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CLINTON IN GINOCCHIO, RON PAUL ALLE STELLE di Massimo Mazzucco

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Mancano ancora alcuni risultati, ma ormai gli exit-polls della prima tornata elettorale americana sono definitivi.

I vincitori sono Barak Obama per i democratici (38%), e Mike Huckabee per i repubblicani (34%), ma le vere soprese sono la sonora sconfitta di Hillary Clinton (29%), che fra i democratici è stata superata anche da John Edwards (30%), e la strepitosa rimonta di Ron Paul, che fra i repubblicani ha raggiunto la fatidica e insperata soglia del 10%. (Nelle primarie gli elettori scelgono in anticipo se votare per un partito o per l’altro, costituendo così due turni elettorali paralleli, ma completamente indipendenti fra di loro).

Proprio ieri la Fox aveva escluso Paul dai futuri dibattiti televisivi, con la scusa di voler tagliare i candidati single-digit (quelli con “una sola cifra” di percentuale, cioè compresi fra l’1% e il 9% nei sondaggi) perchè “poco interessanti”, e quindi ora dovrà riprenderlo in considerazione proprio perchè è diventato “interessante” secondo i loro parametri (Ron Paul fino a ieri galleggiava intorno al 4%). Così imparano.

Nonostante abbiano uno scarso peso elettorale, le primarie dell’Iowa sono sempre state importanti perchè permettono al pubblico di vedere i candidati sotto i riflettori, nel momento stesso della vittoria come in quello della sconfitta, e questo naturalmente si traduce in voti persi o guadagnati alle prossime tornate (le primarie si svolgono nell’arco di un paio di mesi, uno stato dopo l’altro, secondo una sequenza consolidata dalla tradizione). Nel suo discorso “a caldo”, pronunciato subito dopo la vittoria, Barak Obama ha saputo trasmettere un messaggio carico di entusiasmo condito da un giusto senso di responsabilità, che per la prima volta lo ha fatto apparire “presidenziale” a tutti gli effetti.

Parimenti, Hillary Clinton non ha saputo – o voluto – riconoscere la sconfitta, e ha fatto un discorso “da vincitrice”, pieno di luoghi comuni ma vuoto di vero entusiasmo, oltre che implicitamente presuntuoso. Ad aumentare questo senso di “politica vecchia” c’è stata l’infelice scelta di presentarsi accanto a Madeleine Albright, che fu ministro degli esteri durante la presidenza del marito Bill. Ai tempi la scelta della Albright – prima donna nella storia americana ad occupare una posizione di tale prestigio – ebbe un significato particolare, e fu letta come una vittoria di Hillary sull’establishment maschile di Washington. Ma la stessa Clinton, nel riproporla oggi al suo fianco, dimostra di non essersi accorta che nel frattempo è passato circa un secolo, e l’odore di stantìo ha immediatamente pervaso il palco della senatrice già visibilmente a disagio per la batosta inaspettata.

Fra i “guru” della politica molti la danno già per finita, e lo stesso Giuliani – che ha portato a casa un miserando 4% fra i repubblicani – non è riuscito a trattenere un sorriso malizioso quando gli è stato chiesto cosa pensasse dei risultati sul fronte opposto.

Raggiante di felicità era invece John Edwards, che ha rimarcato più volte di “aver perso contro un candidato che in questo stato ha speso dieci volte più di me” [Obama], ma nello stesso tempo “di averne battuto un altro che ha speso dieci volte più di me” [Clinton]. Ha voluto cioè riaffermare la forza della sua scelta strategica di procedere con le sole forze “dal basso” – donazioni e volontariato – senza doversi svendere in anticipo alle lobby di Washington. (Un cinico potrebbe pensare che è sempre in tempo a farlo dopo, quando la partita comincia a giocarsi davvero. Per ora gli va però riconosciuta questa integrità di fondo, che finora sembra averlo premiato).

Per Edwards sarà cruciale la prossima tornata del New Hampshire, che si tiene fra cinque giorni, poichè subito dopo viene il South Carolina, dove Obama rischia di fare man bassa del voto nero fra i democratici.

In altre parole, la novità di oggi è che se Obama riesce a convincere la base elettorale di ”avere il fiato” per correre tutta la distanza – e questo lo si vedrà già dal New Hampshire – è possibile che anche i vertici del partito (leggi: i grossi finanziamenti) decidano di “scaricare” anzitempo la Clinton, ritrovandosi a dover scegliere fra lui ed Edwards per la galoppata finale.

In questo modo Hillary Clinton rischia di diventare l’unico presidente americano che è riuscito a tramontare ancora prima di essere eletto.

Sul fronte repubblicano le cose sono molto più confuse, in quanto la vittoria di Huckabee, che è considerato economicamente un “liberal”, e socialmente un “soft”, piace poco ai “poteri forti” del partito, al punto da aver rivalutato la possilità di portare John McCain sul fronte della battaglia. Anche Mitt Romney, il “mormone di plastica”, ha finto di aver vinto pur avendo perso ("abbiamo portato a casa la medaglia d'argento", ha detto, come se a competere fossero in trecento e non in tre), e questo gesto ipocrita non ha fatto che ridurre le sue future chance di vincere la nomination, in un’America che sembra – forse – aver dato un primo segnale di rifiuto verso tutto quello che viene percepito come “politica tradizionale”.

E intanto Ron Paul ridacchia sotto i baffi.

Massimo Mazzucco

Fonte: luogocomune.net

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