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Coscienza digitale: la risposta ai grandi misteri della vita?

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Un estratto del sorprendente articolo di Jim Elvidge che trovate sul n.126 di NEXUS New Times (in edicola o nel nostro shop).


Si accumulano le prove secondo cui noi viviamo in una realtà digitale alimentata dalla coscienza. Questo modello potrebbe spiegare le anomalie scientifiche come pure i fenomeni paranormali, ed ha enormi implicazioni.

E se la realtà non fosse davvero come pensiamo?

E se il nostro mondo fosse soltanto un grande videogioco, simile a una simulazione computerizzata? Sarebbe possibile? Oppure alcuni di noi hanno visto troppi film della serie Matrix? L’idea, in effetti, non è inverosimile come sembra.
Nel giro di una trentina d’anni saremo in grado di creare ambienti virtuali indistinguibili dalla nostra realtà. E dopo qualche altro decennio, persino le realtà fisiche saranno fabbricate. Inoltre, stiamo procedendo verso un’inevitabile fusione con le macchine. In verità, è quasi impossibile dire se questa fusione non sia già iniziata.
Per di più, continuano ad accumularsi forti prove a sostegno dell’idea che la nostra realtà possa essere già di per sé una sorta di simulazione digitale. I principali istituti di ricerca scientifica del mondo hanno dimostrato in modo conclusivo che non esiste una realtà fisica obiettiva indipendente dalla nostra coscienza. Ed è venuto fuori che un simile concetto spiega tutto, persino antichi enigmi filosofici, oltre ad anomalie scientifiche e metafisiche sfuggite ai ricercatori per secoli. Perché l’universo sembra accuratamente strutturato non solo per la vita ma anche per la propria esistenza? C’è vita dopo la morte? Qual è lo scopo della nostra vita? Studi scientifici rigorosi dimostrano la realtà di esperienze paranormali, ma come è possibile spiegarle? Cosa può spiegare anomalie della fisica quantistica come la correlazione, l’effetto Zenone quantistico e la retrocausalità? Come funziona il predominio della mente sul corpo? Che ci crediate o no, la Teoria della Coscienza Digitale fornisce un quadro di riferimento e una spiegazione per tutte queste domande e tante altre.

L’aspetto digitale di quest’idea, noto come filosofica digitale o fisica digitale, non è nuovo e può esser fatto risalire a un libro di Konrad Zuse del 1969, intitolato Calculating Space (Calcolare lo spazio). Da allora, vari filosofi (come Nick Bostrom di Oxford), scienziati (Ed Fredkin del MIT) e scrittori (Philip K. Dick) hanno esplorato possibilità del genere. Purtroppo, come nel caso di qualunque idea emergente che si rispetti, la storia ha dimostrato (con l’arte delle caverne, la legge di Ohm, la teoria dei quark e la fusione fredda) che devono passare una trentina d’anni prima che tali idee vengano generalmente accettate.

Esistono due categorie, ampie ma distinte, di filosofia digitale:

  1. Una realtà digitale deterministica;
  2. Una realtà digitale orientata dalla coscienza.

Nel primo caso, “noi” saremmo soltanto dei prodotti della complessità di un sistema digitale, impegnati in effetti a guardare l’esperienza dispiegarsi a poco a poco senza alcun libero arbitrio che ci consenta di controllarla o influenzarla. Nel secondo caso, invece, la coscienza crea o influenza la realtà.
La ricerca e la sperimentazione che allargano i confini della filosofia e della scienza stanno sostenendo sempre di più il secondo punto di vista. Chiamiamola filosofia della coscienza digitale. I principi fondamentali di quest’idea sono quattro:

  1. La coscienza è fondamentale e primaria;
  2. Tutta la materia è composta di dati e tutte le forze regolano le modalità d’interazione dei dati;
  3. La realtà che sperimentiamo è illusoria, una sorta di simulazione, progettata in modo da farci apprendere e da far evolvere la nostra coscienza;
  4. Il “sistema” è digitale e consiste nell’insieme di tutte le entità coscienti individuate, più la realtà virtuale in cui viviamo, e viene guidato da una regola fondamentale di miglioramento continuo.

Per valutare la probabilità che la nostra realtà funzioni in questo modo, dobbiamo esaminare due categorie di prove:

  1. Prove che la realtà sia digitale;
  2. Prove che la coscienza sia il motore principale della realtà.

Come dice il filosofo britannico Antony Flew, bisogna “andare dove portano le prove”. (1)

La nostra realtà è digitale?

Max Tegmark, cosmologo e matematico del MIT, ha osservato:

“In fisica, non abbiamo mai misurato nulla con più di sedici cifre significative, e non si è mai eseguito alcun esperimento il cui esito dipendesse dall’ipotesi dell’esistenza di un vero continuum, o s’imperniasse sul calcolo, da parte della natura, di qualcosa d’incalcolabile.” (2)

Pertanto non vi è motivo di supporre a priori che il mondo sia continuo. In effetti, l’unica prova della continuità del mondo è la nostra visione macroscopica di alto livello del mondo, che semplicemente “sembra” continua. Ma questa non costituisce una prova di realtà continua più della deduzione secondo cui gli atomi non esistono perché non possiamo vederli. Il fatto è che non esistono prove di una realtà continua, mentre ci sono prove in abbondanza di una realtà digitale…

C’è probabilmente bisogno di un rapido chiarimento dei termini “discreto”, “digitale”, “binario”, “analogico” e “continuo”:

  • discreto – avente punti di misurazione distinti nel dominio del tempo;
  • digitale – avente proprietà codificabili in bit;
  • binario – codifica fatta soltanto con due cifre, zero e uno;
  • analogico – avente proprietà continuamente variabili;
  • continuo – il dominio temporale è continuo.

Nell’ambito della filosofia digitale orientata dalla coscienza, credo che le prove sostengano con forza una realtà definibile come discreta e digitale; ovvero, il tempo va avanti a “grossi pezzi” e ad ogni punto discreto nel tempo, ogni proprietà di ogni cosa può essere rappresentata alla perfezione in modo digitale. Non ci sono infiniti. Molti fisici quantistici hanno raggiunto la stessa conclusione, che secondo me è logica e fondamentale. Analizziamo le possibili origini della realtà e le regole della sua esistenza…

Tipo 1: La nostra realtà è stata creata da un’entità cosciente e ha seguito le regole originali stabilite dall’entità in questione. Naturalmente, potremmo metterci tutta la vita a definire i termini “cosciente” o “entità”, ma cerchiamo di mantenere una certa semplicità. Uno scenario del genere potrebbe includere teorie religiose tradizionali sull’origine del mondo (per esempio, Dio ha creato il Cielo e la Terra), ma anche i comuni scenari di simulazione, analoghi all’ipotesi sulla realtà come simulazione avanzata da Nick Bostrom (vedi più avanti).

Tipo 2: La nostra realtà è stata creata, in origine, da un’entità cosciente e, da allora, si è evoluta secondo una sorta di legge evolutiva fondamentale.

Tipo 3: La nostra realtà non è stata creata da un’entità cosciente, la sua esistenza è venuta fuori dal nulla e da allora ha seguito regole primordiali della fisica. Per spiegare come mai il nostro universo sia stato messo a punto in modo così perfetto per la materia e per la vita, i cosmologi materialisti hanno inventato l’idea secondo cui dobbiamo esistere in una serie infinita di universi paralleli e, attraverso il principio antropico, quello in cui viviamo sembra così ben messo a punto soltanto per consentirci di viverci. Occam si starà rigirando nella tomba.

Tipo 4: La nostra realtà non è stata creata da una particolare entità cosciente, ma si è evoluta sin dall’inizio secondo una sorta di legge evolutiva.

Secondo me, nei primi due casi, la realtà dovrebbe essere digitale. Perché se un’entità cosciente crea un mondo in cui noi possiamo vivere e fare esperienza, tale entità cosciente è chiaramente molto evoluta rispetto a noi. Ed essendo così evoluta, si servirebbe senz’altro dei mezzi più efficienti per creare una realtà. Una realtà continua non è soltanto inefficiente, ma anche teoricamente impossibile da creare perché implica degli infiniti nell’ambito temporale, oltre che in qualunque ambito o proprietà spaziale.
Nel quarto caso, la realtà dovrebbe essere digitale per ragioni analoghe. Anche senza un’entità cosciente in veste di creatore, la fondamentale legge evolutiva favorirebbe senz’altro una realtà perfettamente funzionale che non richiedesse risorse infinite.
Soltanto nel terzo caso risulterebbe possibile una realtà analogica continua. Anche lì, però, sarebbe non necessaria e, come dimostrano le seguenti categorie di prove, altamente improbabile.

Quanti discreti

Una risoluzione infinita provoca ogni sorta di violazione delle leggi della fisica conosciute, tra cui la materia che implode in buchi neri su scale inferiori a quella di Planck, ovvero un fenomeno mai osservato. È altresì impossibile riconciliare la relatività generale con la meccanica quantistica. Le teorie sulla materia e l’energia attualmente preferite (teoria delle stringhe), nonché le soluzioni alla gravità e alla meccanica quantistica (gravità quantistica a loop), presuppongono una scala di lunghezza minima.(3)
Inoltre, vi sono prove a sostegno dell’idea che gli stati quantistici siano digitali perché i valori di rotazione minimi vengono quantizzati e non esistono stati intermedi, e ciò risulta anomalo in un continuum spazio-temporale. Come ha concluso il rinomato fisico John Wheeler,

“ogni quantità fisica deriva il proprio significato ultimo da bit, indicazioni binarie sì-o-no”. (4)

Considerazioni filosofiche

Nella sua ipotesi sulla realtà come simulazione, il filosofo oxfordiano Nick Bostrom ha proposto come probabile l’ipotesi secondo cui stiamo vivendo una simulazione. Questo perché presto raggiungeremo uno stadio “post-umano” in cui sarà possibile creare numerose simulazioni ancestrali, e ciò rende più probabile che ci si trovi in una di esse rispetto alla fase pre-“post-umana”. Infatti, come conclude logicamente il filosofo svedese, esistono tre possibilità: (5)

  1. Ci troviamo effettivamente nella fase pre-“post-umana” ma, dato che la probabilità di una cosa del genere è incredibilmente ridotta se deve esistere un’era post-umana, allora dobbiamo autodistruggerci prima di arrivarci;
  2. Analogamente, ci troviamo davvero nella fase pre-“post-umana”, ma sceglieremo consapevolmente di non procedere con le simulazioni post-umane;
  3. Ci troviamo in una simulazione post-umana.

Si dovrebbe escludere la possibilità n. 2, dato che non evitiamo mai di portare avanti tecnologie (come quelle nucleari, le nanotecnologie o la clonazione) che comportino dei rischi. La tecnologia della simulazione non sembra neppure comportare un grande rischio, e ciò rende ancor meno probabile l’eventualità che si decida di non svilupparla. Al contrario, il divertimento che le simulazioni fantasiose producono sta determinando la diffusione sempre maggiore di giochi di ruolo online multigiocatore sempre più avanzati, mentre la tecnologia della realtà virtuale sta vivendo il suo secondo boom con l’avvento di display per la realtà virtuale sempre più avanzati da montare sulla testa.

La materia come dati

Nell’antica Grecia, Democrito propose l’idea che gli oggetti solidi fossero composti di atomi di quell’elemento o materiale, sia strettamente legati tra loro, come nel caso di un oggetto solido, o separati da un vuoto (spazio). Si pensava che questi atomi fossero oggetti piccoli, indivisibili e simili a palle da biliardo, fatti di un qualche tipo di “materia”. Riflettendo un po’ sulla questione, divenne evidente che, se si pensava che gli atomi fossero sferici e accalcati tra loro in maniera ottimale, allora la materia costituiva essenzialmente il 74% dello spazio che occupa, e il resto era spazio vuoto. Allora, per esempio, un lingotto d’oro massiccio era fatto al massimo soltanto del 74% di “sostanza” d’oro.
Questa visione della materia è stata resuscitata da John Dalton nei primi anni del XIX secolo e riveduta dopo la scoperta degli elettroni da parte di J. J. Thomson. A quel punto, si pensava che gli atomi somigliassero a un budino alla prugna, con gli elettroni immersi nel suddetto “budino” di protoni.
Ciononostante, la densità della “materia” non cambiò, almeno fino ai primi del Novecento, quando Ernest Rutherford determinò che gli atomi erano composti, in realtà, di un denso nucleo e di uno strato esterno di elettroni. Ulteriori misurazioni rivelarono che queste particelle subatomiche (protoni, elettroni e, in seguito, neutroni) erano in realtà molto piccole in confronto all’atomo nel suo complesso e che, in effetti, la maggior parte dell’atomo era costituita da spazio vuoto. Questo modello, abbinato alla consapevolezza del fatto che gli atomi in un solido dovevano avere, in effetti, una certa distanza tra loro, cambiò completamente la nostra visione della densità della materia. Si scoprì che nel nostro lingotto d’oro, solo una parte su 1015 era costituita da “sostanza”.
Così fu, almeno, fino alla metà degli anni Sessanta, quando venne proposta la teoria dei quark, secondo la quale protoni e neutroni erano composti in realtà di tre quark ognuno. Dato che ormai la teoria è abbastanza comunemente accettata e si sono fatte delle stime sulle dimensioni dei quark, è possibile calcolare che, essendo i quark tra mille e un milione di volte più piccoli rispetto alle particelle subatomiche che formano, ora la materia è da 109 a 1018 volte più rarefatta di quanto si pensasse in precedenza. Pertanto adesso il nostro lingotto d’oro è fatto di “sostanza” per circa una parte su 1030 (ordine di grandezza più o meno), mentre il resto è spazio vuoto. Tanto per fare un paragone, circa 1032 granelli di sabbia riempirebbero la terra. Pertanto la materia è densa di “sostanza” all’incirca quanto un granello di sabbia rispetto all’intero pianeta.

E ora, naturalmente, abbiamo la teoria delle stringhe, secondo cui tutte le particelle subatomiche sono in realtà soltanto pezzetti di stringhe vibranti a frequenze specifiche, con ogni stringa avente l’ampiezza della lunghezza di Planck. In tal caso, le particelle subatomiche sarebbero composte di spazio vuoto per 10-38, lasciando il nostro lingotto d’oro con soltanto una parte di “materia” su 1052.
Tutto questo sta diventando un po’ ridicolo, vero? Non si capisce dove si va a finire?
In effetti, se le particelle sono composte di stringhe, perché abbiamo bisogno dell’idea di “materia”? Non basta definire i diversi tipi di materia con un unico numero, ossia quello della frequenza alla quale la stringa vibra?

Cos’è la materia in ogni caso? È un numero assegnato a un tipo di oggetto che ha a che fare con il modo in cui l’oggetto in questione si comporta in un campo gravitazionale. In altre parole, è soltanto informazioni.
Non facciamo davvero esperienza della materia. Ciò che sperimentiamo è radiazione elettromagnetica, influenzata da un oggetto che chiamiamo materia (visiva), e l’effetto della regola della forza elettromagnetica dovuto alla repulsione delle cariche tra i gusci elettronici degli atomi nelle nostre dita e i gusci elettronici degli atomi nell’oggetto (tattile). In altre parole, regole.
A ogni modo, se estrapolate i nostri progressi scientifici tracciando l’evoluzione della densità teorica della materia (vedi sotto), è facile vedere che il rapporto tra la “materia” fisica vera e propria e lo spazio che consuma tende a zero quando scopriamo di più sulla struttura della materia in questione.
Ciò implica che molto probabilmente la materia è composta, in ultima analisi, soltanto di dati, e che le forze che ci fanno sperimentare la materia nel modo in cui la sperimentiamo potrebbero essere semplicemente delle regole sul modo in cui i dati interagiscono tra loro. È altresì degno di nota il fatto che le equazioni da cui si ricava l’entropia termodinamica e informativa abbiano entrambe la stessa forma, il che va a ulteriore sostegno dell’idea che la materia/energia sia composta da informazioni.

Equazioni che creano la realtà

Normalmente pensiamo alle equazioni matematiche come strumenti in grado di aiutarci a descrivere empiricamente il comportamento che vediamo nel mondo naturale. Ma esistono prove del fatto che il nostro mondo sia creato a partire da algoritmi o equazioni? Per citare uno di tanti esempi del genere, si è dimostrato che le soluzioni a frequenza negativa alle equazioni di Maxwell si rivelano effettivamente in delle componenti della luce. (6) Se la nostra realtà fosse quel che sembra, le soluzioni alle equazioni dovrebbero aver senso soltanto nel contesto di una descrizione della realtà. Tuttavia, in alcuni casi sembra che accada il contrario. Dati e regole non si manifestano a partire dalla realtà; essi creano la realtà…

Continua…


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