"La minaccia viene da dentro". Con questo sottotitolo si apprestava ad essere proiettato nei cinema d'Oltralpe un film che, censurato per ben due volte a poche ore dalla sua uscita nelle sale cinematografiche, gli elettori francesi non hanno potuto vedere prima di farsi un'idea su chi votare alle elezioni presidenziali di quest'anno.
Si tratta di Made in France, pellicola del regista Nicholas Boukhrief, di padre algerino e di madre francese, distribuita da Pretty Pictures.
In due occasioni la sua uscita è stata sospesa perché avrebbe potuto urtare la sensibilità del pubblico, appena sconvolto da attentati terroristici accaduti poche ore prima: l'attentato a Charlie Hebdo, che avrebbe dato il via ad una serie di attentati sul suolo francese, il 7 Gennaio 2015, ed i sei attentati del 13 novembre 2015, di cui il più famoso al teatro Bataclan; entrambe le volte, il film avrebbe dovuto essere proiettato a pochi giorni di distanza.
A non volersi accontentare delle spiegazioni ufficiali, avendo preso visione della pellicola (che qui potrete trovare in streaming ad alte definizione, sottotitolata in italiano), a mia discrezione posso aggiungere che il film avrebbe forse rischiato di mostrare una visione ben poco cinematografica, e molto realistica, sui retroscena del terrorismo jihadista in Francia. Forse, sull'onda emotiva degli attentati, qualcuno avrebbe potuto leggerlo come un invito alla jihad (nella locandina del film, un kalashnikov prende il posto della Torre Eiffel), o all'opposto come un'incitazione all'odio verso i musulmani residenti in Francia, e per estensione in Europa. Ma forse avrebbe anche potuto, al contrario, essere uno strumento utile per una lucida riflessione.
Un breve riassunto della trama (senza spoiler) la fornisce Il Fatto Quotidiano del 16 novembre 2015:
Il thriller racconta la storia di un giornalista, Sam, che sfrutta la sua cultura musulmana per infiltrarsi nei circoli delle banlieue parigine frequentati da fondamentalisti islamici. Viene così in contatto con una cellula jihadista composta da cittadini francesi che ha ricevuto l’ordine di seminare il panico nel centro della capitale. I terroristi del film progettano un attentato sugli Champs-Elysées e, contemporaneamente, in altri luoghi di Parigi.
Ebbene sì: all'epoca dell'estensione dell'articolo, e della censura del film, ancora non erano stati presi di mira gli Champs Elysées, come invece sarebbe, casualmente, successo la sera del 20 aprile 2017, a poche ore dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi.
Una curiosa sincronicità, che potrebbe far dubitare, a qualche complottista, sui reali motivi della censura della pellicola. Nel film, infatti, si mostra una panoramica interessante sulla formazione di queste giovani reclute di Allah: francesi di origine nordafricana, immigrati di seconda o terza generazione, che cercano nella jihad una forma di riscatto e di vendetta verso una società che li considera reietti, ma anche giovani francesi che bramano una forma di spiritualità più "coinvolgente" rispetto al cattolicesimo dei genitori, "noioso", o che vorrebbero plasmare la società occidentale, corrotta dal dio denaro, secondo i dettami della loro fede, considerata unica àncora di salvezza.
Nel film, i futuri possibili "terroristi" trovano un punto di riferimento in Hassan (Dimitri Storoge), addestrato in Pakistan, che sperano possa far loro da tramite per combattere in Siria come foreign fighters (uno spunto interessante, per un pubblico ignaro della situazione in Siria). La sorpresa e lo stupore, sulle loro facce, quando questi gli comunica che quanto richiesto loro dai 'superiori occulti' della sua organizzazione non è di combattere all'estero, ma in Francia, per "portare la guerra santa nel cuore dell'Europa" (un rischio tutt'altro che cinematografico, che è stato di recente paventato anche dal presidente siriano Assad, intervistato da Fulvio Scaglione per Avvenire: ne abbiamo parlato qui).
"Un’ondata di attentati scuoterà tutta la Francia", spiega loro Hassan.
Un pronostico che dalla realtà cinematografica salta dritto nella realtà francese, che all'epoca del film ancora non aveva riconosciuto le rivendicazioni dell'"ISIS" o di "Al Qaeda in Yemen" (organizzazioni reali o di facciata?) per una lunga serie di attentati che hanno insanguinato il Paese negli ultimi due anni (qui una lista completa, auspicabilmente non provvisoria).
Una crescente strategia di destabilizzazione, che ha avuto il suo recente culmine nell'attentato agli Champs Elysées in cui ha trovato la morte l'agente di polizia Xavier Jugelé, di 38 anni, e che ha visto salire sul banco mediatico degli imputati Marine Le Pen, accusata di favorire l'islamofobia, che scatenerebbe a sua volta il terrorismo islamista, e di essere elettoralmente favorita da questi attentati.
In realtà, come faceva notare Marcello Foa in una sua analisi del voto francese di domenica scorsa, a trarne vantaggio è stato soprattutto il candidato centrista Emmanuel Macron, che sull'immigrazione e sull'islam sposa l'apertura incondizionata del presidente uscente Hollande, perché percepito come il candidato più istituzionale da un'opinione pubblica emotivamente "sotto assedio".
A danno proprio di Marine Le Pen, che arriva seconda, e di Jean Luc Mélenchon, candidato "populista di sinistra" che senza l'attentato del 20 aprile sarebbe forse andato al ballottaggio con la leader del Front National. Una prospettiva che per il "sistema" avrebbe rappresentato una sconfitta amara, almeno mediaticamente, perché le posizioni di Mélenchon sulla NATO e la sua proposta di far aderire la Guyana francese all'ALBA, l'Alleanza Bolivariana per l'America Latina fortemente voluta da Hugo Chávez, lo rendevano quasi l'equivalente a sinistra della Le Pen (e forse, tra i due avrebbe vinto Marine).
Entrambi due possibili presidenti, Jean Luc e Marine, che, sorprese permettendo, non avrebbero concesso avventure belliche in terra siriana o in altri scenari di possibile scontro con la Russia; e che non si sarebbero rivelati, probabilmente, troppo 'amici' di USA ed Israele, o delle petromonarchie del Golfo, per restare tra i principali finanziatori del terrorismo "islamico".
La sincronicità potrebbe quindi aver salvato Macron, permettendo la formazione della coalizione anti-lepenista che gli aprirebbe le porte dell'Eliseo? Il futuro, e gli elettori francesi, lo diranno.
Di sicuro, ad avviso di chi scrive, la visione del film di Nicholas Boukhrief avrebbe potuto essere utile all'opinione pubblica francese, per prendere coscienza del "nemico interno", che prospera grazie ai centri di predicazione dell'Islam radicale, che in Europa ed in Francia, a differenza che in Marocco e nella Siria di Assad, trovano ospitalità grazie ai capitali sauditi… ben accolti dal Ministro "socialista" delle Finanze… Emmanuel Macron (vedi qui).
Altra curiosa sincronicità, in "Made in France" si parla esplicitamente della possibilità di prendere di mira agenti di polizia e soldati, come simbolo dello stato francese, proprio come sarebbe avvenuto agli Champs Elysées il 20 aprile scorso (auspicabilmente, speriamo che non si tratti di una nuova possibile strategia mediatica del "terrorismo", per demoralizzare ed intimorire il personale di polizia dei paesi europei).
Inoltre, gli spettatori avrebbero potuto trovare interessante una scena del film, in cui gli aspiranti "terroristi", seduti intorno ad un tavolo, vengono invitati dal loro mentore ed addestratore ad entrare in regime di Taqiya, ovvero a comportarsi in modo formalmente molto diverso da come si comporterebbe un islamista radicale o uno zelante fedele musulmano, per "dissimulare" la propria fede e le proprie intenzioni jihadiste, arrivando anche al punto di rinnegare la fede islamica o di pronunciarsi apertamente a favore degli Stati Uniti o di Israele: una pratica essenziale per motivi di sicurezza per chi porta avanti delle missioni 'particolari' in nome di Allah (ne avevamo parlato in questo articolo).
Quanto è diffusa questa pratica tra gli islamici francesi, ed europei?
E soprattutto, se tale dissimulazione coinvolgesse non solo la manovalanza terroristica (carne da macello), ma anche coloro i cui compiti sono proprio di monitorare, arginare ed eliminare il terrorismo?
Sono domande che dovrebbero essere poste, e che un'opinione pubblica informata può porsi.
Se tale condizione fosse estesa, e comprendesse anche funzionari pubblici, legislatori, operatori dei servizi segreti o dell'esercito, politici eletti, forse persino ecclesiastici, ci si troverebbe di fronte ad una situazione molto grave. Scriveva ad esempio il blog Ora pro Siria, che si occupa della situazione in Siria vista attraverso l'esperienza dei religiosi che vi operano a fini umanitari, commentando l'invito fatto nel settembre scorso ai musulmani europei di pregare nelle chiese dei cattolici durante la messa, in seguito all'uccisione di padre Hamal a Rouen per mano di un giovane "jihadista" (il sacerdote fu sgozzato di fronte ai fedeli mentre celebrava la liturgia, ce ne siamo occupati qui):
i Musulmani possono ricorrere in particolari situazioni alla dissimulazione (Taqqya): laddove siano minoranza e debbano carpire la benevolenza delle comunità contigue alla loro, possono accettare anche leggi e modi di vita a loro non proprio graditi, finché non siano essi ad essere maggioranza con la possibilità di farsi valere anche a livello politico e quindi legiferare islamicamente (Sharia).
La presenza anche tra gli amministratori e i legislatori, in diversi paesi europei, di personaggi vicini ad organizzazioni apertamente islamiste come la Fratellanza Musulmana, o di altri possibili islamisti sotto taqiya, potrebbe porre le basi per una reale guerra di religione all'interno dell'Europa, anche attraverso lo strumento della democrazia e l'imposizione di adeguamenti delle leggi europee alle norme islamiche.
Basti pensare al partito Denk olandese, al sindaco di Londra Sadiq Khan, al deputato del PD Khalid Chaouki, alla consigliera comunale milanese, dello stesso partito, Sumaya Abdel Qader (entrambi vicini ai Fratelli Musulmani), per fare solo alcuni nomi. O alla presunta, possibile, appartenenza di Barack Hussein Obama, e di Carlo d'Inghilterra, alla religione di Mohammad.
Ma queste, al momento, sono solo speculazioni, per quanto non prive di indizi concreti (vedi ad esempio questo articolo su Obama e questa indagine sul Principe Carlo).
Ciò che ad oggi è invece reale, è che, attentato dopo attentato, il popolo francese ha sempre più chinato la testa, accettando di vivere nella paura come condizione abituale, e finendo per assecondare chi gli raccontava che il vero nemico sono gli "islamofobi", gli "xenofobi", gli "estremisti di destra", i "populisti".
Come il sindaco della cittadina di Béziers, nel Sud della Francia, Robert Menard, vicino al Front National, che è stato multato solo per aver pubblicato sui social una foto di una classe elementare del suo paese negli anni Settanta, comparandola con una della stessa scuola oggi: istantanee che mostravano senza parole la "sostituzione di popolo" in atto in Francia.
Attentato dopo attentato, ciò che prima era una condizione straordinaria diventa la normalità.
Una "nuova normalità" che ormai sembra plasmare non solo la Francia, ma tutte le realtà "multiculturali" europee, dal Regno Unito alla Germania, dalla Svezia al Belgio ed ai Paesi Bassi.
Secondo il sindaco di Londra, Sadiq Khan, vivere in una grande metropoli porta con sé il rischio di essere vittima di attentati.
Secondo papa Francesco, l’insicurezza fa parte della vita.
Ma c’è ad oggi un solo paese, in “Occidente”, dove gli attentati terroristici fanno parte della vita di tutti i giorni da decenni.
Questo paese è Israele.
Solo in Israele, la popolazione ha ormai 'accettato' di vivere sotto la costante minaccia del terrorismo, come condizione normale di vita.
Ma in Israele, il terrorismo "palestinese" può avere una giustificazione ideologica nell'occupazione da parte degli immigrati di religione ebraica a partire da fine Ottocento di una terra che non apparteneva loro (anche con l'appoggio della Germania hitleriana), e che ha portato alla nascita dello Stato Ebraico con il riconoscimento dell'ONU. Ma fino a prova contraria, la loro terra gli Europei non l'hanno sottratta a nessuno. A meno che…
A meno che, le migrazioni di questi decenni non possano essere paragonate a quelle dei primi coloni ebraici, che prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale compirono atti di estremo terrorismo a danno degli allora abitanti palestinesi. Ci volle poi una Guerra Mondiale, perché la situazione si convertisse a loro favore, e le Nazioni Unite decretassero la nascita dello Stato ebraico di Israele nella terra sottratta ai palestinesi. L'auspicio è che la Storia non si ripeta, questa volta con le popolazioni europee a recitare la tragica parte dei palestinesi.
È sullo sfondo di questo possibile futuro, che si svolgerà il secondo turno delle elezioni presidenziali francesi.
"Chiunque, ma non quella là" è il motto di molti immigrati, di prima o seconda generazione, che voteranno Macron contro Marine Le Pen. Forse perché qualcuno ha raccontato loro che un voto per Marine è un voto contro la loro presenza in Francia.
E se invece fosse proprio chi si presenta come mite e pacifico, il possibile foriero di guerre, anche intestine, tra gli attuali abitatori del paese transalpino, autoctoni o stranieri, cristiani o musulmani? Quanto conoscono i francesi del 'mite' Macron, scoperto da Hollande e non eletto in precedenza a nessuna carica elettiva? Un Macron che si è già detto disposto, ad esempio, ad un intervento bellico in Siria?
Queste alcune domande che i media, unendo i puntini delle informazioni che sono a disposizione di molti, anche attraverso il web, potrebbero aiutare i lettori a porsi.
Per il momento, la visione di "Made in France" può offrire, oltre ad un quadro realistico… anche qualche speranza. Perché, forse, solo affrontando i problemi, e non nascondendo la testa sotto la sabbia, si può realmente evitare di espandere giorno dopo giorno la guerra che sta sempre più diventando costitutiva delle nostre vite, ed aspirare ad un futuro di Pace.