Secondo Tucker, la delegazione americana, folta di politici e di lobbysti, ha fatto di tutto per convincere gli europei a non escludere l’opzione militare contro l’Iran, anzi nel caso a parteciparvi. Robert Zoellick, vice-segretario di Stato, ha sostenuto che mantenere viva la minaccia di un attacco è necessario per indurre gli ayatollah ad abbandonare il loro programma nucleare.
«Sbagliato», gli ha risposto un europeo che Tucker (o i suoi informatori interni) non è stato in grado di identificare: «l’Iran, semplicemente, rifiuta di piegarsi alle vostre minacce. Lasciate perdere l’invasione, risparmiateci un sacco di guai».
William Luti, assistente speciale di Bush per la Difesa, e Richard Perle (l’ex consigliere del Pentagono che progettò l’invasione dell’Iraq) hanno insistito: con le maniere forti, gli Stati Uniti cercano soltanto di impedire la proliferazione delle armi atomiche e di rendere il mondo «più sicuro».
Lo stesso europeo ha replicato: «Come sarà sicuro il mondo se voi attaccate l’Iran, e se l’Iran risponde tirando missili sul vostro alleato Israele? Israele ritorcerà lanciando sull’Iran la bomba atomica, ed ecco la ‘proliferazione’».
Molti hanno ricordato infatti che Israele non ha firmato il trattato di non-proliferazione, e che ha la bomba atomica dal ‘63.
«Non è ragionevole che l’Iran senta il bisogno di una deterrenza verso Israele?», ha chiesto uno ad Eival Gildy, l’israeliano invitato al Bilderberg in quanto capo della coordinazione e strategia del primo ministro d’Israele.
«Se invadete l’Iran, Israele sarà il vostro solo alleato; buona fortuna», ha detto agli americani un altro membro europeo.
Gli europei hanno detto che avrebbero tollerato al più dei «bombardamenti chirurgici» sulle installazioni atomiche, non un’invasione terrestre.
Ma il consenso comune è che i bombardamenti non sarebbero efficaci a bloccare il programma iraniano.
Alla fine, un accordo è stato raggiunto in questi termini: gli europei accettano di mandare 9 o 10 mila uomini sotto l’egida NATO in Afghanistan, ma nessun aiuto per una guerra all’Iran.
Sul petrolio, l’accordo è stato più facile.
Lorsignori pare si siano accordati a mantenerlo agli attuali livelli, sui 70 dollari al barile.
La discussione in proposito è stata molto più concentrata – dato l’interesse di tre potenti personalità petrolifere presenti – David Rockefeller (Exxon), la regina Beatrice d’Olanda (Royal Dutch Shell Oil Company) e Franco Bernabè, capo della Rotschild Europe.
Si è parlato molto e con allarme delle politiche del presidente del Venezuela, Hugo Chavez.
Non solo ha aumentato i prelievi fiscali sull’estrazione del greggio nazionale da parte della compagnie estere, ma sta cercando di costituire un blocco economico-commerciale con i Paesi vicini, il che diverrà un ostacolo all’espansione, progettata ai più alti livelli della finanza, del Nafta (North America Free Trade Agreement), ossia al mercato comune USA-Messico-Canada, che dovrebbe crescere fino a diventare una «Unione Americana» sul modello dell’Unione Europea .
Questo progetto sta procedendo a tappe forzate, e come l’UE, senza controllo dell’opinione pubblica né dei parlamenti.
Nel marzo 2005 Bush, il primo ministro canadese Paul Martin e il presidente messicano Vicente Fox hanno firmato un trattato inteso a rendere totale l’integrazione fra i tre Paesi del Nafta.
Questo trattato – non sottoposto al Congresso USA per la ratifica – ha il nome orwelliano di «Partnership per la pace e la sicurezza» (SPP), e già ci sono almeno una ventina di gruppi di lavoro che hanno prodotto dichiarazioni di intenti fra i tre Paesi su una quantità di temi, dall’immigrazione alle dogane, dall’e-commerce alla politica dell’aviazione.
Non solo nessuno di questi accordi già raggiunti è stato sottoposto al Congresso USA per l’approvazione, ma l’ufficio SPP che opera all’interno del Nafta non ha pubblicato nulla, nemmeno sul sito internet.
Un vero e proprio segreto.
Giustificato, secondo la direttrice del SPP Geri Word, dalla necessità «che i gruppi di lavoro non vengano distratti dal contatto con il pubblico».
Il segreto non ha nulla di strano, sapendo che questa nascente Unione Americana (che col tempo dovrebbe inglobare altri stati dell’America Latina) è un progetto elaborato dal Council on Foreign Relations: ossia il capostipite delle lobby degli affari, quello da cui è emanato lo stesso Bilderberg e la Commissione Trilaterale (un Bilderberg che comprende anche i miliardari del Giappone).
Il Council on Foreign Relations detta le grandi politiche dei governi USA dal 1918, quando fu fondato dai Rockefeller.
Dal Council on Foreign Relations sono usciti personaggi come Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinsky e Samuel Huntington, il teorico dello «scontro di civiltà».
(Tratto da www.effedieffe.com)