte di una mutata realtà sanitaria, ora obbligando alla vaccinazione gli appartenenti a specifiche categorie professionali secondo un approccio mirato (prima i sanitari, poi i docenti, poi gli appartenenti alle forze dell’ordine e alle forze armate), ora adottando provvedimenti che di fatto costringono surrettiziamente alla vaccinazione larghe porzioni di cittadini.

L’azione del Governo prefigura possibili violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali garantiti dall’ordinamento italiano, con specifico riferimento al diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, che antepone, sul piano sistematico, il diritto individuale all’interesse collettivo («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»: e non viceversa). L’art. 32, come noto, stabilisce altresì che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», laddove per «legge» non può che intendersi, nello spirito della Costituzione

repubblicana approvata nel 1948 dopo l’esperienza fascista, un provvedimento legislativo adottato dal Parlamento al termine di un dibattito democratico aperto e trasparente, che in Italia a tutt’oggi è evidentemente mancato. In ogni caso, anche qualora un Parlamento dovesse adottare una legge siffatta, l’art. 32 si preoccupa di scongiurare che tale legge finisca per violare i diritti fondamentali dell’uomo («La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»).

Le azioni del Governo italiano si pongono in contrasto anche con alcuni principi generali di diritto internazionale ed europeo, nonché con i principi fondamentali della bioetica, quali il principio di precauzione, come formulato dalla Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 e recepito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; il principio del consenso informato, sancito da strumenti di carattere deontologico (il Codice di Norimberga del 1947, la Dichiarazione di Helsinki del 1964) e di natura giuridica (il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, ratificato dall’Italia nel 1978); nonché i principi di beneficenza, di non maleficenza e di equo accesso alle cure sanitarie, cui si ispira anche la Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina (nota come Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina), firmata nel 1997 a Oviedo e ratificata nel 2001 dall’Italia. A questo proposito va osservato che, sebbene l’Italia ha omesso di depositare lo strumento di ratifica della Convenzione di Oviedo (con la conseguenza che la Convenzione medesima non è ancora entrata in vigore nell’ordinamento italiano), il suo valore ermeneutico è indiscutibile e non può essere ignorato dagli operatori giuridici interni.

La dimensione biogiuridica del problema in esame è resa ancora più complessa dalle divisioni che lacerano la comunità scientifica in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini, divisioni che, a un anno dall’immissione in commercio dei vaccini medesimi, si moltiplicano anziché ridursi e che assumono importanza crescente anche agli occhi dell’opinione pubblica, nonostante il clima di aperto favore che i media accordano, in modo praticamente unanime, alla campagna vaccinale.

In ogni caso, al di là della contrapposizione tra dati clinici ed epidemiologici confliggenti, ciò che appare singolare al CIEB è il fatto che i vaccini basati su acidi nucleici costituiscano a tutt’oggi l’unico risultato degli sforzi compiuti, nell’arco di ben due anni, dalle politiche locali e internazionali di ricerca scientifica nella lotta contro il virus Sars-Cov-2 e la malattia Covid. Ciò, agli occhi dell’opinione pubblica e di una sostanziale parte della comunità scientifica, ha escluso dal novero degli strumenti a disposizione della medicina contemporanea ogni altro approccio, tanto di natura preventiva – dall’igiene e profilassi, all’analisi scientifica delle cause della malattia e della sua diffusione, allo sviluppo di vaccini tradizionali (a base proteica o da patogeno attenuato) – quanto di natura clinico-terapeutica.

Sulla base delle considerazioni svolte, il CIEB auspica anzitutto che il Governo italiano riveda le modalità e gli obiettivi della gestione dell’emergenza Covid, con particolare riferimento all’eventuale, ulteriore estensione della campagna vaccinale in atto, al fine specifico di salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini mediante la valorizzazione di un approccio precauzionale che prenda adeguatamente in considerazione le documentate incertezze scientifiche relative all’efficacia, alla sicurezza e alla reale capacità dei vaccini medesimi di contrastare la diffusione del virus Sars-Cov-2. In questa prospettiva, l’obbligo vaccinale dovrebbe essere utilmente sostituito da strumenti non invasivi volti a monitorare la diffusione dei contagi e a contrastare efficacemente la malattia fin dalle prime fasi dell'insorgenza.

Il CIEB, inoltre, ritiene necessario riportare al centro della gestione dell’emergenza Covid i principi e i valori cui si ispira la riflessione bioetica e, a tal fine: 1) raccomanda al Governo italiano di depositare lo strumento di ratifica della Convenzione di Oviedo del 1997; 2) raccomanda al Governo italiano di promuovere, conformemente all’art. 28 della Convenzione medesima, un adeguato dibattito pubblico concernente le questioni fondamentali sollevate dallo sviluppo della biologia e della medicina alle luce, in particolare, delle loro implicazioni mediche, sociali, economiche, etiche e giuridiche.

Roma-Parigi, 20 dicembre 2021

http://www.ecsel.org/cieb

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