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(III) LETTERE DA MARTE… di Paolo C. Fienga & Gianluigi Barca

Data di pubblicazione:

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LETTERE DA MARTE…
di Paolo C. Fienga & Gianluigi Barca

“…Noi non operiamo in qualità di avversari di qualcuno; noi ci limitiamo a lavorare come alleati di un’Idea…


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Quello che scriviamo (ossìa ciò che
ognuno di noi pensa e poi scrive, in relazione ad un determinato
argomento) è ben difficile che, alla fine, piaccia o risulti gradito a
tutti.

Certo, il quieto e generalizzato assorbimento delle
opinioni altrui, quali che sìano, sarebbe forse auspicabile – se non
altro per mantenere una sorta di “pax dialettica
in un Mondo che di pace (in generale) ne conosce davvero poca – ma
questo non succede quasi mai, anzi: la regola dice che spessissimo
accade l’esatto contrario (e cioè Tizio dice “A”, Caio capisce “B” e
risponde “C”, Sempronio interviene dicendo “F” e poi à suivre: battute e ribattute irruente, colossali malintesi – spesso creati ad arte – polemiche a gò-gò e così via, in una escalation rissaiola degna dei peggiori “reality shows”).

Ma
tutto questo è normale: le “opinioni”, infatti – sìano esse efficaci,
autorevoli e sostanziabili oppure poco convincenti, magari
intrinsecamente incoerenti e di spessore leggero –, proprio perché
tali, non hanno comunque e per definizione una valenza generale od
universale.
Le “opinioni”, per definizione, sono “criticabili”.

I “fatti”, invece, questa valenza ce l’hanno. O, almeno, dovrebbero averla.

Tuttavia la realtà è di gran lunga diversa.
La
natura oggettiva dei “fatti”, allorché gli argomenti trattati sono di
per se stessi ambigui ed indefiniti diventa, a sua volta, un concetto
astratto, discutibile e dai margini pallidi ed indistinti.
Anche la
Verità, quindi, nell’impossibilità di essere sempre e totalmente
razionali ed obbiettivi (poiché i temi trattati sono immersi in un
autentico Oceanus Procellarum
fatto di informazioni discordanti, di dati incongrui e di prese di
posizione che fluttuano fra l’estrema rigidità – tipica degli
Scienziati Positivi o Positivisti – al possibilismo senza frontiere –
proprio dei Ricercatori Moderati), diventa del tutto simile ad
un’opinione.

E quindi anche l’oggettività diviene criticabile,
aggiustabile, modellabile: essa si trasforma, ad uso e consumo degli
operatori e degli osservatori, in un’immagine dalle forme tanto diverse
ed incoerenti – ed ingannevoli! – quante sono le angolazioni dalle
quali essa può essere vista.

Questa circostanza, a nostro parere, non serve a niente se non a generare confusione.

Una
confusione che, si sa, sostiene e supporta l’opinabilità delle ragioni
umane e degli eventi che le definiscono tanto quanto ne minimizza la
natura e ne avversa la loro (come si diceva) oggettività e chiarezza.
La confusione, si dice, è amica della Verità quanto il potere e l’arroganza lo sono della Giustizia…

Ed anche queste considerazioni, in fondo, sono “fatti”. Fatti dei quali non si può non tener conto.

Ma lo scenario globale è ancora più complesso.

Se
gli Scienziati “Positivisti” (o anche detti Convenzionali, chiamateli
come volete) si proteggono (ed un po’ si nascondono…) dietro mura
ciclopiche fatte di “certezze scientifiche indiscusse ed indiscutibili”
– avete mai avuto occasione di parlare con uno Scienziato Positivista
di argomenti non convenzionali? Provateci!… –, coloro che invece
svolgono il lavoro di Privati Ricercatori nel campo delle Scienze di
Confine cercano sempre – almeno di regola – di essere prudenti e
possibilisti nelle dichiarazioni (una necessità suggerita – ovviamente
– dal Buon Senso oltre che da una sorta di innocua “auto-difesa preventiva”).
Questo
vuol dire che quando scriviamo qualcosa il nostro intento primario va
rinvenuto, se non nel tentativo (assolutamente irreale) di Consegnare
una Verità all’Umanità ed accontentare tutti (Lettori in primis),
quanto meno in quello – più sensato ed accettabile – di esprimere una
opinione moderata e logicamente supportata senza, nel contempo,
offendere nessuno.

Diciamo che l’optimum galleggia nel dire quello che si pensa senza “dispiacere” (troppo) agli altri, laddove, per “altri”, si intendono “altri Ricercatori”, “altri Scienziati”, “altri Scrittori e Divulgatori” e così via.
Il
mantenimento bilanciato di un livello elevato di prudenza da un lato e
di un indice basso di conflittualità interna dall’altro, infatti, sono
elementi assolutamente congeniali allo spirito puro del nostro Lavoro:
la Ricerca della Verità, si dice, non ama (anzi: diciamo che RESPINGE
nettamente!) le “rivelazioni”, le “sparate”, i “sensazionalismi” e
quindi le polemiche, i litigi e, in generale, le gazzarre.

Tutto quanto abbiamo detto (anzi: scritto) sino ad ora, pensiamo che sia ragionevolmente innegabile.
Ma
è pur vero che, di quando in quando, allorché la confusione
intellettuale diventa troppa ed il “rumore di fondo” insopportabile,
occorre avere la forza, la voglia ed anche il coraggio di dire “NO: non
sono d’accordo!”.
Di quando in quando, per salvare soprattutto la
Credibilità del nostro Lavoro, occorre essere (anche) un po’ polemici e
sarcastici, oltre che pragmatici ed obbiettivi (polemica e sarcasmo
sono essenziali considerato che, di questi tempi, il pragmatismo e
l’obbiettività pagano davvero poco o nulla).

Di quando in quando occorre esprimere (o anche gridare!, se necessario) il proprio disaccordo.
Di quando in quando bisogna avere il coraggio di dire “NO”!

Il
coraggio di non transigere, di non tacere (il silenzio, talvolta, è una
spregevole forma di complicità) e di non essere propriamente
diplomatici.
Se vogliamo salvare la Ricerca Alternativa e “di
Frontiera”, rimanendo Pragmatici ed “open” – e cioè non
aprioristicamente chiusi al ricorso ad ipotesi esotiche per la
spiegazione o l’interpretazione dei fenomeni controversi – e se
vogliamo conservarle una anche minima credibilità, allora la dobbiamo
chiamare con il suo nome e, nel contempo, dobbiamo distinguerla dalla
“speculazione azzardata” e – ahinoi, spesso – motivata da mere ragioni
di visibilità.

Ma procediamo con calma…

Questa diatriba,
endemicamente interna alla Comunità dei Ricercatori “Alternativi”, la
quale si rinnova costantemente (come un fuoco solo apparentemente
spento, ma che in realtà è ben vivo e vitale, sebbene nascosto sotto
ceneri tanto grigie, quanto bollenti…) è nata e si trascina da anni.

E’ nata nel momento stesso in cui, osservando i rilievi di Marte, come ripresi dalla Sonda NASA “Viking Orbiter One”,
un Ricercatore Americano credette di vedere, scolpito tra le colline ed
i rilievi di un’anonima Regione Marziana, un volto umanoide il quale,
scolpito (dal vento e dalle intemperie?!?…) sulla sommità di una
collina, sembrava fissare le stelle…

Quella “visione”, in
effetti, sancì l’Alba di una nuova modalità di cercare ed investigare i
Misteri dello Spazio; una modalità che, oggi, è più fonte di sorrisi e
malintesi che di “scoperte” vere e proprie.

E allora, tanto per
essere chiari, ripercorriamo un pò la Storia di questa Neo-Disciplina
(che alcuni già definiscono – secondo noi erroneamente – come
“Neo-Scienza”) la quale, oggi, è tanto capace di affascinare e di
avvicinare Donne ed Uomini di tutte le età e di tutte le estrazioni e
competenze, al Cosmo, quanto lo è di ingannarli, distrarli e
confonderli.

Andiamo indietro nel Tempo, a cercare le origini di
un controverso fenomeno para (o pseudo?) scientifico, economico,
sociale e culturale che ha preso il nome di EsoArcheologia…

Archeologia ed Eso-Archeologia


La parola archeologia, a differenza di quello che viene studiato a scuola, nella nostra lingua non è affatto un termine antico.
Se nel greco classico, infatti, troviamo il vocabolo archaiologhia (da archaios -> antico, e loghia -> discorso) il quale venne usato dallo storico Tucidide per spiegare gli eventi passati usando prove reali (ossìa “fisiche”, “tangibili”, “immediatamente esaminabili”),
in Europa questa parola la incontriamo per la prima volta negli Studi
Illuministici del IXX Secolo i quali – spinti dal fervore insito sia
nei cosiddetti “circoli culturali”, sia nei Curatori dei primi
importanti Musei – iniziarono a sentire la necessità di catalogare in
una maniera razionale ed analitica i reperti dell’antichità (o “remnants”).

Naturalmente
questa sistematica raccolta era ben lontana dall’essere affine alla
nostra concezione moderna di catalogazione scientifica: in quell’epoca,
infatti – proprio perché gli influssi neoclassici erano ancora alquanto
pregnanti – gli unici remnants
degni di nota venivano rinvenuti nei manufatti artistici (nelle “opere
d’arte”, insomma) dell’età Greco/Romana (e comunque – attenzione! – lo
studio e l’analisi di questi remnants si concentravano, in ultima
analisi, sul solo rapporto estetico esistente fra essi e quelle che
erano ritenute le – allora – attuali concezioni “significative” di
bello e di non-bello).

Incredibile, vero?

Oggi, se
proviamo a pensarci, come non può apparire, se non del tutto assurda,
l’idea di analizzare un’antica opera d’arte allorché vengano usati
soltanto dei criteri squisitamente ed esclusivamente estetici?

Ai
nostri giorni, lo sapete, ciò che importa davvero sono gli elementi
(per definizione) extra-artistici quali, ad esempio, la datazione, la
provenienza, il significato e/o il valore sociale, le misure o perché
no…il valore economico del manufatto, eppure…
Eppure, gli studi che
vennero eseguiti qualche secolo or sono furono comunque idonei a
portare alla luce dei particolari importantissimi di queste opere!
Particolari
capaci di dimostrare l’esistenza, negli artisti dell’antichità, di una
sensibilità non solo peculiare, ma anche densa di fascino e significati.

Già a metà del Secolo XVIII, ad esempio, il Lessing, nel suo “Laocoonte”,
ci dimostrava come la sensibilità Classica fosse capace di operare
delle sottili distinzioni concettuali (ergo anche artistiche), a
seconda che un determinato evento storico lo si fosse dovuto
rappresentare usando, ad esempio, la Pittura piuttosto che la Scultura,
piuttosto che la tanto cara Letteratura (prosa o poesia è indifferente).

Ma facciamo un piccolo esempio: Omero, durante l’intera narrazione dell’Iliade e dell’Odissea, non descrive mai la bellissima Elena, sebbene questa donna fosse la causa principale della feroce guerra narrata nei suoi immortali canti.
Il
Lettore o l’Ascoltatore la conoscono e la riconoscono, nel loro
immaginario, come una donna fantastica, bellissima, “simile ad una
dea”, per dirla appunto come Omero…ma nessun lettore, studioso od esegeta troverà mai una sua minuta descrizione nelle parole di Omero.

Mai.

E
allora…come abbiamo fatto a “vedere” questa Donna Meravigliosa? Come
abbiamo fatto ad immaginarla e, quindi, a tramandarne l’immagine se non
abbiamo MAI avuto a disposizione un elemento sufficiente per
descriverla?
Ma è evidente: è stata (ed è tutt’ora) la nostra immaginazione a lavorare e ad integrare le informazioni mancanti!
La
vera Bellezza (al pari dell’autentico fascino, della vera paura,
dell’orrore più reale) non sono nelle descrizioni o – peggio! – nelle
immagini!
Tutto il necessario per colpire, far amare (o odiare), far rabbrividire, gioire ecc. è nella nostra Immaginazione.
E’ in noi.

Il
“fuoco” capace di accendere le nostre anime non ha bisogno di essere
attizzato da immagini: basta solo stimolare l’immaginazione – come
anche i primi grandi maestri del cinema, sprovvisti di quelli che oggi
chiamiamo “effetti speciali”, ben avevano compreso – ed il resto accade
di conseguenza.

Attenzione: non dimenticate questa riflessione, poiché Vi tornerà utile in seguito!

E quindi torniamo a noi ad alla nostra amata Archeologia…
Nel tempo (non molto, a dire il vero…), il termine Archeologia cominciò a staccarsi dalla pura Storia dell’Arte e dal Classicismo inteso come epoca unica di riferimento.
Esso,
rapidamente, assunse un significato assai prossimo a quello di vero e
proprio “scavo”: ossìa il lavoro svolto in una determinata località per
portare alla luce opere ed oggetto (dei manufatti, insomma)
appartenenti ad un’età antica.

Da qui, alla nascita delle varie branchie dell’Archeologia così come oggi le conosciamo il passo fu breve: dall’Archeologia Classica, quindi, si dipartirono quella Industriale e quella Subacquea,
ad esempio. Forme differenti della medesima matrice iniziale; tutte
Scienze di eguale dignità, ben supportate (spesso e volentieri) da
studi paralleli i quali affondavano le loro origini in altre Scienze
quali, ad esempio, la Paleontologia, la Paleoantropologia e la Paleoecologia.

E non dimentichiamo neppure quell’Archeologia che si esprime attraverso “scavi” volti alla ricerca di fossili – animali od umani! Un’Archeologia
la quale, per completarsi, si avvale sia di Scienze che studiano i
mutamenti climatici ed ambientali della nostra Terra, sia di altre
Discipline – se volete – più “politiche ed economiche” quali, ad
esempio, l’Epigrafia, la Numismatica, l’Etnologia e molto altro ancora.

E di certo non possiamo dimenticare la Chimica, la Geologia, la Fisica
e tante altre Scienze e Tecnologie ancora più attuali che, nel tempo,
sono pure entrate a far parte, diremmo a buon diritto, del mondo dell’Archeologia Moderna.
Un’Archeologia
che, oggi, ci riporta ad una tradizione che significa raccogliere
reperti, catalogare i ritrovamenti, scavare in siti storici ed
analizzare, interdisciplinarmente, tutti i risultati ottenuti usando
non solo vari approcci metodologici, ma anche differenti “Scienze di
Supporto”.
Tutto questo – ed anche molto di più – per alfine
giungere all’Archeologia NON SOLO moderna e contemporanea nei
significati, ma anche nelle modalità esplicative.

Ma non è tutto.
Proprio agli inizi del XX Secolo, infatti, nacque anche un’altra “attività”, nota come “Pseudo-Archeologia” (o “Archeologia Misteriosa”), la quale, per esprimersi, volle adottare metodologie non-convenzionali rispetto a quelle proprie sia dell’Archeologia Classica, sia dell’Archeologia Moderna e, alla fine, giunge ad esporre – sulle medesime tematiche affrontate dall’Archeologia “Ufficiale”
– delle Teorie Esotiche, tanto affascinanti ed accattivanti quanto,
molto spesso, totalmente insostanziate ed insostanziabili.

Il padre di questa Archeologia fu l’Americano Charles Fort
il quale dedicò la sua vita a raccogliere articoli ed informazioni su
scoperte, manufatti ed oggetti vari i quali erano/risultavano
inspiegabili mediante il mero ricorso ai processi investigativi
(archeologici) tradizionali, per poi giungere all’ipotesi finale – che
è l’ipotesi di partenza per coloro che si sarebbero mossi sulla strada
da lui tracciata – che tali misteri erano l’evidenza oggettiva di un “intervento alieno” nella Storia dell’Umanità.

Il fatto che questa Neo (e pseudo) Scienza si sia auto-proclamata come “Archeologia Misteriosa” è comunque un fatto strano il quale deve spingerci a riflettere.
Archeologia Misteriosa”…
Con questa espressione sembra volersi dire, più o meno esplicitamente, che l’Archeologia Tradizionale (o Moderna)
– e comunque “Ufficiale” – non ha invero nulla di misterioso, di
affascinante e/o di realmente “nascosto” (e quindi di “investigabile”).
In accordo a questa nomenclatura, è come se l’Archeologia Ufficiale fosse stata costruita su basi fragili ed inconsistenti.
E’
come se gli studi fatti in suo nome e sotto la sua ègida fossero del
tutto inconsistenti: vuoti e banali, incapaci di dare delle risposte,
poiché fondati su domande mal formulate o addirittura errate in nuce.

Che dire?
E’ forse vero tutto questo?

Beh,
che la Storia dell’Umanità sia ancora ammantata da innumerevoli misteri
e domande rimaste senza risposta è un fatto; ma che quanto investigato
– sino ad oggi – dall’Archeologia Tradizionale
sia, alla fine ed in buona sostanza, un gigantesco ammasso di errori e
di non-sense…a noi sembra, oltre che una palese (e provocatoria)
esagerazione, anche un falso ideologico (e storico) bello e buono.
Un
falso ancora più grande di quelli che vengono imputati agli Storici ed
agli Archeologi Classici e Moderni da parte dei Fautori e Sostenitori
dell’Archeologia Misteriosa.

Certo:
qui non vogliamo (né possiamo) negare che molti studi accademici sono
stati (e sono ancora) troppo rigidi per essere realmente “a prova di
errore”.

Non possiamo certo negare che, in svariate circostanze, questi Studi non sono stati (né stanno ancora) “al passo dei tempi” – l’Egittologia, se volete, è un esempio noto ed eclatante di questa “localizzata insufficienza” dell’Archeologia Classica, anche nella sua veste Moderna.

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Non
vogliamo certo negare che, forse, una gran parte della nostra Storia,
un domani, potrà essere riscritta grazie a nuove scoperte e nuove
tecnologie, certo…Ma da qui, a voler vedere PER FORZA l’intervento dei “Little (o Big?) Green Men” nell’evoluzione della nostra Specie…Ce ne passa!

Se
poi si considera che molti spunti, magari anche interessanti, suggeriti
e poi portati avanti da questa Pseudo-Archeologia sono stati (e vengono
ancora) difesi con la – criticabile, un po’ arrogante e concettualmente
scorretta – tecnica espressa nel motto “E’ vero finchè non è dimostrato il contrario”…Ci siamo spiegati?!?

E procediamo.

Alcuni
(nuovi ed interessanti) spunti di ricerca provengono oggi dalla
cosiddetta Archeologia Astronomica la quale, muovendosi tra immani
forzature e qualche notevole studio, sta finalmente mettendo in risalto
il rapporto, sicuramente fortissimo, che le Antiche Civiltà della Terra
avevano con il Cielo ed i suoi…Abitanti (e cioè i “Corpi Celesti”, così
evitiamo spiacevoli malintesi).
Questo modernissimo campo di
ricerca, se curato in maniera attenta ed approfondita, potrà forse
essere fonte di interessantissimi studi e, di conseguenza, anche di
meravigliose scoperte.

Forse.

Ma attenzione alle (disumane) forzature ed agli (inumani, ma commercialmente “gradevoli”…) eccessi…
Come
saprete, nell’ambiente dei Ricercatori (Italiani e non) di quelle che
sono note come “Anomalie Spaziali” è ormai nato un neologismo – il
quale risponde al nome di “Esoarcheologia”
– il quale dovrebbe indicare lo studio di strutture architettoniche e
manufatti di varia natura situati su Corpi Celesti DIVERSI dalla Terra.
Naturalmente
questa (per ora) pseudo-ricerca si basa esclusivamente sullo studio di
immagini, ora orbitali, ora non (ma, almeno sino ad ora, si tratta in
larghissima maggioranza di frames orbitali i quali, per definizione,
sono di interpretazione ancora più complessa rispetto ai frames
ottenuti “dalla superficie”), che le varie Sonde Spaziali ci hanno
inviato, ci inviano e che continueranno ad inviarci dai Mondi che, da
qualche anno a questa parte, stiamo cercando di visitare e di
comprendere.

Ora, se da un lato una tale ricerca merita
senz’altro attenzione (poiché, ove portata avanti in maniera lineare e
dignitosa, essa può certo creare motivi di interesse), dall’altro
possiamo notarne subito i limiti: l’Archeologia Moderna,
infatti, ha una tradizione ormai consolidata che non vuole, ma
pretende, per sostanziarsi in maniera adeguata (o almeno accettabile),
l’esistenza di una serie di fattori imprescindibili.

Oggi,
certamente, l’Archeologo “Tradizionale” (terrestre, insomma…) si può
avvalere di sofisticati mezzi che sfruttano anche la visuale aerea per
aiutarlo nelle sue ricerche (pensate, ad esempio, alla ricognizione
aerea, alle immagini satellitari, o anche all’uso del Lidar o delle
cosiddette immagini iperspettrali, e cioè capaci non solo di
fotografare il suolo – rimuovendo, tramite sofisticate elaborazioni,
tutti gli ostacoli che si frappongono alla “visione piena” – ma anche
ed addirittura di “vedere oltre”, nella profondità del suolo!).

Bellissimo, certo, però…

Però – e nonostante tutto – l’Archeologia,
per esprimersi in maniera completa e compiuta, deve anche avere
qualcosa di “concreto” da toccare, da pulire e da analizzare; essa ha
bisogno di luoghi in cui scavare; essa necessita di “reperti e
manufatti”: reperti e manufatti da catalogare, ripulire, studiare,
collocare nei giusti tempi e contesti…
Tutto questo, purtroppo, se
parliamo di “Archeologia” nel senso puro del termine e se andiamo a
riferirci, come Ambito Operativo, alla Luna, o a Marte, o a Titano…è oggi ancora un sogno.

E allora?

E allora questa Esoarcheologia,
basata esclusivamente sull’uso di immagini come campo di indagine – e
per quanto dette immagini possano essere belle e ben definite – non
solo non possiede, per esistere come Scienza (o anche come
Neo-Scienza), i requisiti minimi necessari richiesti dalla Tradizione Archeologica,
ma non possiede neppure quelle caratteristiche operative e
metodologiche che l’etimologia stessa del termine vorrebbe evidenziare
e mostrare.

In conclusione, se proprio volessimo mantenere il termine archaios nel nostro (già abusato, grazie a qualche Autore dell’ultima ora…) neologismo, sarebbe forse opportuno cambiare la parola in Esoarcheografia: intendendo con il termine grafia
una scrittura – una descrizione, appunto, e solo questa – di un
possibile “reperto extraterrestre” il quale viene analizzato e
studiato, OGGI, solo IN VIA REMOTA ed INDIRETTA, e cioè tramite l’uso
esclusivo di fotografie.

Se l’Archeografia, infatti, è considerata la Scienza che ha come obiettivo la descrizione dei monumenti dell’antichità, così l’Esoarcheografia,
seppur ancora lontana dal potersi definire come una Scienza vera e
propria, potrebbe comunque considerarsi un nuovo ambito di indagine
avente come obiettivo quello di scoprire, catalogare, analizzare e
descrivere le possibili tracce di effettivi reperti archeologici
situati al di fuori della nostra Terra.

Dove?

Ma dalla Luna…All’Infinito, naturalmente!

E
se poi, ancora non sazi di quanto e per quanto sino ad ora detto e
scritto, volessimo aprire un’ultima piccola parentesi sulla nascita e
l’uso di questo termine, potremmo notare una curiosa ed interessante
circostanza, di certo irrisoria (nello scenario globale), ma
sicuramente veritiera e (quasi) allegorica.

Una Laurea in Esoarcheologia, infatti, è ciò che possono vantare alcuni personaggi (si tratta, ad esempio, del simbionte Dax, creatura del Pianeta Trill) creati per la serie televisiva “Star Trek – Deep Space Nine”…
Certo
la prima reazione davanti a questo fatto può essere un sorriso, ma ciò
che realmente si vuole far notare è come tale neologismo non sia poi
così nuovo: siamo infatti nell’Anno Terrestre (AD) 1993, Gennaio, o se
preferite, nel XXIV Sec. dell’Era Star-Trek.

Ma
il vero lato ironico, se vogliamo restare nell’ambito esplicativo delle
manchevolezze di questo termine, è che in questo panorama di
fantascienza televisiva la definizione di Esoarcheologia
è veramente corretta: poter viaggiare nell’Universo, magari a velocità
di curvatura e, tra l’altro, avendo a disposizione delle incredibili ed
esotiche super-tecnologie, di sicuro consentirebbe (davvero A
CHIUNQUE!) un accurato studio di reperti.
Ed in caso di dubbi
persistenti si potrebbe, con buona pace per l’Esoarcheologo e per suoi
parametri di indagine e studio, andare direttamente in loco per
ulteriori accertamenti; magari, perché no…muovendosi direttamente con
il teletrasporto: “Beam-me up Scotty!”.

Conclusioni

E allora?
E allora, oggi come oggi, Anno Domini 2007, l’Esoarcheologia, secondo noi, è una Disciplina che NON esiste.
E se esiste, esiste solo come “fatto” e NON – comunque – come Scienza.
Forse lo sarà, un giorno, tra 100 o 1000 anni, ma per adesso non lo è ancora.

E l’Esoarcheologo? Ebbene anche costui è una Figura che ancora NON esiste.
Almeno come Professionista.
Forse lo diventerà, un giorno, pure lui tra 100 o 1000 anni, ma per adesso non lo è ancora (Star-Trek a parte).

L’idea di studiare ed interpretare i rilievi di un Mondo lontano (come la Luna, o Marte
oppure ancora più avanti nelle profondità del Sistema Solare e/o
dell’Universo…), agendo in modalità remota ed usando, fra gli altri, Archeologi, Storici e Semiologi,
è non solo discutibile ed eccentricamente bizzarra, ma equivale, di
fatto e per esempio, a far studiare ed interpretare le eventuali forme
di vita individuate tramite una telecamera posta in un batiscafo
immerso sino al fondo della Fossa delle Marianne ad un Gruppo di Studio
formato da Economisti, Filosofi ed Avvocati.

Certo, TUTTI questi personaggi (dal Semiologo all’Avvocato) partoriranno, con ogni probabilità, dei concetti “interessanti e credibili” ma…basati su che cosa?
Sul generale possesso di una “elevata cultura di base” (senza contare che occorrerebbe definire un pò meglio la nozione di “elevata”…)?
Sul fatto che lo Studio, qualsiasi Studio, comunque, “affina l’intelletto”?

Ebbene,
consapevoli che questa nostra posizione non piacerà a molte persone,
noi Vi diciamo che l’unico ed inevitabile risultato che si ottiene
usando questo metodo investigativo è il Caos.

O
forse anche peggio: un Caos ancora più periglioso poiché travestito –
da (Neo) Scienza, da (Pseudo) Cultura e da (Falsa) Conoscenza -,
vischioso, dilatato e, last but not least,
offerto a buon mercato ad un enorme bacino di utenti i quali,
spessissimo, leggono ed assorbono tutto senza operare, per innumerevoli
motivi, una reale e meditata distinzione tra Realtà e Fantasia e fra
Oggettività e Speculazione.

Un Caos prezzolato ed ingigantito grazie al potere persuasivo dei media.
Grazie al momentum
impartito a queste “ricerche” da finezze dialettiche le quali, alla
fine, si sostanziano in “erudite” (ma inconsistenti) elucubrazioni ed
in “jargon per adepti”…
Ora è giusto chiedersi: ma è questo quello che vogliamo davvero?
E’ questo ciò di cui hanno bisogno gli Appassionati dello Spazio e delle Scienze di Frontiera?
E’ questo ciò che aiuta e sostiene l’opera dei Ricercatori alternativi alla NASA, all’ESA, al CICAP
ed a qualsiasi altra Istituzione dèdita, per definizione,
all’informazione controllata e purgata o alla pura (e becera!)
disinformazione, controinformazione e banalizzazione?!?

E’
difficile parlare di Caos Informativo (e Disinformativo) senza fare dei
riferimenti concreti e allora, prendiamo un esempio di Divulgazione
“discutibile”.

Tanti Autori, sia stranieri, sia di casa nostra, si slanciano – agendo ancora sull’inerzia impressa a tutto il movimento dalla Sfinge di Cydonia
nella ricerca ed interpretazione di disegni e scritte che, secondo
costoro, sarebbero spennellati un po’ ovunque sul suolo del Pianeta
Rosso.

Disegni e Scritte Marziane…

Disegni e Scritte visibili solo dall’alto (come le Piste di Nazca) ed indicativi di giacimenti, di città in rovina, di costruzioni e di chissà cosa d’altro e di più.
Disegni e Scritte che, al pari della Sfinge di Cydonia (e, se ci fermiamo alla Luna, del Monolito di Tycho – quest’ultimo tratto da “2001 – A Space Odyssey”),
dovrebbero essere stati concepiti per poter essere (da noi terrestri)
visti e compresi SOLO quando saremmo stati maturi ed evoluti abbastanza
da poter raggiungere queste “outlands“, e studiarle.

Un’idea bellissima, come no.
Un’idea magari un pò déjà vu, déjà écouté, ma sicuramente immaginifica.

Però…
Però,
ci domandiamo, se una Civiltà Marziana (per altro “genitrice” o
“parente prossima” della nostra) avesse avuto la lungimiranza di
preparare dei messaggi visibili, a distanza di ere, “solo dal Cielo” e quindi solo per “Coloro che sarebbero arrivati dal Cielo
(e cioè, nel caso di specie, noi terrestri, attraverso gli occhi delle
nostre Sonde), questi messaggi non avrebbero potuto e dovuto
esprimersi, ad esempio, in una forma similare, almeno concettualmente,
a quelli inseriti da noi stessi nelle Sonde Pioneer 10 e 11 e Voyager 1 e 2?

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Messaggi,
questi ultimi, semplici ed inequivocabili: essi, infatti, si limitano a
dire che esiste (o è esistita: dipende, oltre che dal se, anche dal
QUANDO queste Sonde verranno “raccolte” e studiate) una Civiltà in un
“luogo preciso” dell’Universo e che questa Civiltà è (o è stata)
abbastanza evoluta da lasciare qualcosa di sé.
Qualcosa che superasse, in termini di significato intrinseco, la nozione stessa di Tempo.

E allora, se lo scopo di questi Disegni e Scritte fosse lo stesso dei messaggi Pioneer e Voyager, perchè questi “post-it planetari
sono sempre così malridotti (e dunque inidonei, per definizione, ad
interpretare e servire il loro scopo primario), ambigui e contorti (nel
senso che per un Ricercatore che li vede, ce ne sono 10000 che, per
quanto si sforzino – agendo ovviamente in Buona Fede! -, non riescono a
vedere nulla)?

Ma un autentico Messaggio dal Valore Universale, come quello trasportato delle Sonde Pioneer e Voyager, non dovrebbe essere, anche in termini VISIVI – cioè di SIGNIFICANTE e quindi non connessi solamente alla tecnica/scienza interpretativa adottata per decifrarne l’eventuale SIGNIFICATO) – UNIVERSALE?!?

O i Messaggi Universali funzionano solo per gli adepti di una qualche Scienza?
E se così fosse, ma che razza di Messaggi Universali sarebbero?!?

Ma lasciamo stare Marte e l’Universo per un istante e pensiamo un po’ alle vicende del nostro caro e vecchio Pianeta Blu:
che cosa hanno lasciato, come riferimento realmente Universale, le
Antiche Civiltà Terrestri a noi (purtroppo indegni, da svariati punti
di vista) “posteri”?
Tante cose, certo, innumerevoli manufatti che
vanno dalle pitture rupestri alle amigdale e dal vasellame alle
collanine. Insomma: dalle mummie ai gioielli, alle opere d’arte e così
via.

Tante “piccole cose” che parlano degli Uomini che le
crearono e delle Civiltà che, a loro volta, forgiarono quegli Uomini,
certo…Ma non solo.

Ci sono anche e soprattutto tante Opere – realmente Immortali – che fanno riferimento a Dio.
Al Creatore.
Al Cosmo, popolato da Divinità benevole, da Angeli e da Demoni.

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Riferimenti
che prescindono dall’Uomo e dalla sua “transitorietà”, dal suo “essere
fragile ed effimero”, e si rivolgono direttamente all’Eterno,
all’Immutabile ed all’Infinito.

Ora, una Civiltà Aliena la quale
sia stata capace di raggiungere un livello di Cultura e Lungimiranza
tanto elevato da permettergli di immaginare il proprio fato
(l’estinzione) e che abbia quindi deciso di lasciare qualcosa di sé
alla posterità, che cosa avrebbe deciso di riservare agli occhi curiosi
delle Nuove Creature che, un giorno, sarebbero arrivate dal Cielo?
Che
cosa avrebbero eretto di così imponente ed importante da meritare di
passare, più o meno intatto, attraverso ere su ere (e forse parliamo di
MILIONI e MILIONI – o MILIARDI addirittura – di ANNI)?

Diremmo un “Segno” che affondasse le sue radici nella Storia e nella Cultura di questa ipotetica Civiltà.
Un “Simbolo” inequivocabile ed agevole da interpretare per coloro che, un giorno, sarebbero venuti.

Il Buon Senso, accompagnato da un po’ di Sensibilità e di Logica, ci suggerisce che questo “Segno”, per avere un valore realmente universale, si sarebbe dovuto sostanziare in un’Opera riferibile a Dio o ad un equivalente simbolico di Dio
(e, per favore, quando si parla di Dio in questo contesto, cercate di
non pensare al Dio descritto dalle maggiori Religioni della Terra –
ergo, di regola, ad un Umanoide barbuto e dall’aspetto saggio ed
austero – ma tentate di vedere Dio
dal punto di vista di un’Intelligenza realmente evoluta, realmente
profonda e realmente, oltre che idealmente, rivolta alle Stelle
).

Pensate
quindi ad un Dio “Creatore” di una Civiltà capace di superare i confini
della propria Natura, i limiti della propria Scienza e gli orizzonti
del proprio Mondo di Origine.
Pensate ad un Dio inteso come Universo, si, raggiungibile, ma pur sempre impossibile da cogliere nella sua interezza.
Immaginate un Dio che NON è Padre di questa ipotetica Civiltà, ma Sorgente Ispiratrice di Essa.
Immaginate un Dio che sia, nel contempo, “Porzione Fisica integrante ed Entità Spirituale posta al di sopra ed oltre” questa Civiltà.

Come rappresentarlo?

Se restiamo nel campo delle Arti Grafiche, diremmo che un disegno od un monumento sarebbero potuti anche andare bene…

Ma
a condizione di essere un Disegno od un Monumento grandissimi,
semplicemente riconoscibili ed eterni (e, almeno da questo punto di
vista se volete, la “Faccia di Marte” ha un suo senso logico…).

E invece no.

I
Disegni e le Scritte di cui tanto si è scritto e si scrive, ci indicano
(rectius: indicherebbero…) le cose più bizzarre e meno “immediate” che
l’immaginazione e le connessioni logiche di un individuo dotato di
media intelligenza potrebbero mai arrivare a cogliere, anche usando
quantitativi ciclopici di immaginazione (gli esempi di remnants
suggeriti da questi Neo-Ricercatori li trovate dappertutto, dalle
edicole al Web e quindi non sprecheremo tempo per darVi degli esempi
che potete rintracciare Voi stessi con estrema rapidità e semplicità.

Che dire, in conclusione?
Noi
suggeriamo, scusandoci per la nostra povera Ottusità (anche se ci piace
chiamarla “Onestà Intellettuale”), che questi Disegni e queste Scritte
– nei termini in cui sono stati “localizzati” ed “interpretati” sino ad
ora, non esistono.
Non hanno alcun senso logico, né storico, né mistico, né scientifico.

Non sono nulla, se non sogni e fantasie.

Certo,
se escludessimo i fini di visibilità, notorietà e profitto i quali,
forse in parte e forse in toto, hanno ispirato gli Autori di queste
bislacche “scoperte”, l’intento potrebbe anche essere considerato
nobile: dare la luce della Speranza a chi non chiede nulla se non una
ragione per sperare in qualcosa di “ulteriore” (e trascendente)
rispetto allo squallore quotidianamente offertoci dagli abitanti della
nostra Terra nonchè dai loro Usi e Costumi.

Già: un’idea splendida e nobile.

Ma le cose non funzionano così.

Le
ragioni che governano il Mercato della Ricerca di Frontiera (al pari di
quello della Scienza – di qualsiasi Scienza, anche Convenzionale…)
sono, ormai, in larghissima misura e percentuale, ragioni economiche.
Ragioni di business.
Ragioni di quattrino.
Qualche volta, Ragioni di Potere e di Controllo.

E le Ragioni della Verità? Dove sono andate a finire?
No, quelle non ci sono e non servono.

O
meglio: servono, ma solo per dare qualcosa su cui rimuginare alle
minoranze silenziose, e cioè quelle minoranze che, anche quando
strillano come bestie portate al macello, non vengono sentite da
nessuno perché…non fanno audience.

E
allora, se questo è lo scenario di riferimento, noi, sebbene con un
certo imbarazzo (frammisto a dispiacere), ma anche con la più grande
fermezza possibile, diciamo “No”!

Studiare,
raccogliere dati, interpretarli e renderli “vivi e vitali”, mettendoci
qualcosa di proprio e di unico (e talvolta anche di fantasioso, perché
no?), va bene; ma allorché i dati raccolti non vengono più interpretati
senza pregiudizi e senza ricorso a logiche aprioristiche, bensì vengono
piegati (ergo distorti) e modellati ad hoc soltanto per diventare
incastri tanto perfetti quanto falsi in un puzzle creato solo per stupire…Allora no.

Le Ragioni della Verità,
ora più che mai, devono servire a garantire equilibrio e credibilità a
coloro che lavorano per la diffusione della Conoscenza (in primis) e
quindi per il piacere di investire (e rischiare) tempo e sacrifici
nella Ricerca di Frontiera: non banalizziamole.
Non buttiamole via.
Non pieghiamole a logiche perverse e pervertitrici.

Certo,
noi non viviamo sulla Luna e quindi sappiamo pure che le Ragioni della
Verità non sono sufficienti, da sole, per “campare” e che esse, in
fondo, non servono alla Cultura ed alla Scienza attuali; sappiamo che
esse sono essenziali per i Sognatori e sono care agli illusi, ai
nostalgici e, in fondo, agli Intellettualmente Umili.

Esse non
pagano in fama e denaro sonante, si sa, però – lasciatecelo dire – esse
sono le uniche a nutrire lo Spirito Umano con qualcosa che, oltre ad
essere duraturo, non è (in sè) velenoso e deleterio.

E allora,
se questo è vero, ancora di più Vi chiediamo di aiutarci a far si che
queste Ragioni ritrovino e quindi conservino SEMPRE la loro originaria
Dignità, senza mai asservirla a ragionamenti di notorietà o di
“cassetta”.

Noi vogliamo credere che le Ragioni della Verità non finiranno con l’essere solo uno sbiadito epitaffio, malamente scolpito sulle tombe dei “Poveri di Spirito” – anche se loro e solo loro, come è stato scritto da qualche parte usando un linguaggio semplice, immediato e quindi davvero universale, vedranno il Regno dei Cieli…
Amen.

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