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Un'illuminante riflessione sul rapporto tra ricchezza e potere, tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, all'insegna di un brutale darwinismo sociale che considera giusta l'eliminazione di intere classi, tratta dal Nuovo numero di PuntoZero fresco di stampa.


Una volta si domandava: "Che cosa sei tu?"  "Un potente"  "Dunque tu sei ricco".
Ora invece si domanda: "Che cosa sei tu?"  "Un ricco"  "Dunque tu sei potente".

Werner Sombart, Il capitalismo moderno, Firenze, Vallecchi, 1925, sez.V cap.36 

Avvertenza al lettore: In questo articolo, l'uso di termini generali e non specificati (quali poveri, ricchi, potenti…) è intenzionale, perché ciascun lettore possa applicare il materiale e le riflessioni di questo saggio ai dati della sua esperienza personale.

"La vita dei ricchi è una domenica senza fine; essi abitano belle case, vestono abiti di pregio, hanno visi tondi e grassi e parlano una loro lingua chiusa; ma il popolo giace davanti a loro come letame sul campo."

Georg Buchner scrisse queste parole nel 1834; 181 anni ci separano da esse, ma si potrebbero impiegare ora, subito, per descrivere la nostra realtà sociale di oggi.
Non è forse vero che oggi i ricchi sono straordinariamente ricchi? Non è vero che essi fanno o non fanno quello che vogliono, mentre tutti gli altri devono soggiacere ad una rete soffocante di obblighi e divieti?
I ricchi abitano in ville fantastiche, in quartieri vietati a chi non è ricco quanto loro, protetti da guardie, telecamere, sensori e ogni altro ordigno che rileva come minaccia e molestia la presenza di ogni forma di vita che non sia da loro gradita.
Non è vero che i ricchi costituiscono una sorta di setta segreta, lontana non solo dai giudizi, ma dagli stessi sguardi delle folle di cui decidono l'esistenza?

Quasi due secoli sono trascorsi dall'opera con cui Buchner denunciava una condizione sociale mostruosa in cui "i signori siedono ben vestiti nelle riunioni, e il popolo giace nudo e prostrato davanti a loro". Ma oggi siamo davvero più fortunati? Il popolo (fingiamo che questo vocabolo abbia ancora un senso) è più rispettato di due secoli fa? L'oligarchia che comanda l'Italia è veramente così diversa dalla minoranza che in Assia, nel 1834, "governava liberamente ed esortava il popolo alla schiavitù"?
Gli inviti a poveri, pensionati e disoccupati alla rinuncia e al sacrificio nel nome del senso civico non sono esortazioni alla schiavitù da parte di chi naviga letteralmente nell'oro, come Ignazio Visco (41.333 euro mensili di stipendio) o come Mario Draghi (31.250 euro mensili di stipendio)?

La crisi ha trasformato il lavoro in una benevola concessione; non è più un diritto ma un premio, sempre soggetto all'odioso ricatto: accontentati, perché potresti perdere il lavoro e allora come faresti a sopravvivere?
Se la crisi non ci fosse stata, i ricchi l'avrebbero inventata, perché è l'alibi perfetto per coprire ogni loro nefandezza, dall'abolizione di fatto delle pensioni alla progressiva soppressione della sanità pubblica. L'infame corsa alla devastazione dei diritti è giustificata dalla crisi, che colpisce la popolazione ma per i ricchi è solo una parola alla moda, che usano tutte le volte che devono "spiegare" perché gettano migliaia di persone nella disperazione.

Il sistema attuale che regola e stritola la vita di milioni di uomini e donne nell'Occidente industrializzato è paurosamente simile a quello che precedette la rivoluzione industriale, con tutte le conseguenze sociali che essa ebbe. Se si tratta di un piano organizzato, ideato a tavolino, programmato con attenzione non lo sapremo mai, se non ci sarà qualcuno che (per rimorso? per schifo di sé stesso?) renderà pubblici documenti ora assolutamente segreti. Ma non occorre affatto indulgere al "complottismo": se i ricchi non si sono effettivamente riuniti in una super-cupola (ma il Club Bilderberg che cos'è?), essi hanno in comune la cultura della sopraffazione e dello sfruttamento; essi – siano inglesi, statunitensi, tedeschi… – parlano una stessa lingua, condividono lo stesso aberrante codice immorale, credono tutti ad un brutale darwinismo sociale che considera giusta l'eliminazione di intere classi: chi non ha raggiunto il successo, chi non consuma abbastanza, chi non è un moltiplicatore di denaro (anche fittizio) è un fallito, un peso morto di cui ci si può sbarazzare.

"Voi non siete nulla"

scriveva Georg Buchner ai poveri del suo tempo,

"voi non avete nulla; voi non avete alcun diritto; voi dovete dare ciò che vi chiedono i vostri oppressori, e sopportare ciò che essi vi addossano".

Parole di un remoto passato? Parole che descrivono una realtà d'altri tempi? 

Il docente universitario, l'intellettuale di professione, il politico di mestiere sorridono con meravigliosa indulgenza, crollano il capo e rispondono che la domanda è assurda, o peggio populista, demagogica, qualunquista, una domanda di pancia…

Ma vorrei sentire cosa ne pensa un salariato del 2015, costretto ad alzarsi all'alba per recarsi al lavoro, magari prendendo un mezzo pubblico affollato e incerto; sottoposto a sette o otto o nove ore di lavoro da cui non ha gioia o soddisfazione e che non ha neppure veramente scelto; costretto a lavorare anche la domenica e il 26 dicembre; alle prese con persone che non stima a cui pure deve obbedire e che deve vedere e ascoltare più della donna o dell'uomo che ama; incalzato dal tempo; con quattordici giorni di ferie all'anno (ferie da contendere e patteggiare) che rappresentano il 3,8% del possesso della propria vita; con trenta minuti di tempo al giorno per inghiottire cibo e liquidi; con l'osceno ricatto "se non ti piace questo lavoro, trovatene un altro"; con il continuo spettacolo di miserabili figuri che rivestono ruoli superiori per motivi inconfessabili; con la vita familiare, culturale ed affettiva ridotta ai brandelli di tempo ed energia che il lavoro ha lasciato…

Non occorre pensare ad un complotto. Non occorre immaginare un gruppo di pochi burattinai occulti che scrivono i Protocolli della nuova, orrenda società da loro architettata.
L'oligarchia mondiale dei ricchi non deve necessariamente riunirsi in un antro tecnologicamente tetro, o scambiarsi file con i reciproci suggerimenti. I ricchi hanno la medesima mentalità, obbediscono alla stessa perversione, sono uguali negli elementi più profondi ed irrinunciabili della loro corrotta struttura mentale. Per questo, essi sono in perfetta sintonia e lo sarebbero anche se fossero rigorosamente separati fra loro ed irraggiungibili da mail o telefonate.
Sebbene frequentino università prestigiose ed usino strumenti ad alta tecnologia informatica, la loro forma mentis è rudimentale e arcaica, risale allo stadio predatorio dell'uomo, all'epoca in cui il più forte si imponeva con violenza sui più deboli e non risparmiava loro umiliazioni e sofferenze.
Possiamo conoscere questa mente feroce, falsamente ragionevole, infida e crudele da un testo vecchio di quasi un secolo: la mentalità della bestia brutale non è cambiata. Non può cambiare.

I ricchi rifiutano l'uguaglianza tra gli uomini:

"Non ci può essere maggiore assurdità né peggior servizio all'umanità in generale che il continuare a pretendere che tutti gli uomini sono uguali. È più che certo tutti gli uomini non essere uguali, e ogni concezione democratica che s'impunta a far gli uomini uguali è soltanto uno sforzo per sbarrare la via al progresso."

Henry Ford, La mia vita e la mia opera, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925, pag. 15

I ricchi sono certi che la maggioranza degli uomini deve solo eseguire i compiti assegnati, senza speranza e senza desiderio di cambiare la propria condizione:

"Oggi noi abbiamo circa il 5% di fonditori perfettamente abilitati; gli altri 95% non hanno alcuna istruzione tecnica o meglio, per essere precisi, essi debbono imparare un solo atto manuale che anche l'uomo più stupido potrebbe appropriarsi in due giorni."

Henry Ford, La mia vita e la mia opera, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925, pag. 104

I ricchi vogliono essere i giudici della vita privata di chi lavora per loro:

"La ripartizione (delle gratificazioni economiche) era sistemata con riflesso a tre classi di salariati: 1-Uomini ammogliati che vivevano con la famiglia e provvedevano ad essa debitamente; 2-Uomini scapoli sopra i 22 anni, di provate abitudini domestiche; 3-Giovani sotto i 22 anni e donne che fossero l'unico sostegno di qualche loro familiare. (…) Era insomma una specie d'ordinamento distributivo del benessere. Però a certe condizioni. L'uomo e la sua casa dovevano corrispondere a talune norme di pulizia e di civiltà."

Henry Ford, La mia vita e la mia opera, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925, pag. 152


Sopra: Henry Ford (Fonte: Biblioteca del Congresso USA)


I ricchi credono che solo individui eccezionali (come loro ritengono di essere) possono essere i protagonisti della storia:

"I migliori risultati possono essere e saranno conseguiti sempre dall'iniziativa e dall'originalità individuale, dall'intelligenza dell'individuo che guida."

Henry Ford, La mia vita e la mia opera, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925, pag. 218

I ricchi detestano l'assistenza pubblica organizzata, ed auspicano una spietata selezione naturale che agisca nella società, eliminando chi non produce abbastanza da giustificare la sua esistenza:

"Non molti anni addietro si propagò l'idea che l'assistenza fosse qualche cosa che noi per diritto ci dovessimo attendere. Un numero indicibile di persone divennero i beneficati di benintenzionati servizi sociali. Interi strati della nostra popolazione furono cacciati in uno stato di smarrimento infantile, aspettante tutto dagli altri. Si sviluppò una professione regolare del 'fare qualche cosa per il popolo', che procurò uno sbocco a molte lodevoli velleità di servizi, ma che non contribuì affatto a suscitare nel popolo la fiducia in sé stesso, e molto meno valse a correggere le condizioni dalle quali scaturiva l'asserito bisogno di quei servizi.  (…) È ormai accettato che un meccanico, giunto alla tarda età, debba essere mantenuto dai suoi figli, e se non ne ha, diventi un carico del suo Comune. Tutto ciò non è affatto necessario. La suddivisione dell'industria dischiude posti che possono essere occupati praticamente da chiunque. (…) Una comunità sta meglio quando è malcontenta che non quando è soddisfatta di ciò che ha. (…) Possa ogni americano corazzarsi d'animo contro il tenerume. Gli americani dovrebbero aborrirlo. È un narcotico. State ritti e difendetevi: lasciate i deboli accettare la carità."

Henry Ford, La mia vita e la mia opera, Bologna, Casa Editrice Apollo, 1925, pagg. 244, 246, 247, 259.

È utile sapere che:
Henry Ford (1863-1947) fu uno dei fondatori della Ford Motor Company ed uno degli uomini più ricchi della storia. 
Oltre che di automobili, Ford si occupò anche di quelli che potremmo definire impropriamente studi sociali. La sua riflessione sulla storia si condensò in una sua ponderosa opera dal titolo The International Jew, the world's foremost problem (L'ebreo internazionale, il più importante problema mondiale), pubblicata per la prima volta nel 1920. Quanto questo libro fosse antisemita e razzista basteranno a provarlo due fatti: Hitler cita ampiamente Ford nel Mein kampf. Inoltre, nel 1938, Adolf Hitler decorò Henry Ford con la Gran Croce dell'Ordine dell'Aquila Tedesca, il massimo riconoscimento che il governo nazista poteva concedere ad un cittadino straniero…


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