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I SEMI DELLA DISTRUZIONE

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Con i finanziamenti della famiglia Rockefeller, la Rivoluzione Verde ha gettato le basi per la Rivoluzione Genetica, consentendo a una manciata di colossi agroalimentari anglo-statunitensi di acquisire il controllo delle scorte alimentari a livello mondiale.

Una disamina di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation di F. William Engdahl


Alimenti geneticamente manipolati: un esperimento condotto sulle masse

Nel 2003 è stato pubblicato Seeds of Destruction di Jeffrey Smith. Tale testo denuncia i pericoli derivanti dagli alimenti geneticamente manipolati o modificati (GE/GM) che la maggior parte della popolazione statunitense consuma quotidianamente, ignara dei potenziali rischi per la salute. Le iniziative volte a informare il pubblico sono state invalidate, mentre le conoscenze scientifiche degne di attendibilità sono state occultate.
Prendete in considerazione quanto è accaduto ad Arpád Pusztai, principale esperto mondiale di modificazione genetica di piante e lectine, di stanza a Londra. Pusztai è stato diffamato e licenziato dal suo incarico di ricercatore presso lo Scotland’s Rowett Research Institute per aver pubblicato dati, non congeniali all’industria, che gli erano stati commissionati in merito alla sicurezza degli alimenti GM. Il suo studio della Rowett Research era il primo studio indipendente mai condotto su tale soggetto; i risultati sono stati sconcertanti e presentano implicazioni per gli esseri umani che consumano alimenti geneticamente manipolati/modificati.
Pusztai ha riscontrato che ratti alimentati con patate GM presentavano fegato, cuore, testicoli e cervello di minori dimensioni, nonché un sistema immunitario compromesso; manifestavano modifiche strutturali dei globuli bianchi, il che, rispetto ad altri ratti alimentati con cibo non GM, li rendeva maggiormente vulnerabili a infezioni e malattie. La situazione peggiorò ulteriormente. Si presentarono danni al timo e alla milza, nonché tessuti ingrossati, compresi pancreas e intestino. Vi sono stati casi di atrofia del fegato, nonché una rilevante proliferazione delle cellule dello stomaco e dell’intestino, potenziale indice di maggiore rischio futuro di cancro. Analogamente allarmante il fatto che tutto questo è accaduto dopo soli 10 giorni di test e che le modifiche persistevano dopo 110 giorni – l’equivalente umano di 10 anni.

Attualmente gli alimenti GM ‘impregnano’ il nostro regime alimentare, in particolar modo negli USA, e sono contenuti in oltre l’80 cento di tutti gli alimenti trattati in vendita nei supermercati.
Fra i vari alimenti GM si annoverano cereali quali riso, mais e frumento; legumi quali fagioli di soia (nonché una serie di prodotti da essa derivati); oli vegetali; bevande analcoliche; salse per insalate; ortaggi e frutta; prodotti caseari e uova; carni e altri prodotti animali; persino omogeneizzati per bimbi. Inoltre, in alcuni alimenti lavorati (quali salsa di pomodoro, gelati e burro di arachidi) vi è un’ampia gamma di additivi e ingredienti occulti, non segnalati ai consumatori poiché tale etichettatura è vietata – nondimeno quanti più alimenti di questo tipo consumiamo, tanto maggiori sono i rischi per la nostra salute.
Al giorno d’oggi siamo tutti ratti da laboratorio coinvolti in un esperimento su larga scala condotto su esseri umani, privo di controlli e di regolamentazione, i cui risultati sono tuttora ignoti. I rischi derivanti sono smisurati e per scoprirli occorreranno molti anni. Una volta introdotte sementi GM in un ambiente, il genio della lampada è libero per sempre.
Comunque, nonostante gli enormi rischi, Washington e un numero sempre crescente di governi in alcune zone di Regno Unito, Europa, Asia, America Latina e Africa attualmente permettono che questi prodotti vengano coltivati sul proprio territorio o importati; vengono prodotti e venduti ai consumatori poiché colossi agroalimentari quali Monsanto, DuPont, Dow AgriSciences e Cargill hanno un’enorme influenza in tal senso e dispongono di un potente partner che li appoggia – il governo statunitense e le sue agenzie, fra cui il Dipartimento di Stato e il Dipartimento dell’Agricoltura, la Food and Drug Administration (FDA-Ente statunitense preposto al controllo alimentare e farmacologico, ndt), l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) e persino il settore della difesa. Anche gli aspetti commerciali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) relativi ai regolamenti sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS) vanno a sostegno dei suddetti colossi, nonché regolamenti del WTO favorevoli all’industria del settore, come quello del 7 febbraio 2006.

Il WTO ha appoggiato una contestazione degli USA contro le politiche europee di regolamentazione inerenti agli OGM (organismi geneticamente modificati), nonostante la forte contrarietà dei consumatori europei ai suddetti alimenti e ingredienti; ha inoltre violato il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza, che dovrebbe consentire alle varie nazioni di regolamentare tali prodotti nel pubblico interesse – ma questo non avviene in quanto i regolamenti del WTO lo hanno sabotato.
Comunque sia, l’attivismo anti-OGM è vivo e vegeto, i consumatori hanno ancora voce in capitolo e nel mondo, Stati Uniti compresi, esistono centinaia di aree libere da OGM. Tutto questo, e molto altro, è necessario per tener testa ai colossi agroalimentari che sinora sono andati per la propria strada.

Washington lancia la Rivoluzione Genetica

Engdahl spiega che la scienza della “modificazione biologica e genetica delle piante e di altre forme di vita” fece capolino per la prima volta negli anni settanta del secolo scorso. L’amministrazione Reagan era determinata a rendere gli Stati Uniti la forza dominante in questo settore emergente, laddove venne favorita in modo particolare l’industria agroalimentare biotech. Agli inizi degli anni ottanta le aziende si affrettarono a elaborare piante e bestiame OGM, nonché farmaci per animali a base di OGM. Washington rese loro le cose facili instaurando un ‘clima’ non regolamentato e favorevole al business, che da allora è rimasto tale tanto sotto le amministrazioni repubblicane quanto sotto quelle democratiche.
A capitanare l’iniziativa di elaborare OGM è una società caratterizzata da una “lunga storia di frodi, cover-up, corruzione”, falsità e disprezzo per il pubblico interesse: la Monsanto. Il suo primo prodotto fu la saccarina, in seguito dimostratasi sostanza cancerogena. Poi la società si dedicò alle sostanze chimiche e plastiche, quindi divenne  tristemente nota per l’Agente Arancio utilizzato come defoliante per le giungle vietnamite negli anni sessanta e settanta e che espose centinaia di migliaia di civili e militari alla letale diossina, una delle sostanze più tossiche fra tutti i composti noti.
Assieme ad altri suoi analoghi, la Monsanto è accusata di essere un impudente inquinatore; è nota per aver segretamente scaricato in acqua e nel suolo alcune fra le più letali sostanze conosciute e averla fatta franca. Ad ogni modo, attualmente la società ignora tali addebiti e si definisce

“una società agraria [che applica] innovazione e tecnologia per aiutare gli agricoltori di tutto il mondo a essere produttivi, a produrre alimenti più salutari, migliore foraggio per gli animali e più fibra, riducendo al contempo l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente”.

Nella sua esauriente ricerca Engdahl dimostra il contrario.
Nonostante il proprio passato, negli anni ottanta – e in particolare dopo che George H. W. Bush divenne presidente nel 1989 – la Monsanto e altri colossi degli OGM ebbero mano libera; l’amministrazione Bush aprì il “vaso di Pandora”, in modo tale che nessun “regolamento superfluo li ostacolasse”. Da allora in avanti,

“non una sola nuova legge di regolamentazione che disciplinasse la biotech o gli OGM venne varata, né allora né in seguito, [nonostante] rischi ignoti e possibili pericoli per la salute”.

In un mercato totalmente libero da impedimenti, ora le volpi fanno la guardia al pollaio, dato che il sistema è stato messo nelle condizioni di autoregolamentarsi. Ad assicurarlo è stato un antecedente decreto legislativo di Bush, il quale stabiliva che piante e alimenti OGM sono “sostanzialmente equivalenti” a quelli ordinari della stessa varietà, come nel caso di mais, frumento o riso. Il decreto in questione sanciva il principio di “sostanziale equivalenza” come il “fulcro dell’intera rivoluzione degli OGM”. Si trattava di gergo pseudoscientifico, ma ormai era legge; Engdahl la paragona a un “ceppo di Andromeda” potenzialmente catastrofico sotto il profilo biologico – ma non più relegato al regno della fantascienza.

Come primo prodotto OGM la Monsanto scelse il latte, geneticamente manipolato con l’ormone ricombinante della crescita bovina (rBGH), e lo commercializzò con il nome di Posilac. Nel 1993, nell’era Clinton, la FDA lo dichiarò sicuro e ne approvò la vendita prima che fosse disponibile qualsivoglia informazione a tutela del consumatore. Attualmente è in vendita su tutto il territorio statunitense e propugnato come metodo tramite cui il bestiame è in grado di produrre sino al 30 per cento di latte in più. I problemi, comunque, non tardarono a presentarsi. Gli allevatori riferirono che i loro animali si logoravano sino a due anni prima del normale, talora manifestavano gravi infezioni e che alcuni non riuscivano più a camminare; fra gli altri problemi si annoveravano mastite della mammella, nonché vitelli deformi alla nascita.
Tali informazioni vennero eliminate e il latte rBGH è privo di etichetta, quindi i consumatori non hanno alcun modo di venirne a conoscenza; né sono stati informati che tale ormone provoca leucemia e tumori nei ratti, e che un comitato della Commissione Europea ha concluso che gli umani che consumano latte rBGH sono a rischio di cancro del seno e della prostata. Di conseguenza l’Unione Europea ha decretato un bando del prodotto, ma gli Stati Uniti non hanno seguito la stessa procedura. Nonostante evidenti questioni relative alla sicurezza, la FDA non ha preso alcun provvedimento e consente che pericoloso latte venga venduto senza controllo. Non era che l’inizio.

Manipolazione dei dati

Egdahl ripercorre la vicenda di Pusztai, il tributo che ha dovuto pagare alla sua salute, nonché il modesto riconoscimento che ha infine ricevuto. Nel 1999 Pusztai era già disoccupato, allorquando la trecentenaria British Royal Society lo attaccò, sostenendo che la sua ricerca era

“viziata sotto molti punti di vista per progettazione, esecuzione e analisi, e che da essa non si potevano trarre conclusioni”.

Tali critiche in realtà erano prive di fondamento, e l’attacco venne sferrato poiché la ‘bomba’ di Pusztai minacciava di far deragliare il treno dell’assai lucrosa industria OGM britannica, e di fare altrettanto con la sua controparte statunitense.
Quanto a Pusztai, dopo cinque anni, vari attacchi cardiaci e una carriera rovinata, infine apprese quello che era successo in seguito all’annuncio delle sue scoperte. La responsabile era la Monsanto, la quale aveva protestato presso il presidente Bill Clinton il quale, a sua volta, aveva messo in allerta il primo ministro Tony Blair. Le scoperte di Pusztai dovevano essere invalidate e per esse egli doveva essere screditato. Nondimeno egli riuscì a replicare, avvalendosi del contributo della rinomata rivista scientifica britannica The Lancet. Nonostante le minacce mosse dalla Royal Society all’indirizzo di Pusztai, il direttore della rivista pubblicò l’articolo di quest’ultimo, ma dovette pagarne lo scotto; dopo la pubblicazione, la società e l’industria biotech attaccarono The Lancet per la sua iniziativa, un ulteriore atto impudente.
Come nota a margine, attualmente Pusztai va in giro per il mondo tenendo conferenze riguardanti la sua ricerca sugli OGM, ed è consulente di gruppi in fase di avvio che si occupano di ricerche inerenti agli effetti che questi alimenti hanno sulla salute. Assieme a lui e alla moglie, anche il suo co-autore professor Stanley Ewen ebbe a soffrire della situazione; costui perse il posto presso la University of Aberdeen, ed Engdahl nota che la prassi di sopprimere verità indesiderate e di punire gli ‘informatori’ costituisce non l’eccezione, bensì la regola. Le pretese dell’industria del settore sono poderose, in particolar modo quando concernono l’utile netto.

Il governo Blair si spinse persino oltre. Infatti commissionò alla società privata Grainseed la conduzione di uno studio triennale per dimostrare la sicurezza degli alimenti OGM. Successivamente il quotidiano londinese Observer entrò in possesso di alcuni documenti del Ministero dell’Agricoltura britannico, indicanti che i test erano manomessi e determinavano “alcuni strani dati scientifici”. Almeno un ricercatore della Grainseed manipolò i dati allo scopo di “far sì che determinate sementi dei test sembrassero rendere meglio di quanto in realtà non accadesse”.
Ciononostante il ministero raccomandò che una varietà di mais OGM venisse certificata e il governo Blair emanò un nuovo codice di condotta in base al quale

“qualsiasi dipendente di un istituto di ricerca finanziato dallo Stato il quale si arrischiasse a pronunciarsi pubblicamente sulle scoperte inerenti alle piante OGM potrebbe trovarsi ad affrontare l’esonero, un’ingiunzione del tribunale oppure essere citato in giudizio per inadempimento di contratto”.

In altri termini, a quel punto pronunciarsi a livello pubblico era illegale, anche se la salute pubblica era a repentaglio. Non avrebbero permesso a nessun ostacolo di frapporsi lungo il cammino della malefica macchina del settore agroalimentare.

 

Il piano Rockefeller per l’agribusiness

All’epoca della Guerra Fredda il fattore alimentare divenne un’arma strategica, camuffata da “Food for Peace”. Si trattava di una copertura adottata dalle grandi aziende agricole statunitensi allo scopo di organizzare la trasformazione dell’agricoltura a conduzione familiare in agribusiness globale, con i prodotti alimentari come strumento e i coltivatori diretti eliminati in modo che i loro terreni potessero essere sfruttati in modo più produttivo. Il dominio dell’agricoltura a livello mondiale doveva essere

“uno dei pilastri centrali della politica postbellica di Washington, unitamente al [controllo de] i mercati petroliferi mondiali e le vendite per la difesa del mondo non comunista”.

L’evento determinante del 1973 fu una crisi alimentare mondiale.
La penuria di cereali, assieme al primo dei due shock petroliferi degli anni settanta, favorì una “rilevante svolta per la nuova politica di Washington”. In un periodo nel quale gli Stati Uniti erano i principali produttori mondiali di eccedenze alimentari, dotati del massimo potere di controllo su prezzi e forniture, i prezzi di petrolio e cereali aumentarono da tre a quattro volte; il momento ideale per una nuova alleanza fra governo e aziende cerealicole statunitensi. Tale situazione “gettò le basi per la successiva rivoluzione genetica”.

Annotate quella che Engdahl definisce “la grande rapina al treno”, con Henry Kissinger come responsabile. Costui decise che la politica agricola statunitense era “troppo importante per essere lasciata alla gestione del ministero dell’Agricoltura”, quindi ne assunse il controllo in prima persona. Ormai i lettori si saranno resi conto del tipo di futuro che Kissinger aveva in mente nel 1970, allorquando dichiarò:

“Assumete il controllo del petrolio e avrete il controllo delle nazioni; assumete il controllo delle derrate alimentari e avrete il controllo delle popolazioni”.

Il mondo aveva disperato bisogno di cereali, gli Stati Uniti disponevano delle più consistenti scorte, quindi il piano era quello di utilizzare questo potere per “modificare radicalmente il commercio e i mercati alimentari a livello mondiale”. I grandi trionfatori erano esponenti del commercio cerealicolo quali Cargill, Archer Daniels Midland (ADM) e Continental Grain, coadiuvati dalla “nuova diplomazia alimentare [volta a creare] un mercato agricolo globale per la prima volta”, propugnata da Kissinger. La produzione alimentare avrebbe “ricompensato gli amici e punito i nemici”, laddove i legami fra Washington e il business erano al centro di tale strategia.
Il mercato alimentare globale era sottoposto a una fase di riorganizzazione, gli interessi corporativi venivano favoriti, si sfruttava il vantaggio politico e si gettavano le basi per la “rivoluzione genetica” degli anni novanta. Nel dispiegarsi degli eventi dei due decenni successivi, gli interessi dei Rockefeller, fra cui la Rockefeller Foundation, avrebbero giocato un ruolo decisivo. La riorganizzazione ebbe inizio nel corso della presidenza di Richard Nixon, come pietra angolare della politica agraria di quest’ultimo; il mantra era il libero commercio, i beneficiari erano i commercianti di cereali, e i coltivatori diretti furono costretti a farsi da parte affinché i colossi dell’agribusiness potessero subentrare.
 

Mandare in rovina i coltivatori diretti rappresentava il piano per eliminare un “eccesso [di] risorse umane”. Engdahl definisce la questione come una “forma sottilmente dissimulata di imperialismo alimentare”, parte di un piano finalizzato a far diventare gli Stati Uniti “il granaio mondiale”. L’azienda agricola a conduzione familiare sarebbe diventata “allevamento industriale” e l’agricoltura si sarebbe trasformata in “agribusiness”, dominato da una manciata di colossi corporativi provvisti di strettissimi legami con Washington.
Anche la svalutazione del dollaro faceva parte del New Economic Plan (NEP) di Nixon, che nel 1971 comportò la ‘chiusura della finestra dell’oro’ (ovvero la convertibilità del dollaro in oro, ndt) per consentire alla valuta di fluttuare liberamente. Vennero presi di mira i paesi in via di sviluppo, nell’ottica che si dimenticassero di essere autosufficienti sul piano dei cereali e dei prodotti carnei, si affidassero agli USA per i prodotti fondamentali e, per le esportazioni, si concentrassero piuttosto su frutti di piccole dimensioni, zucchero e ortaggi. La valuta estera guadagnata avrebbe allora consentito di acquistare le importazioni dagli USA e ripagare i prestiti concessi dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale, che creano un interminabile ciclo di schiavitù del debito. Si utilizzò anche l’Accordo Generale sulle Tariffe doganali e il Commercio (GATT), come accadde in seguito con il WTO, con regolamenti stilati dalle corporazioni affinché fossero confacenti ai loro interessi finanziari.

Drastica riduzione della popolazione

Nel mezzo di una siccità mondiale e di un crollo del mercato azionario, prendete in considerazione il memorandum classificato di Kissinger del 1974; il National Security Study Memorandum 200 (NSSM 200) venne formulato in base agli interessi dei Rockefeller e mirava ad adottare un “piano di azione per la popolazione mondiale” volto al drastico controllo della popolazione globale, vale a dire una sua riduzione. A condurre l’iniziativa furono gli USA, che stabilirono il controllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo come prerequisito per beneficiare degli aiuti statunitensi. Engdahl riassume la questione in termini recisi: “se queste razze inferiori interferiranno nel processo di procurarci abbondanti materie prime a basso costo, allora dovremo trovare il modo di sbarazzarci di loro”. Anche i nazisti puntavano a grandi risultati e ambivano al controllo; la selezione della popolazione, o “eugenetica”, faceva parte del loro progetto di prendere di mira razze “inferiori” allo scopo di salvaguardare la razza “superiore”.
Il piano di Kissinger relativo a “metodi contraccettivi più semplici tramite ricerca biomedica” suona quasi come il vecchio slogan della DuPont, “tramite la chimica, cose migliori per una vita migliore”; in seguito, man mano che si accumulavano i riscontri sugli effetti tossici delle sostanze chimiche, la DuPont abbandonò la locuzione “tramite la chimica” e, nel 1999, la società in fase di cambiamento iniziò a utilizzare lo slogan pubblicitario “I miracoli della scienza”.
L’NSSM 200 era legato all’agenda dell’agribusiness, che ebbe inizio con la “Rivoluzione Verde” degli anni cinquanta e sessanta volta a controllare la produzione alimentare di determinati paesi africani, asiatici e latinoamericani. Il piano di Kissinger aveva un duplice scopo: garantire agli USA nuovi mercati cerealicoli nonché tenere sotto controllo la popolazione, inclusa la selezione di 13 “sventurati” paesi, fra cui India, Brasile, Nigeria, Messico e Indonesia; lo sfruttamento delle loro risorse dipendeva dall’avvio di drastiche riduzioni della popolazione, onde ridurre la domanda interna.
Il piano era ripugnante, in puro stile Kissinger; raccomandava il controllo forzato della popolazione, nonché altre misure volte ad assicurare agli USA obiettivi strategici. Kissinger voleva che entro l’anno 2000 il numero complessivo si riducesse di 500 milioni e auspicava, da allora in avanti, il raddoppio del tasso annuale di decessi, da 10 a 20 milioni. Egdahl lo definisce “genocidio”, in base alla rigorosa definizione dello statuto della Convenzione ONU sulla Prevenzione e la Punizione del Reato di Genocidio, anno 1948, che delinea tale crimine sotto il profilo legale. Nel contesto di tale quadro Kissinger è colpevole di aver voluto negare assistenza alimentare a “persone che non sono o saranno in grado di tenere sotto controllo la crescita della rispettiva popolazione” – in altri termini, se non ci penseranno loro, ci penseremo noi al posto loro. La strategia comprendeva il controllo della fertilità, denominato “pianificazione familiare”, che era connessa alla disponibilità di risorse fondamentali. Alcuni membri della famiglia Rockefeller appoggiarono il piano; Kissinger era il loro “prestatore d’opera” e venne adeguatamente ricompensato per i suoi servizi, tant’è che, ad esempio, gli venne evitato di essere perseguito all’estero, dove era ricercato come criminale di guerra e poteva essere arrestato.
A parte i suoi noti crimini, tenete presente quanto Kissinger fece alle donne brasiliane povere tramite una politica di sterilizzazione di massa nel contesto dell’NSSM 200. Dopo 14 anni di tale programma, il ministero della Sanità brasiliano scoprì sconvolgenti rapporti su una quantità – stimata nell’ordine del 44 per cento – di tutte le donne brasiliane di età compresa fra i 14 e i 55 anni, le quali venivano sterilizzate in modo permanente; erano implicate organizzazioni quali la International Planned Parenthood Federation e la Family Health International, mentre la direzione del programma era di competenza dell’USAID, la quale vanta una lunga e inquietante storia di appoggio all’imperialismo di marca statunitense, e nondimeno sul proprio sito sostiene di tendere

“una caritatevole mano alle popolazioni d’oltreoceano che lottano per una vita migliore, per riprendersi da un disastro o si battono per vivere in un paese libero e democratico”.

Ancor più inquietante è la stima secondo cui fu sterilizzato il 90 per cento delle donne brasiliane di origine africana, in una nazione in cui la popolazione nera è seconda solo a quella della Nigeria. Potenti personaggi appoggiarono il progetto, tuttavia i più influenti furono i Rockefeller; di questi John D. III ebbe il maggiore ascendente sulla politica demografica. Nel 1969 Nixon lo nominò a capo della Commissione per la Crescita Demografica e il Futuro Americano; il precedente lavoro della commissione gettò le basi per l’NSSM 200 di Kissinger e per la sua politica di sterminio tramite il sotterfugio.

La Confraternita della morte

Molto prima che Kissinger (e il suo assistente Brent Scowcroft) rendessero la riduzione della popolazione la politica estera ufficiale degli USA, i Rockefeller eseguivano esperimenti su esseri umani, un’iniziativa capitanata da JD III. Negli anni cinquanta, mentre Nelson sfruttava manodopera portoricana a basso costo a New York e sull’isola, il fratello JD III conduceva esperimenti di sterilizzazione di massa sulle donne portoricane. Alla metà degli anni sessanta il ministero della Sanità Pubblica di Portorico eseguì una stima del tributo pagato: un terzo o più delle povere ignare donne in età fertile era stata sterilizzata in modo permanente.

JD III espresse i suoi intenti in occasione di una conferenza tenuta nel 1961 presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO-ONU):

“A mio avviso, in quanto attuale problema preminente la crescita [e la riduzione] demografica è seconda soltanto al controllo degli armamenti atomici.”

Naturalmente quel che intendeva era ridurre le fasce indesiderate della popolazione, onde preservare risorse pregiate a vantaggio dei privilegiati; inoltre, egli era influenzato dagli eugenisti, dai teorici della razza e dai sostenitori del malthusianesimo in forza alla Rockefeller Foundation, i quali erano convinti di avere il diritto di decidere chi doveva vivere e chi doveva morire.

Dietro le quinte dell’iniziativa stavano personaggi influenti e alcune fra le principali famiglie imprenditoriali statunitensi; altrettanto dicasi per alcuni notabili del Regno Unito, di quell’epoca e precedenti, quali Winston Churchill e John Maynard Keynes.

Alan Gregg, per 34 anni a capo della Rockefeller Foundation Medical Division, affermò che la “gente inquina, quindi eliminiamo l’inquinamento eliminando le persone [indesiderate]”; paragonò i bassifondi delle città a tumori cancerosi e li definì “oltraggiosi per la decenza e la bellezza”. Meglio eliminarli e dare una ripulita al paesaggio.
Questa era la politica della Rockefeller Foundation, “cruciale per comprendere [le sue seguenti iniziative] nella rivoluzione della biotecnologia e nella genetica delle piante”. Sin dagli esordi la missione della fondazione fu quella di “[eliminare] il volgo, oppure [ridurre] sistematicamente le popolazioni di ‘razze inferiori’”. Per coloro che credono nella supremazia della razza il problema è che troppi elementi inferiori significano guai, allorquando chiedono di più di quello che i privilegiati vogliono per sé stessi. La soluzione: eliminarli impiegando qualsiasi mezzo, dal controllo delle nascite e la sterilizzazione sino alla morte per fame e alle guerre di sterminio.

JD III era in perfetta sintonia con tale intendimento; venne allevato nell’ottica della pseudoscienza malthusiana, della quale abbracciò il dogma. Nel 1931 entrò a far parte della fondazione di famiglia, in cui venne influenzato da eugenisti quali Raymond Fosdick e Frederick Osborn, entrambi membri fondatori della American Eugenics Society. Nel 1952 fece ricorso ai propri mezzi finanziari per fondare il Population Council, con sede a New York, presso il quale promosse studi di esplicito stampo razzista sui pericoli derivanti dalla sovrappopolazione. Nei 25 anni successivi tale istituto destinò 173 milioni di dollari alla questione della riduzione della popolazione globale e divenne la più influente organizzazione promotrice delle idee di supremazia della razza. Ad ogni modo, evitò di utilizzare il termine “eugenetica” in virtù della sua associazione all’ideologia nazista, preferendo invece impiegare locuzioni quali “controllo delle nascite”, “pianificazione familiare” e “libera scelta”; si trattava della stessa minestra.

Prima della Seconda Guerra Mondiale, il socio e membro del direttivo della fondazione Frederick Osborn appoggiò con entusiasmo gli esperimenti nazisti di eugenetica che condussero agli stermini di massa, in seguito denigrati. All’epoca egli credeva che l’eugenetica fosse la “più importante sperimentazione mai tentata” e, successivamente, scrisse un libro dal titolo The Future of Human Heredity (1968), che nel sottotitolo riportava il termine “eugenetica”; dichiarava che le donne potevano essere persuase a ridurre volontariamente la propria prole e iniziò a sostituire con il termine “genetica” l’ormai inviso “eugenetica”.

Durante la Guerra Fredda la selezione della popolazione attirò sostenitori, fra cui il fior fiore dell’America corporativa; costoro appoggiarono iniziative private di riduzione della popolazione, come la International Planned Parenthood Federation (IPPF) di Margaret Sanger. Anche i principali media diffusero la nozione che la “sovrappopolazione nei paesi in via di sviluppo provoca fame e ulteriore povertà [che a loro volta diventano] terreno fertile” per il comunismo internazionale. In seguito l’agribusiness statunitense sarebbe stato coinvolto tramite una politica di controllo globale delle derrate alimentari. Il cibo è potere. Quando viene impiegato per selezionare la popolazione, si tratta di un’arma di distruzione di massa.
Prendete in considerazione l’attuale frangente, in cui la FAO riporta prezzi degli alimenti marcatamente più elevati, unitamente a gravi scarsità e al monito che la situazione è drastica e inedita, e minaccia milioni di persone di fame e di inedia. Dopo un incremento del nove per cento nel 2006, nel 2007 i prezzi sono aumentati sino al 40 per cento, il che ha costretto i paesi in via di sviluppo a pagare il 25 per cento in più per gli alimenti di importazione, senza riuscire ad approvvigionarsi a sufficienza.
Riguardo a tale problema la FAO cita varie spiegazioni, fra cui la crescente domanda, i più elevati costi di trasporto e di carburante, la speculazione finanziaria, l’impiego di mais per la produzione di etanolo (il che concerne un terzo delle coltivazioni, ovvero più di quanto viene esportato a scopi alimentari) e le condizioni climatiche estreme, ignorando le implicazioni di cui sopra: il potere dell’agribusiness nel manipolare gli approvvigionamenti per ottenere maggiori profitti e “selezionare la plebaglia” nei paesi del Terzo Mondo presi di mira. Le nazioni colpite sono povere e la FAO ne elenca venti in Africa, nove in Asia, sei in America Latina e due in Europa Orientale, il che complessivamente rappresenta 850 milioni di persone in pericolo, che ora soffrono di fame cronica e della povertà connessa. Costoro dipendono dalle importazioni e per il loro regime alimentare fanno forte affidamento sui tipi di prodotti controllati dall’agribusiness – frumento, mais, riso e soia. Se gli attuali prezzi rimarranno elevati e la penuria persisterà, moriranno milioni di persone – forse secondo un piano deliberato.

Il sotterfugio di “Food for Peace”

Verso la fine degli anni trenta le élite statunitensi iniziarono a progettare un secolo americano nel mondo postbellico – una Pax Americana che subentrasse all’evanescente impero britannico. A condurre l’iniziativa fu il gruppo del Council on Foreign Relations War and Peace Studies, con sede a New York e finanziato con denaro della Rockefeller Foundation. Come dice Engdahl, in seguito sarebbero stati ripagati nell’ordine delle “migliaia di volte”. Prima, comunque, gli Stati Uniti dovevano conseguire il dominio del pianeta, tanto sotto il profilo militare quanto sotto quello economico.
L’establishment affaristico degli USA prefigurava una “Grand Area” che comprendesse la maggior parte dei paesi esterni al blocco sovietico; per sfruttare tale situazione, occultarono le proprie mire imperialiste dietro una “veste benevola e liberale”, definendo sé stessi in quanto “disinteressati fautori della libertà dei paesi coloniali [nonché] nemici dell’imperialismo”. Avrebbero inoltre “sostenuto la pace mondiale attraverso il controllo delle multinazionali”. Vi suona familiare?
Come ai nostri giorni, si trattava soltanto di un sotterfugio che celava le loro vere finalità, perseguite sotto il vessillo delle Nazioni Unite, del nuovo contesto [degli accordi] di Bretton Woods, dell’FMI, della Banca Mondiale e del GATT, istituzioni che vennero costituite con un unico scopo: integrare i paesi in via di sviluppo nel Nord Globale a dominio statunitense, in modo che le loro ricchezze potessero essere trasferite a favore dei potenti interessi economici e affaristici, per la maggior parte negli USA. A capo dell’iniziativa vi fu la famiglia Rockefeller; vi erano coinvolti i quattro fratelli, laddove Nelson e David furono coloro che la avviarono in prima persona.
Negli anni cinquanta e sessanta, mentre JD III architettava piani volti alla riduzione della popolazione e per la purezza della razza, Nelson operava “dall’altra parte della barricata…in veste di progressista uomo d’affari di calibro internazionale”. Propugnando maggiore efficienza e produttività nei paesi presi di mira, in realtà egli pianificava di aprire i mercati mondiali a importazioni cerealicole dagli USA prive di restrizioni, il che si trasformò nella “Rivoluzione Verde”. Nelson concentrò la propria attenzione sull’America Latina. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale egli coordinò l’intelligence e le operazioni coperte statunitensi sul territorio nazionale; tali attività posero le basi degli interessi postbellici della famiglia, i quali erano connessi al settore militare dell’area dato che benevoli uomini risoluti rappresentano il genere di leader preferito onde garantire un clima favorevole agli affari.

A partire dagli anni trenta Nelson Rockefeller cominciò ad avere rilevanti interessi commerciali in America Latina, in particolare nei settori bancario e petrolifero. Agli inizi del decennio successivo andò alla ricerca di nuove opportunità e, assieme al fratello Laurance, acquistò a buon mercato vasti appezzamenti di terreni agricoli di elevata qualità – che tuttavia non erano destinati ad aziende agricole di piccole dimensioni: i Rockefeller volevano monopoli globali, proponendosi di fare in agricoltura quello che il patriarca della famiglia aveva fatto nel settore petrolifero, utilizzando al contempo i prodotti alimentari e le tecnologie agricole come armi nel quadro della Guerra Fredda.
Nel 1954 l’Agricultural Trade Development and Assistance Act, altrimenti noto con la sigla PL 480 o come “Food for Peace”, assegnò al surplus alimentare il ruolo di strumento della politica estera statunitense. Nelson fece ricorso alla sua considerevole influenza presso il Dipartimento di Stato, dal momento che dal 1952 sino al 1979 tutti i segretari di Stato dell’era postbellica avevano legami con la famiglia tramite la fondazione di quest’ultima: nello specifico, John Foster Dulles, Dean Rusk, Henry Kissinger e Cyrus Vance. Questi individui appoggiavano le opinioni dei Rockefeller sull’iniziativa privata ed erano coscienti del fatto che la famiglia poneva l’agricoltura sullo stesso piano del petrolio – ovvero come merci da “commerciare, controllare [e] rendere scarse o abbondanti” a seconda delle finalità di politica estera delle corporazioni dominanti che ne controllavano la commercializzazione.
La famiglia entrò nel settore agricolo nel 1947, allorquando Nelson fondò la International Basic Economy Corporation (IBEC), attraverso la quale egli introdusse

“l’agribusiness in grande scala in paesi in cui, negli anni cinquanta e sessanta, i dollari statunitensi riuscirono ad acquisire un’enorme influenza”.

All’epoca Nelson si alleò con il colosso del commercio cerealicolo Cargill in Brasile, dove costoro iniziarono a sviluppare varietà di sementi di mais ibride, destinate a grandi progetti; avrebbero reso quel paese “il terzo produttore mondiale di [tali] coltivazioni dopo USA e Cina”. Questo rientrava nella “Rivoluzione Verde” dei Rockefeller che, alla fine degli anni cinquanta, “unitamente ai settori petrolifero e militare, stava rapidamente assumendo per gli Stati Uniti un’importanza economica strategica”.

L’America Latina rappresentava l’inizio di una rivoluzione della produzione alimentare che aveva grandi mire: controllare i “bisogni fondamentali della maggioranza della popolazione mondiale”. Assieme all’agribusiness degli anni novanta, era “il partner perfetto per l’introduzione…di coltivazioni geneticamente manipolate o piante OGM”. Questo connubio era mascherato da “efficienza del libero mercato, modernizzazione [e] metodo per sfamare un mondo denutrito”. In realtà non si trattava di niente del genere; nascondeva ingegnosamente “il più ardito colpo maestro mai sferrato a scapito del destino di intere nazioni”.

L’agribusiness assume una connotazione globale

La “Rivoluzione Verde ebbe inizio in Messico e negli anni cinquanta e sessanta si diffuse in America Latina”. Quindi venne introdotta in Asia, in particolar modo in India, in un’epoca in cui gli Statunitensi sostenevano che il loro scopo era quello di aiutare il mondo tramite l’efficienza del libero mercato. Si trattava di un percorso a senso unico, da loro a noi, affinché gli investitori corporativi fossero in grado di trarne profitto; assegnò ai colossi statunitensi della chimica e ai principali esponenti del commercio cerealicolo nuovi mercati per i loro prodotti. L’agribusiness stava diventando globale e gli interessi dei Rockefeller erano all’avanguardia nel fornire il proprio contributo affinché la globalizzazione dell’industria prendesse forma.
Nelson lavorava con il fratello JD III, il quale nel 1953 costituì il proprio Agricultural Development Council. I due condividevano uno scopo comune:

“la cartellizzazione dell’agricoltura mondiale e delle derrate alimentari sotto la loro egemonia corporativa”;

essenzialmente si proponeva di introdurre tecniche agricole moderne destinate ad aumentare la resa dei raccolti con la falsa rivendicazione di volere ridurre la fame nel mondo. La medesima lusinga venne in seguito utilizzata per propugnare la “rivoluzione genetica”, appoggiata dagli interessi commerciali dei Rockefeller e dai medesimi colossi dell’agribusiness.

Negli anni sessanta anche il presidente Lyndon Johnson utilizzò i prodotti alimentari come arma. Egli voleva che le nazioni destinatarie acconsentissero al fatto che l’amministrazione e i requisiti indispensabili imposti dai Rockefeller, ovvero il controllo della popolazione e l’apertura dei loro mercati all’industria statunitense, facessero parte dell’accordo; inoltre, per gli scienziati agricoli e gli agronomi dei paesi in via di sviluppo era prevista la formazione relativa alle più recenti concezioni della produzione, in modo che costoro fossero in grado di applicarle nei rispettivi paesi. Tale aspetto “costituì diligentemente una rete in seguito dimostratasi cruciale” per la strategia dei Rockefeller di “diffondere nel mondo l’impiego di coltivazioni geneticamente manipolate”, coadiuvata da finanziamenti dell’USAID e dalle ‘birichinate’ della CIA.

Le tattiche della “Rivoluzione Verde” sono state ‘dolorose’ e hanno richiesto un devastante ‘balzello’ agli agricoltori locali, distruggendo i loro mezzi di sussistenza e costringendoli a trasferirsi a vivere in catapecchie nelle baraccopoli; questi individui, cercando disperatamente di sopravvivere ed essendo facilmente preda di qualsiasi metodo per farlo, hanno fornito sfruttabile manodopera a basso costo.
La “Rivoluzione” ha inoltre arrecato danno ai terreni. Con l’andare del tempo le monoculture soppiantano la diversità, distruggono la fertilità del suolo e riducono la produttività dei raccolti. In ultima analisi l’impiego indiscriminato di pesticidi chimici può determinare gravi problemi per la salute. Engdahl cita un analista il quale ha definito la “Rivoluzione Verde” una “rivoluzione chimica” che i paesi in via di sviluppo non si possono permettere; tale rivoluzione ha avviato il processo di asservimento del debito a causa dei prestiti concessi dall’FMI, dalla Banca Mondiale e da banche private. I grandi proprietari terrieri se li sono potuti permettere, i piccoli coltivatori diretti invece no e, come conseguenza, spesso sono andati in fallimento. Naturalmente l’idea di fondo era proprio questa.

La “Rivoluzione Verde” si è basata sulla “proliferazione di nuove sementi ibride nei mercati dei paesi in via di sviluppo” – sementi che tipicamente non dispongono della capacità di riproduzione. Il calo di produttività dei raccolti ha comportato il fatto che gli agricoltori hanno dovuto acquistare ogni anno sementi dalle grandi aziende produttrici multinazionali, le quali controllano al loro interno le proprie linee parentali delle sementi. Una manciata di colossi del settore ne ha acquisito i brevetti e li ha utilizzati per porre le basi della successiva rivoluzione OGM. Il loro piano è diventato ben presto evidente: le coltivazioni tradizionali dovevano lasciare il posto a varietà ibride ad alto rendimento (HYV) di grano, mais e riso, con rilevanti immissioni chimiche.
Inizialmente i tassi di crescita sono stati sorprendenti, ma non sono durati a lungo. In paesi come l’India, la produzione agricola ha subito un rallentamento e quindi un declino; questi paesi sono stati gli sconfitti, di modo che i colossi dell’agribusiness potessero sfruttare vasti nuovi mercati per i loro macchinari, prodotti chimici e di altro genere; è stato l’inizio dell’“agribusiness”, andato a braccetto con la strategia della “Rivoluzione Verde” che in seguito avrebbe compreso le alterazioni genetiche delle piante.

Agli albori furono implicati due professori della Harvard Business School: John Davis e Ray Goldberg, i quali collaborarono con l’economista russo Wassily Leontief, furono finanziati dalle fondazioni Rockefeller e Ford, quindi avviarono una rivoluzione quarantennale finalizzata al dominio dell’industria alimentare. Essa si basava sull’“integrazione verticale”, del genere di quella che il Congresso mise al bando dopo che colossali gruppi di controllo e trust come la Standard Oil la utilizzarono per monopolizzare interi settori di industrie chiave e per schiacciare la concorrenza.
Tale integrazione verticale tornò in auge durante la presidenza di Jimmy Carter, membro fondatore della Commissione Trilaterale, e venne camuffata come “deregolamentazione” per smantellare “leggi a tutela del consumatore, della sicurezza alimentare e della salute…diligentemente formulate nel corso di decenni”. In base a questa nuova integrazione verticale favorevole all’industria, ora tali leggi avrebbero ceduto il passo. Una campagna propagandistica sosteneva che il problema era il governo, il quale si intrometteva in maniera eccessiva nella vita dei cittadini e doveva essere fatto arretrare a vantaggio di una maggiore “libertà” personale.
Dagli inizi degli anni settanta i produttori dell’agribusiness presero a tenere sotto controllo le scorte alimentari statunitensi, tuttavia ben presto sarebbero passati a una scala globale mai vista in precedenza. Lo scopo: ricavare “sbalorditivi profitti” tramite la “ristrutturazione delle modalità secondo cui gli Statunitensi coltivavano i prodotti vegetali per alimentare sé stessi e il mondo”. Ronald Reagan diede seguito alla politica di Carter e lasciò i principali quattro o cinque monopolisti a dirigerla, il che determinò un’inedita “concentrazione e trasformazione dell’agricoltura statunitense”, con i coltivatori diretti indipendenti estromessi dai loro terreni attraverso fallimenti e vendite forzate, in modo che i “più efficienti” colossi dell’agribusiness potessero subentrare con “aziende agricole industriali”. I piccoli produttori rimanenti diventarono virtuali servi della gleba in veste di “agricoltori a contratto”. Il paesaggio degli USA stava cambiando, con la gente calpestata nell’interesse del profitto.
Engdahl spiega il processo graduale di “fusione e consolidamento su larga scala…della produzione alimentare statunitense…in colossali concentrazioni corporative globali”dai nomi familiari: Cargill, Archer Daniels Midland, Smithfield Foods e ConAgra; man mano che queste aumentavano di dimensione, lo stesso accadeva ai loro utili, con indici annuali di redditività pari al 13 per cento nel 1993 per arrivare al 23 per cento nel 1999.

A rimetterci furono centinaia di migliaia di coltivatori diretti; dal 1979 al 1998 il loro numero diminuì di 300.000 unità; ancor peggio andò agli allevatori di suini, passati nel medesimo periodo da 600.000 a 157.000 unità, cosicché il tre per cento dei produttori si trovò nelle condizioni di controllare il 50 per cento del mercato. I costi sociali furono (e continuano ad essere) sconcertanti, poiché “intere comunità agricole andarono in rovina e città rurali si trasformarono in città fantasma”.

Prendete in considerazione le conseguenze. Nel 2004:

  • i quattro principali industriali della carne in scatola controllavano l’84 per cento della macellazione di manzi e vitelle: Tyson, Cargill, Swift e National Beef Packing;
  • quattro colossi controllavano il 64 per cento della produzione suina: Smithfield Foods, Tyson, Swift e Hormel Foods;
  • tre società controllavano il 71 per cento della lavorazione della soia: Cargill, ADM e Bunge;
  • tre colossi controllavano il 63 per cento di tutta la molitura del grano per ottenere la farina;
  • cinque società controllavano il 90 per cento del commercio cerealicolo globale;
  • altre quattro società controllavano l’89 per cento del mercato dei cereali per la prima colazione – Kellogg, General Mills, Kraft Foods e Quaker Oats;
  • dopo aver acquisito la Continental Grain nel 1998, la Cargill controllava il 40 per cento dei silos per cereali a livello nazionale;
  • quattro grandi colossi del settore agrochimico/sementi controllavano il 75 per cento delle vendite nazionali di grano da semina e il 60 per cento della soia, detenendo al contempo la più consistente quota del mercato agrochimico: Monsanto, Novartis, Dow Chemical e DuPont;
  • sei società controllavano i tre quarti del mercato globale dei pesticidi;
  • Monsanto e DuPont controllavano il 60 per cento del mais e della soia statunitensi – tutti brevettati come sementi OMG.

Inoltre:

  • nel 2002, 10 grandi rivenditori di alimenti controllavano 649 miliardi di dollari di vendite globali, mentre i principali 30 rivenditori di alimenti rendevano conto di un terzo delle vendite globali di generi alimentari e da drogheria.

 

Continua…


L'articolo è stato pubblicato originariamente su NEXUS New Times n.75, Agosto – Settembre 2008 (a breve troverete su questo sito la seconda parte).

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Chi è William Engdahl

F. William (Bill) Engdahl, eminente ricercatore, economista e analista che si occupa del Nuovo Ordine Mondiale, da oltre 30 anni scrive su tematiche energetiche, politiche ed economiche. Inoltre partecipa di frequente a convegni internazionali in veste di oratore e presta la sua opera di insigne ricercatore associato al Centre for Research on Globalization, col quale collabora regolarmente. Engdahl è autore di A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order (Pluto Press, 2004) e di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation (Global Research, 2007; vedere http://globalresearch.ca/books/SoD.html), argomento del presente articolo. Per contatti email, [email protected].

 

Su NEXUS New Times ha scritto gli articoli:

OGM: lo sdoganamento della Monsanto (NEXUS 104)

L'imminente crisi del gas estratto con il fracking (NEXUS 105)


A proposito dell’Autore/Recensore:

Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato via email presso [email protected].

Visitate il suo sito blog presso sjlendman.blogspot.com.

 


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