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Con chi bisogna stare – del generale Fabio Mini

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Bisogna essere pacifisti incalliti e un po’ ottusi per non lasciarsi prendere dal sospetto che qualcuno di Emergency sia veramente colpevole del complotto ai danni del governatore di Helmand.

Bisogna rifiutare la realtà per non immaginare che dei medici possano fare causa comune con quelli che curano. 
Bisogna essere sordi e ciechi di fronte ai problemi del mondo per non ammettere che una organizzazione umanitaria come Emergency  potrebbe ospitare dei violenti  repressi mal mimetizzati dal buonismo e dal sorriso scimunito dello pseudo-buddista che crede di aver trovato la felicità interiore.

Siccome non sono pacifista, siccome cerco di stare con i piedi per terra e non ho ancora trovato alcuna pace interiore che mi lasci inebetito trovo molti aspetti della vicenda, perfino i più imbarazzanti, plausibili e comprensibili. Specie alla luce di qualche esperienza.

Anni fa una delle lettere ”dai Medici senza Frontiere” rivelava che uno di essi in Africa si era preso l’Aids andando a letto con una collaboratrice locale. Non disse nulla a nessuno, nemmeno al suo sostituto che, ovviamente, ebbe una relazione con la stessa collaboratrice e si beccò l’Aids anche lui. Alla faccia dei medici umanitari, si potrebbe dire.Alcune  organizzazioni umanitarie islamiche fanno  proselitismo per l’estremismo e anche contrabbando di armi. Alla faccia dell’umanitarismo, si potrebbe dire.

Alcune organizzazioni internazionali di cosiddetto sviluppo sono manifestamente agli ordini dei servizi d’intelligence e di corporazioni dedite allo sfruttamento degli uomini e delle risorse. Alla faccia dello sviluppo, si potrebbe dire.
 
Non ci sarebbe  quindi nulla di strano che un medico di Emergency si facesse dare mezzo milione di dollari per aiutare dei terroristi. Con quello che li paga l’organizzazione, il compenso varrebbe il rischio della pelle. 

Semmai di strano c’è che quella cifra viene offerta a uno straniero da chi non dà alcun valore alla vita e in un posto dove la vita non ha obiettivamente alcun valore. 
I dubbi aumentano se si considera che una tale fortuna viene offerta al medico per portare un paio di scatoloni nel suo ospedale e lasciarli in bella vista in modo che vengano subito trovati: sembra più una operazione da “governatori” e servizi segreti che da terroristi. 
Non ci sarebbe  nulla di strano che un medico, ancorché pacifista, a forza di vedersi portare corpi straziati dalle bombe dell’umanità occidentale, desse  i numeri  e diventasse terrorista. Non avrebbe però bisogno di essere pagato. Lo farebbe gratis e anzi pagherebbe lui per avere l’opportunità di scaricare frustrazione e impotenza.
Non sarebbe neppure strano che Emergency non sapesse nulla delle deviazioni di alcuni suoi componenti e che quindi sia tra le vittime dei complottisti piuttosto che tra i complici. Ogni organizzazione ha le sue mele marce e nessuna organizzazione umanitaria dovrebbe essere messa sotto accusa perché uno o alcuni suoi componenti vengono meno agli impegni assunti o diventano matti. 
E non è strano che il responsabile dell’organizzazione difenda a spada tratta i suoi: sia che non ne sappia niente e ancor di meno se ne sa qualcosa. 

Semmai è strano che la prima dichiarazione venuta in mente al nostro Ministro degli Esteri sulla vicenda sia la condanna contro tutti i terrorismi: in pratica è l’ammissione che Emergency è una organizzazione terroristica. O almeno una di cui è lecito sospettare.

E infine non sarebbe affatto strano che i prigionieri in Afghanistan confessassero. Da quelle parti gli stranieri si salvano solo se confessano, qualsiasi cosa e alla svelta. Salvano la faccia dei loro aguzzini e così salvano la pelle. Se c’è da fare dell’eroismo o del martirio bisogna aspettare di essere tornati a casa.

Queste sono possibilità che vanno giustamente considerate con dispiacere e senza cinismo o accondiscendenza anche se qualcuno può goderne e strumentalizzarle.

Tuttavia,  una volta considerate tutte le possibilità bisogna esaminare  i fatti. Piaccia o non piaccia, Emergency ha fatto un eccellente lavoro in Afghanistan. La sua storia parla a suo favore in termini umanitari ma anche di indipendenza ed equidistanza dalle parti in conflitto. Semmai le leggerezze commesse in passato sono state determinate da eccesso di zelo o protagonismo, ma a fin di bene.

Ho già detto chiaramente in tempi non sospetti che Emergency avrebbe pagato caro il suo intervento “politico” nella vicenda Mastrogiacomo. Ora ci siamo. 

Un altro fatto concreto è il fastidio arrecato da Emergency alle forze internazionali e ai governanti afgani ogni volta che ne ha denunciato le nefandezze. 
Un fatto è che Emergency è un punto di riferimento per chiunque abbia bisogno e quindi anche per i cosiddetti talebani. Un fatto è che Helmand è ancora una roccaforte dei ribelli pashtun e che il loro smantellamento deve necessariamente passare per quello di qualsiasi organizzazione che li aiuta, anche se per i soli aspetti umanitari. 
Un fatto è che la politica inglese di conquistare i cuori degli afgani di Helmand è fallita e ora, nonostante le promesse di Obama, si sta ritornando alla mattanza. 
Un fatto è che in Afghanistan è in atto una lotta fra organizzazioni internazionali alla ricerca di giustificazioni sia degli insuccessi sia dei soldi spesi ed Emergency si è invece distinta per i successi e il favore della gente. 
Un fatto è che la provincia di Helmand , come altre in Afghanistan, è affidata a politicanti di professione che ruotano ogni due anni traendo il massimo profitto e che si reggono solo sul favore delle truppe straniere.
 

Il governatore Gulab Mangal, presunta vittima del complotto, vive nel terrore, il figlio è sotto continua minaccia e lui stesso è scampato a diversi attentati veri o presunti. Gli inglesi che si sono sempre scelti il governatore di Helmand cominciano a dimostrarsi stanchi di proteggerli senza avere nulla in cambio ed Emergency non li ha certo aiutati a gestire la provincia. Da questi fatti deriva la concreta probabilità che Emergency sia finita sotto la mannaia della vendetta di alcuni e sotto la logica militare di altri. 

Invece di essere bombardato (e non si esclude che prima o poi non lo sia, per sbaglio, naturalmente)  l’ospedale deve essere delegittimato e la sua funzione umanitaria deve perdere di credibilità. 
Dal punto di vista militare Emergency deve cessare di essere un testimone e un punto di riferimento per i ribelli. Tutti devono sapere che farsi ricoverare può essere l’anticamera dell’arresto che per gli afgani è sempre l’anticamera del cimitero. 
Inoltre, il governatore deve riacquistare peso dimostrando ai suoi e ai protettori inglesi che anche le organizzazioni internazionali e gli alleati italiani ce l’hanno con lui. Solo così può sperare di continuare a fare gli affari propri.
 

Come ottenere tutto questo con un semplice coup di teatro è esattamente quello che si è visto finora. Una soffiata, la perquisizione, una scatola di esplosivo, una pistola, due bombe a mano attive e quattro inattive, gli agenti dei servizi che si portano dietro le telecamere, qualche soldato e poliziotto afgano e un paio di parà inglesi che si dirigono a colpo sicuro in una sala e fra decine di scatoloni individuano subito quelli sospetti. 

E quindi l’arresto di nove afgani e tre italiani, la detenzione e, forse, la confessione. Perfetto, come da copione, un po’ grossolano ma sempre efficace. 
Pur ammettendo ogni possibilità e perfino qualche deviazione, sono questi fatti ed il corso di eventi probabili  a far prevalere l’ipotesi della trappola e dell’intimidazione. 

Per questo, per il pedigree dell’organizzazione e per tutta la brava gente che crede nella sua missione oggi bisogna stare con Emergency. Domani si vedrà.

Fonte 

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