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    Dalla Russia con amore – di Massimo Mazzucco

    In poche ore la notizia ha fatto il giro di tutti i network americani: smascherata organizzazione di spie russe a Washington. Non due o tre, ma addirittura 11 spie russe sono finite contemporaneamente nella rete dell’FBI, colpevoli di aver raccolto e passato ai sovietici informazioni riservate di vario tipo, nell’arco di circa 5 anni di attività durante i quali erano riuscite ad integrarsi perfettamente nel tessuto sociale della capitale americana.


    Roba da tornare di colpo ai momenti peggiori della Guerra Fredda.

    Poi, man mano che hanno iniziato ad emergere i particolari, il colore della vicenda ha cominciato a variare dal giallo intenso dei migliori libri di LeCarrè al rosa sempre più slavato dei più trucidi tabloid da supermercato.

    La prima cosa che ha fatto arricciare il naso agli esperti di spionaggio è che si trattasse di 11 normali cittadini – russi, si presume, con identità americane – invece dei diplomatici che normalmente venivano usati nel secolo scorso dai sovietici per svolgere questo tipo di attività.

    “Mi sembra tutto una montatura – ha detto Mikhail Lyubimov, un ex-agente dei servizi segreti russi – noi non abbiamo mai usato “illegali” in questo modo”, riferendosi allo status di immigrazione di questi civili russi. “Ed è comico – ha aggiunto – trovarne addirittura 10 collegati fra di loro”.

    In effetti, se dieci “spie” sono collegate fra loro da un unico anello, l’undicesima, significa che l’organizzazione è stata messa in piedi da gente che dovrebbe dedicare il proprio tempo alla pesca piuttosto che al giardinaggio.

    Micidiali, a loro volta, i sistemi che queste spie utilizzavano …

    … per passarsi le informazioni. In un caso, sembra che la spia A usasse nascondere i documenti da trafugare in un piccolo sacchetto impermeabile, che seppelliva nella fioriera di un giardinetto pubblico, sotto gli occhi di tutti. Dopo qualche ora interveniva la spia B, che passava accanto alla fioriera, e con grande nonchalance recuperava il prezioso pacchettino. In un altro caso la spia C aveva appuntamento con la spia D all’uscita della metropolitana. Dopo essersi riconosciuti reciprocamente, grazie alla parola d’ordine, la spia C passava accanto alla spia D, infilando sveltamente nel suo zainetto i documenti da trafugare. Ma c’erano anche i più ”evoluti”, in questa organizzazione, che usavano addirittura i laptop per trasmettere informazioni ai loro colleghi in madrepatria. Informazioni criptate, naturalmente, grazie ad una tecnologia di embedding nelle immagini digitali che ormai è accessibile persino ai bambini dell’asilo.

    Mark Lowenthal, un ex-agente della CIA, l’ha definita una “operazione di incompetenti”.

    Ma la cosa più divertente di tutte è proprio l’undicesima spia, quella che in gergo viene chiamata ring-master (remember, Atta?). Chi poteva essere, se non una sinuosa ventottenne dai capelli rosso-fiamma, con lo sguardo invitante e la tetta strabordante? Ebbene sì era lei, “Anna Chapman” per gli amici, il genio di tutta l’operazione. Talmente geniale, la ragazza, che avrebbe accettato di incontrare un “nuovo agente russo”, che le avrebbe dato un passaporto falso da passare ad un’altra persona, senza nemmeno verificare con il Cremlino la sua reale identità. Per farsi riconoscere, l’agente russo – che in realtà era un uomo dell’FBI sotto copertura – le avrebbe chiesto: “Scusi, ma noi non ci siamo già conosciuti in California?” “No – avrebbe risposto lei, sempre in codice – dev’essere stato negli Hamptons”. 

    Roba da far morire di vergogna gli autori dell’Intrepido.

    Ma quelli dell’FBI, evidentemente, la vergogna non la conoscono: sono loro che hanno “inventato” la foto del passaporto del terrorista che ha sopravvissuto all’esplosione delle Torri Gemelle; sono loro che hanno inventato la valigia di Atta che girava solitaria sui carrousel dell’aeroporto di Boston, dalla quale sono usciti Corano, testamento del suicida e manuali di volo in quantità industriali; sono sempre loro che hanno trovato la bandana intonsa del terrorista nella buca di Shanksville, insieme a una mezza dozzina di documenti di identità – sempre di terroristi, ovviamente – stampati sulla notoria e resistentissima “carta araba”.

    Che sono poi gli stessi che attribuirono a Oswald un fucile Mauser, solo per sostituirlo all’ultimo momento con il più sgangherato Mannlicher-Carcano, quando si accorsero che Oswald non aveva la licenza per il primo tipo di fucile.

    Sono loro, evidentemente, che leggono l’Intrepido, e che pensano che il mondo reale sia come quello dei fumetti.

    Ma forse lo smacco più grande, per questi nostalgici della Guerra Fredda, è arrivato dalla Casa Bianca: reduce da un incontro molto positivo con il presidente Medvevev, Obama ha fatto capire che questa vicenda non intaccherà minimamente gli ottimi rapporti attualmente in corso fra Russia e America. Identico atteggiamento da parte del Cremlino, che ha praticamente snobbato la notizia, come se al massimo avessero arrestato un ladro di automobili.

    Massimo Mazzucco
     



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