Al momento delle atipiche dimissioni del Governo Monti nonché delle febbrili e sospette operazioni per accelerare la data delle elezioni, il PDL era a pezzi e Monti stesso stava alla finestra. Con la conseguenza che la vittoria di Bersani (alle primarie del PD era stato detto e sottoscritto che il programma sarebbe stato la continuazione dell’opera di Monti), era un fatto scontato; la incognita sarebbe stata Grillo, dunque, verso cui si orientavano i giovani, gli arrabbiati e i delusi di sinistra e di destra.
L’unica spiegazione logica della scesa o salita in politica di Monti – che aveva già in tasca la pericolosa elezione a Presidente della Repubblica (farsa di Einaudi e diga insormontabile a qualunque decisione antiausterity)- pare costituita da sfiducia in una coalizione dove il SEL di Vendola vantava un certo peso. Ma a quel punto si muove il Cavaliere, timoroso per la sua sorte, visto che il calo del fatturato delle sue aziende – stimabile tra il 25 ed il 30% – suggeriva una politica economica più espansiva.
Il PDL si rianima, ma si assottiglia la schiera di indecisi e delusi del PD che voterà Grillo (quindi Bersani ne ha un vantaggio, il che potrebbe fare addirittura pensare a un qualche accordo anti-Grillo fra i due contendenti). Conclusione: lo scontro da Bersani/Grillo diviene Berlusconi/Grillo(per sospingere quest’ultimo al terzo posto); con esiti prevedibili se vincerà Bersani: a noi cittadini toccherà una versione montiana, pur sempre tedesca anche se riveduta e corretta dal duo Obama e Hollande, mentre alle imprese del Cavaliere – se otterrà almeno un pareggio al Senato – qualche boccata di raro ossigeno.
Ma Berluscones non temete! Perché il Cavaliere ha già tenuto a precisare che, in caso di sua insperata vittoria, ci saranno altri poveri che compenseranno la minore IMU: i dipendenti pubblici, ad esempio, i cui tagli faranno decrescere la domanda e gli investimenti complessivi, ma avranno un effetto trascurabile sulle aziende del Cavaliere.
Insomma, comunque vadano le cose, saremo rovinati… non ci resta che un voto di protesta e sperare che duri poco. Giusto quello che serve ad organizzare una forza che imponga spesa pubblica produttiva per lo sviluppo, sovranità monetaria in Europa o fuori, ripristino della netta divisione tra i soggetti che speculano sulle piazze finanziarie e chi deve assicurare il credito all’economia.
Antonino Galloni