È falso: i giornali (e ciò vale ancora di più per la televisione) sono lo strumento di propaganda di chi li paga, perciò non rivelano che le aspettative, le critiche, le idee dei finanziatori: più essi sono occulti, più il giornale sarà pensato e costruito per essere una suadente ed efficace macchina di propaganda.
È molto più interessante considerare le reazioni della gente alla lettura del giornale; si tratta quasi di un esperimento ideale, in cui la cavia (il lettore) viene esposta ad uno stimolo (l’articolo) apparentemente neutro, ma invece finalizzato ad uno scopo non dichiarato.
In questi giorni, un argomento principale nei mass media è la violenza giovanile, il bullismo.
I giornali informano che le azioni aggressive degli adolescenti sono enormemente aumentate; per di più, i giovanissimi delinquenti riprendono le loro gesta con il videofonino e le diffondono tra amici e spesso su Internet.
I giornali di destra si compiacciono di elencare aggressioni, vandalismi, violenze sessuali e, al termine della lista, concludono che, a questo punto, occorre intervenire con la mano pesante: tolleranza zero, ripetono storditi dal fascino che esercita su di loro, come un mantra malato, questa odiosa formuletta che dice tutto e niente.
I giornali di sinistra ripropongono stancamente soluzioni sociologiche che si rifanno a formule astratte più che alla realistica osservazione del mondo, con le sue contraddizioni, le sue bassezze, le sue miserie che sfuggono ai massimi sistemi dell’analisi teorica.
Probabilmente, non esistono più (o non ancora?) le categorie ed i criteri con cui studiare e interpretare il nostro presente. Noi, cioè, cerchiamo di comprendere un mondo che è del tutto diverso da quelli che l’hanno preceduto; le teorie, i valori, le strutture di pensiero che applichiamo a questa nostra società non sono più adatte, perché la nostra realtà attuale è diversa da ogni altra esperienza sociale passata.
Ecco qui il nostro regalo di Natale a voi lettori, uno sconto del 28% su un pacchetto che contiene i 3 titoli che forse meglio riassumono il nostro ultimo anno di fatiche editoriali. Sono certo libri controversi, profondi, scomodi ma sono libri puri. Speriamo con questo sconto di fare un gradito regalo a tutti voi che ci seguite e continuate a sostenerci. Noi non siamo qui per dare la verità, la verità non è di questo mondo, ma siamo qui per diffondere delle chiavi di lettura della realtà, per aprire la vostra e la nostra mente. Nella speranza di riuscirvi al meglio, vi auguriamo Buone Feste!
Noi (intendo intellettuali, non i politici di professione) applichiamo codici interpretativi che sono stati elaborati nel corso dei secoli: l’idea di giustizia, ad esempio, che oggi è generalmente diffusa (non applicata: diffusa) è quella che nasce con la Rivoluzione Francese, passa attraverso le grandi esperienze ed i laboratori ideali dell’Ottocento, si confronta con antitesi atroci quali furono le dittature rosse e nere del Novecento, si arricchisce dei concetti nati dal dopoguerra.
Ma non occorre rivolgersi a casi così solenni e maestosi; pensiamo solo a concetti quotidiani e a misura di individuo: il pudore, la disponibilità all’ascolto, il rispetto verso le forme di vita e di coscienza.
Tutto è diverso, anzi tutto è disgregato: i codici sono frantumati e per questo noi non sappiamo comprendere, né interpretare, né prevedere.
Come si può trovare un senso, un qualsiasi senso, al fatto che il litigio tra una moglie ed un marito diventa argomento delle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali e tema di dibattito per ore di trasmissioni televisive?
Quale codice applicheremo per tentare di spiegare perché vengano invitati illustri personaggi a commentare il battibecco fra una moglie irritata ed un marito che ha fatto ai suoi danni la tipica grossolana gaffe del galletto italiano?
Assistiamo sgomenti a queste devastazioni culturali, a questi tsunami intellettuali che provocano danni su un corpo già malato. E non basta più denunciare questa situazione comatosa; ormai ci si deve rassegnare al fatto che anche la denuncia non è che un atto della triste commedia.
Oggi non stiamo vivendo il “rovesciamento di tutti i valori” invocato da Nietzsche; qui stiamo vivendo l’entropia dell’attività cerebrale, il disfacimento della civiltà che si atomizza in un pulviscolo di assurdità. Non è più nemmeno possibile parlare di crisi, perché la crisi – fino ad oggi, per tutti i secoli precedenti – era un momento di passaggio, una condizione sì critica ma temporanea, proprio per la sua natura di “verifica” (questa è l’etimologia greca della parola), di prova, dura forse ma aperta al futuro, alla possibilità.
Torno alla domanda di poco fa: abbiamo gli strumenti per comprendere il nostro presente? Cioè: la nostra società attuale è comprensibile? Possiamo trovare una risposta – magari dolorosa ma comunque umana – alla follia di violenza, di distruzione, di annichilimento che è la sola vera caratteristica del nostro secolo?
Possiamo spiegare qualcuna delle convulsioni epilettiche che segnano la nostra civiltà?
Sarei tentato di rispondere “no”.