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IL BAATH ALLA RISCOSSA, MARINES ALLE CORDE di Maurizio Blondet

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Queste righe che appaiono sull’Independent hanno una qualità che non troviamo sui nostri giornali e TV.
Questi, dell’Iraq, ci mostrano immagini di attentati insensati e stragi enigmatiche, inspiegabili. Invece, il giornale britannico identifica il quadro generale che le atrocità (e i media) oscurano: la guerriglia sunnita è alla riscossa, sta eseguendo un piano strategico e strappando successo dopo successo.
Merito di Patrick Cockburn, l’inviato inglese, straordinario e coraggioso giornalista.
Da Arbil nell’Iraq del nord, scrive vere cronache di guerra, che i nostri media – fors’anche per ignoranza delle realtà militari – non ci raccontano.
La sera scorsa i nostri stupidi TG ci hanno mostrato immagini di un pulmino carbonizzato, raccontandoci che trenta passeggeri di quel pulmino sono stati catturati da armati e portati via. Perché?
Nessuna spiegazione: i musulmani sono belve impazzite, è la conclusione che vogliono farci raggiungere.
Invece Cockburn spiega cosa sta succedendo in realtà: che «i guerriglieri sunniti stanno spingendo fuori gli sciiti» da Mahmoudiya, Balad e Bakuba – che sono tre cittadine-bazar, stazioni di sosta per camionisti e zone di poveri mercatini, poste tutt’e tre lungo importanti vie che portano a Baghdad – per stringere la loro presa sulla capitale.
«Gli sciiti», riferisce Cockburn, «sono fortemente asserragliati nelle loro posizioni dentro Baghdad, ma rischiano la vita quando devono prendere le strade d’uscita».
Il pulmino coi trenta sciiti è stato fermato appunto a Balad.
L’azione è feroce, come ci si deve aspettare da tikriti; spietatamente, sottraggono alle bande sciite l’acqua in cui nuotano, ossia la popolazione generale, svuotando gli abitati col terrore.
Spietato, ma razionale, secondo i dettami classici della guerra partigiana.

A causa di questo vero assedio (di cui nessuno ci parla mai) «in certi quartieri isolati di Baghdad si soffrono gravi carenze alimentari. Le botteghe aprono solo per poche ore al giorno. Gli abitanti vivono da settimane di pane e anguria».
E la capitale stessa, dice Cockburn, benchè controllata dalla milizia sciita dell’armata del Mahdi, è «frammentata in una decina di distretti ostili».
Né si deve dimenticare che a Baghdad sono asserragliati in forze gli americani, che stanno costruendo l’ambasciata più vasta e fortificata del mondo.
Le perdite fra le forze statunitensi si sono impennate (da 353 a gennaio, sono arrivate a 847 in settembre ed hanno certo superato il migliaio ad ottobre) ed ora si capisce perché: non, come dice Dick Cheney, perché la guerriglia ha intensificato gli attacchi allo scopo di influenzare le elezioni americane di medio termine, ma perché la guerriglia è al contrattacco.
La battaglia dei sunniti contro gli sciiti che dura da un mese a Balad avviene proprio alle spalle di una base americana fra le più grandi; da cui si assiste impotenti al massacro.
I Marines, nella loro piazzaforte di Baghdad, sembrano meno degli assediati che degli ostaggi. Delle bande sciite, assediate con loro, ma non per questo necessariamente alleate.
«Si nota una crescente confusione nel ruolo delle forze militari USA», riferisce Cockburn.
La truppa americana, in seguito al sequestro di un loro soldato, aveva messo posti di blocco con barriere di cemento e sacchi di sabbia attorno a Sadr City, bloccando anche i ponti sul Tigri in un tentativo di assedio di questo quartiere sciita di 2,5 milioni di abitanti dove spadroneggia la milizia «del Mahdi» di Muktada al-Sadr: ha dovuto smantellarli per ordine del primo ministro iracheno,
Al-Maliki, che nelle forze sciite ha la sua base e in Muktada al-Sadr un necessario sostenitore.
E quando gli americani agiscono, sembrano perseguire una serie di vendette contro l’armata Mahdi, senza senso tattico, comportandosi come una milizia fra le altre.
Riferisce Cockburn che domenica scorsa due lance USA armate di mitragliere pesanti, dal Tigri, hanno attaccato una posizione sciita a Balad uccidendo 11 persone e ferendone gravemente altre sei (molti mutilati alle gambe), per lo più probabilmente civili.
Sul posto sono arrivati più tardi due pattuglie del cosiddetto esercito regolare iracheno: quasi disarmate, come hanno notato con sgomento gli abitanti.
I soldati iracheni hanno risposto che il comandante americano della base di Taji aveva ingiunto loro di non intervenire e li aveva spogliati dei loro RPG.
Questo comportamento la dice lunga su quanto gli americani si fidino dei «regolari» da loro addestrati, pagati ed armati.
Ma non aiuta certo a rafforzare la solidità dei «regolari» agli occhi della popolazione come difensori non-settarii.

Le cose non vanno meglio per gli occupanti nella provincia di Al-Anbar, dominata dai sunniti. Falluja, la capitale, rasa al suolo dai ferocissimi bombardamenti americani – atti al limite del genocidio – ancora non demorde.
«Le forze multinazionali [USA] e i loro alleati iracheni hanno ammazzato migliaia di persone, e la situazione peggiora di giorno in giorno», ha detto un membro del municipio di Falluja, sunnita collaborazionista: «E noi non possiamo far niente perché gli americani preferiscono sempre soluzioni violente, quelle che hanno portato da un disastro all’altro».
Lucidissima analisi della guerra americanista: il possesso di un volume di fuoco di superiorità schiacciante induce i generali di Washington a credere che ogni problema sia passibile di una soluzione col fuoco.
E’ il corollario del dettato di Bush, «non si tratta coi terroristi»; implica il rifiuto di ogni negoziato all’orientale, usando le autorità locali, e si cerca di superare i guerriglieri in aggressività.
Per contenere gli attacchi sempre più frequenti ed intensi, i Marines hanno di nuovo chiuso con posti di blocco i punti d’entrata a Falluja (tattica suggerita dai consiglieri israeliani, sull’esperienza di Gaza).
Migliaia di abitanti hanno dovuto passare la notte – la festa di fine Ramadan – fuori dalla città e dalle loro case.
La popolarità degli occupanti non migliora.
Dahr Jamail, un altro giornalista coraggioso che lavora per l’Inter Press Service, ha raccontato che ad Eid quattro Humvees americani di un convoglio sono stati distrutti con bombe poste a lato della strada; per la rabbia, alla cieca, i soldati USA hanno ammazzato quattro pompieri iracheni accorsi a spegnere gli incendi.
«Non li hanno uccisi per errore, ma deliberatamente, davanti a molti testimoni», ha detto un giovane del luogo al giornalista.
In serata, Dahr Jamail ha assistito alla sepoltura dei quattro pompieri, insieme ad altri cinque corpi di uccisi dagli americani lo stesso giorno.
Il luogo è un ex campo di calcio, ora ribattezzato Cimitero dei Martiri, e già pieno di fosse.
Tra le centinaia di persone giunte per rendere omaggio alle loro vittime, uno studente, Saif al-Jaburi, ha raccontato che l’università di Al-Anbar a Ramadi, che lui frequenta, è ora sotto controllo degli americani che hanno installato un posto di blocco davanti all’entratra principale.
«Insegnanti e studenti che vogliono entrare devono sollevarsi la camicia a 50 metri di distanza per mostrare di non avere armi, e devono sopportare gli insulti e gli scherni di soldati arroganti che ti palpano prima di ammetterti dentro».
E hanno tolto a Ramadi l’elettricità e l’acqua, come punizione collettiva per l’appoggio che la popolazione dà alla guerriglia.

Anche questa, palesemente, è una tecnica suggerita dagli israeliani.
Ma questa non è la Gaza disperata e disarmata: è la terra dei guerrieri sunniti, da 800 anni abituati al comando sulla maggioranza sciita.
«Piuttosto morire di fame che accettare l’occupazione e i collaborazionisti», ha detto uno studente al giornalista.
«Il sangue dei nostri fratelli martiri non resterà impunito».
E un insegnante di 30 anni, Yassin Hussein: «Chiunque combatte l’occupazione ha il nostro appoggio totale. Ci hanno mentito dal principio alla fine [indicendo «libere elezioni»], ed è ora che ammettano la loro disfatta e se ne vadano. Che vadano a ricostruire New Orleans».
Ogni nuova angheria americana rafforza la volontà di resistere, ed aumenta le reclute della guerriglia.
Acqua e luce sono state tagliate dopo che, due settimane fa, i guerriglieri hanno preso possesso di Ramadi per qualche ora, allestendo posti di blocco, in una prova di forza impressionante.
Dopo, gli americani hanno bombardato quartieri civili, e hanno ucciso diverse persone con franchi tiratori appostati, sia a Ramadi sia a Falluja.
Come risposta, la guerriglia ha riempito la zona di suoi cecchini, che ammazzano in modo mirato, specie poliziotti ed altri collaborazionisti.
Spargendo il terrore.
Tre comandanti della polizia governativa, sunniti nati e cresciuti nella provincia – il generale Hudahiri Abbas già capo della polizia di Falluja, il generale Ahmed Dirii, il generale Shaaban al-Janabi, capo della polizia della provincia, tutti e tre nominati dagli americani – sono stati uccisi negli ultimi due mesi.
I poliziotti sono scappati o non escono dalle loro caserme.
Quest’ultima circostanza conferisce un’agghiacciante credibilità a una circolare in arabo, apparentemente emanata dal partito Baath clandestino e che pare ispirata personalmente da Saddam Hussein, e che contiene una lista di personalità irachene collaborazioniste da assassinare.
Rivelata da Wayne Madsen il 23 ottobre, non ne avevamo parlato perché ci era parso potesse essere un falso.
Ora riteniamo che l’amico Madsen, ancora una volta, abbia dato un'informazione giusta.
Ecco l’inizio della circolare.
L’intestazione, in arabo e scritta a mano, dice:
Unità Martire Qusay [è uno dei figli di Saddam trucidati all’inizio dell’invasione].
Settore di Karkha [Baghdad]
Thi Qar – Quartier generale operativo
Numero /12/221 camerata Saddam Hussein
Data 5/9/2006

Ed ecco il testo: Ai camerati comandanti operazioni speciali.
«Con l’approvazione del camerata vicecombattente, tesoro della nazione, e del comandante supremo delle forze armate [Saddam?], e comunicataci dall’ufficio del tesoro della nazione con dispaccio numero A. 3/312 il 2/9/2006.
Punizione esecutiva di criminali, agenti, apostati di cui seguono i nominativi, e dei loro parenti di primo, secondo e terzo grado. Esecuzione a cura delle vostre unità secondo il piano e a vostra discrezione quanto al momento».
Segue una lista di nomi da liquidare. (3)
Quattro delle persone nominate, e sei loro parenti, sono già stati uccisi.
Saddam dunque impartisce gli ordini dalla detenzione?
In ogni caso, non si può fare a meno di ammirare la qualità bellica della guerriglia sunnita. Sottoposta a bombardamenti atroci e ad assalti di violenza inaudita a Falluja e a Ramadi, sicuramente decimata, certo in condizioni durissime umanamente e logisticamente, continua a combattere con una tenacia straordinaria.
Ha ancora quella che pare un’efficiente catena di comando e una disciplinata organizzazione. (4)
Appare passata all’offensiva.
E conduce attacchi coordinati di notevole lucidità tattica, con un evidente scopo strategico: prendere Baghdad militarmente, farla cadere.
Ovviamente, nel modo spietato tradizionale dei tikriti e di Saddam.
Spietato.
Ma la brutalità americana non sembra minore, solo più inefficace e tatticamente stupida: al punto che le forze USA sembrano aver perso l’iniziativa e reagire ciecamente all’iniziativa avversaria. L’ambasciatore USA Zalmay Khalilzad si è chiuso a Baghad nell’ambasciata fortificata, a fianco delle sedi del «governo» iracheno.
Può uscirne, ma solo in elicottero.
E come dice il giornalista Jamail, «non ha il controllo di nulla: nelle aree sunnite i resistenti tengono fermamente le strade, e le milizie e le squadre della morte controllano il resto del Paese, insieme al grosso mercato del petrolio».
Infatti: altre voci non confermabili dicono che le forniture di petrolio e benzina sono totalmente fuori dal controllo degli occupanti, e nelle mani di fiorenti organizzazioni di contrabbando; e che anzi le forze armate americane, coi loro mezzi di enorme cilindrata, sono a corto di carburanti.
Accade così, quando mediocri generali si trovano di fronte bravi comandanti nemici.
Se è scontro di civiltà, la civiltà bellica non sta certa dalla parte della super-potenza.

Note
1) Patrick Cockburn, «Baghdad is under siege», Independent, 1 novembre 2006.
2) Dahr Jamail, «US military adopts desperate tactics in al-Anbar», Interpress Service, 1 novembre 2006.
3) Ecco la lista, pubblicata da Madsen il 23 ottobre scorso: 1) Abul Aziz Alhakim (H of SCIRI – M. COR); 2) Ammar Alhakim (son of martyr Mohammad Baqir Alhakim and H of Mihrab organization); 3) Hadi Alamiri (H of Badr Brigade); 4) Sadr Aldin Alqabani (Ayatulla Sistani spokesman); 5) Muwaffaq Alrubaie (National Security Minister); 6) Nuri Almaliki (PM);
7) Ali Aladeep (M.COR -Fadilah party); 8) Jalil Aldeen Alsagheer (M.COR- SCIRI); 9) Ibrahim Aljaafri (xPM- H of Da’wa party); 10) Baqir Jabur Solgh (xMOI – MOI, SCIRI); 11) Ahmed Alchalabi (x deputy PM, H of Debaathification commision); 12) Abdulkaram Al’inizi (M.COR – Da’wa party – Iraq); 13; Akrum Alhakim (M.COR – H of reconciliation commission);
14) Muqta Alsadir (H of Sadr Movement – Mahdi Army); 15) Abdulhady Aldaraji (M.COR); 16) Salam Almaliki (M.COR-Sadr Mov); 17) Baha Hussain Alaaraji (M.COR – Sadr Mov); 18) Hazim Gitran Alshalan (?); 19) Hussain Alsharistani (MO Oil – SCIRI); 20) Hameed Majid Musa (M.COR – H of Iraqi Communist party); 21) Abulkarim Almaahood Almuhammadawi (H of Hizbulla – Iraq); 22) Ghazi Ajeel Alyawar (x President of Iraq, Iraq party – M.COR); 23) Entifadh Qanber (Advisor to PM office – M Wafi’s brother); 24) Ayad Allawi (x PM, H of National Accord – M.COR); 25) Rasim ALawwadi (deputy NA – M.COR); 26) Mahmood Almashhadani (National Accord Front – Chair of M.COR); 27) Jalal Altalabani (H of PUK – current President of Iraq).
4) Ciò in contrasto con la milizia sciita «Armata del Mahdi», che dà segni di disgregazione. La milizia, la più potentemente armata, è teoricamente obbediente al giovane imam Muktada al-Sadr, ma questo pare averne perso il controllo: nonostante i suoi appelli, la sua milizia si è impegnata in uno scontro fratricida contro altre bande sciite ad Amara. Come ha riferito il Financial Times, uno dei suoi luogotenenti ha aspramente rimproverato i capi locali per questa indisciplina. «This disobedience to the leadership has divided us and earned us multiple enemies», declared Sheikh Jaber al-Khafaji, the preacher who speaks for Mr Sadr at his family’s mosque in the southern city of Kufa. «If you do not obey, you will regret it. Indeed, I declare that you will be cursed». (FT, 31 ottobre 2006).

(Tratto da www.effedieffe.com)

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