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Come mai nella legge istitutiva della “Giornata epidemica” del 18 marzo non si parla affatto di “Covid”? E qui casca l’asino…

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Le antiche caste sacerdotale formulavano i calendari in base alle osservazioni astronomiche ed ai cicli stagionali che regolano la vira: ciò anche in base al precetto secondo il quale, chi controlla la percezione del tempo controlla anche la vita dell’uomo.

Nella nostra epoca “finta laica”, le caste politiche non hanno rinunciato a tale precetto, e si moltiplicano le “giornate” mondiali, europee e nazionali per commemorare le ricorrenze più svariate.

Il 18 marzo del 2021 il Ministero della Salute pubblicava sul proprio sito web la notizia dell’istituzione della “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidemia di coronavirus”. L’articolo proseguiva: “La Giornata è stata istituita formalmente il 17 marzo con l’approvazione all’unanimità della relativa legge da parte della commissione Affari costituzionali del Senato, riunita in sede deliberante.
"Il miglior modo per ricordare le vittime di questa pandemia – ha detto il ministro della salute Roberto Speranza – è quello di tornare a investire nel servizio sanitario nazionale, riformandolo e ponendo al centro la parola prossimità".

Ora al di là della realtà dei fatti che ha visto il progressivo depotenziamento della sanità pubblica in relazione alla linea “austeritaria” delle oligarchie finanziarie che reggono l’Unione Europea (sarebbe questa la “riforma” a cui si riferiva Speranza?), si potrebbe fare qualche breve considerazione sul contenuto di questa nuova “giornata”.

Si ricorderà che nel 2000 l’Italia istituiva la “Giornata della memoria”, “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti” come recita il titolo della legge del 20 luglio. La giornata si celebra il 27 gennaio, data dell’ingresso delle truppe sovietiche nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1945, e sono previsti “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.  

Nel 2004 poi, tra non poche difficoltà, è stato istituito anche il “Giorno del ricordo” “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe”.

Ora vediamo invece la norma sul “ricordo epidemico” (Legge 18 marzo 2021, n.35), e in particolare l’Art. 1:

“Art. 1 – Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus 

“1. La Repubblica riconosce il giorno 18 marzo di ciascun anno quale Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus, di seguito denominata «Giornata nazionale», al fine di conservare e rinnovare la memoria di tutte le persone decedute a causa di tale epidemia. 

“2. In occasione della Giornata  nazionale, in tutti i luoghi pubblici e privati è osservato un minuto di silenzio dedicato alle vittime dell'epidemia. 

“3. La Giornata nazionale non determina gli effetti civili di cui alla legge 27 maggio 1949, n. 260”.

In pratica, il testo asserisce: 1) l’esistenza di una “epidemia”; 2) che tale fenomeno è da attribuirsi al “coronavirus”; 3) che le persone sono decedute a causa di tale epidemia.

Da osservare subito il mancato utilizzo della parola “pandemia”, ripetuta a getto continuo dalla propaganda a livello mondiale da ormai 24 mesi; ma siccome, come già osservato dai più attenti, l’OMS non si è mai sbilanciato nell’utilizzo di quel termine, gli autori del testo hanno preferito la parola “epidemia”.

Inoltre si parla di “coronavirus”, una amplissima categoria di patogeni a cui viene attribuita una serie di patologie dal comune raffreddore a varie forme influenzali. Non si parla affatto di “Covid-19” né di “Sars-CoV2”, ossia di manifestazioni particolari e specifiche attribuite alla categoria più generica del “coronavirus”. Queste ginnastiche lessicali sono state ampiamente trattate in Operazione Corona, colpo di stato globale di Nicola Bizzi e Matteo Martini.

Mentre nel linguaggio mediatico si è fatto, in questi due anni, un vero e proprio “minestrone” semiologico, adoperando in particolare il termine “Covid” più come clava delle misure lesive delle libertà garantite dalla Costituzione, che non come categoria di patologia sopportata da una chiara ed inequivocabile eziologia medica, il legislatore è stato molto, ma molto più prudente.

Se la lingua italiana non è un’opinione, si direbbe che la “giornata” debba commemorare TUTTE le vittime di quella categoria generica di patogeni che sono i “coronavirus”, quindi i deceduti per le svariate forme influenzali.

E qui casca l’asino. Ogni anno, da tempo immemorabile, vi sono le epidemie influenzali. Ci pare molto curioso che il legislatore, molto occhiuto in tema di DPCM per comprimere i diritti del cittadino e delle imprese, abbia “dimenticato” di fare alcun accenno alla specifica epidemia (e non “pandemia”) associata al “Sars-CoV-2”, in relazione al famigerato “stato di emergenza” stabilito il 31 gennaio 2020 ed alle successive misure dal marzo dello stesso anno. C’era già il sentore, nei corridoi del potere, che tutto il castello di norme “pandemiche” fosse privo di solide fondamenta giuridiche, e che per salvare la “giornata” occorreva correggere opportunamente il tiro?

Tra l’altro, ad esempio, nella stagione influenzale 2015-2016, l’alto tasso di mortalità, specie in alcune province del Nord Italia, non fu accompagnato da alcuno “stato di emergenza”, da “zone rosse”, da fibrillazioni politico-mediatiche, da isterismo vaccinale.

A proposito del Nord Italia, arriviamo infine alla scelta della data: il 18 marzo 2020 era il giorno dell’operazione mediatica targata “bare di Bergamo”, in cui tutte le televisioni hanno riportato immagini di camion militari che avrebbero trasportato defunti in altre città, a quanto pare a causa di difficoltà pregresse riscontrate nei servizi obitoriali in quel comune. 

Ma non è tutto: il varo della “giornata” coincideva con una visita del premier, insediato a Palazzo Chigi da appena un mese, con la relativa fanfara mediatica.

Ecco quanto si legge nell’Avvenire del 16 marzo 2021: 

“Era il 18 marzo dello scorso anno quando i camion dell'esercito partirono dalla città carichi delle bare dei defunti per portarle a cremare in altre città e altre regioni e proprio a un anno di distanza esatto, nella giornata nazionale delle vittime del Covid, arriverà in città il premier Mario Draghi, in un 'grande segnale di attenzione e affetto' come il sindaco di Bergamo ha ribadito in un'intervista all'Eco di Bergamo.”
Si potrà perdonare l’utilizzo del termine “Covid”, non essendo stata ancora pubblicata la legge sulla Gazzetta Ufficiale. Ma il succo propagandistico c’è: bisognava sancire ufficialmente quelle immagini (che si aggiungevano a quelle verosimilmente artefatte provenienti dalla Cina) ad alto impatto emotivo ma di scarso valore informativo. Immagini ripetute nei media ad nauseam, per inculcare nel pubblico la paura; i politicanti di tutti i tempi sanno bene che, nella psicologia di massa, più aumenta la paura, più diminuisce la facoltà critica e la resistenza ai soprusi. Per fortuna, anche questo tsunami propagandistico ha ormai perso ogni forza. 

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