Di fronte alla precarietà dell’esistenza, l’uomo ha sempre cercato i modi per vivere felicemente, in sicurezza e in pace, per trovare la propria realizzazione e la giusta convivenza, e nella sua insopprimibile sete di significati e bisogno di senso, da sempre si è posto delle domande che abbiamo chiamato “esistenziali” perché sono proprio alla radice dell’esistenza. Le culture e gli individui soprattutto nei momenti critici o di dolore si interrogano sul senso di sé, della propria presenza e permanenza, del proprio cammino anche in rapporto con gli altri, con la natura e con il mondo. […] Potremo valutare il pensiero di un’altra cultura con totale indifferenza (senza cercare alcuna trasformazione), con curiosità esotica (come un turista), con comparazione pregiudiziale (partendo dal pregiudizio della nostra superiorità) con esterofilia (il contrario), con spirito hegeliano (avendo di mira il proprio punto di vista come risolutivo), multiculturale (comparazione illusoriamente oggettiva di culture come tanti oggetti da avvicinare in modo sinottico), con una comparazione universalistica “a priori” (come in presenza di un “quid di religioso” presente in ogni uomo per fondare una philosophia perennis o una religione universale), o “a posteriori” (ricavando categorie uniche dopo il confronto); e allora cosa fare? […] Nella nostra cultura le soluzioni si trovano nelle risposte “vere”, salvo poi accorgersi nel tempo di quanto fragile possa essere la “Verità” o di quanto possa andare in rotta di collisione con altre “Verità”…
Il bisogno di verità sembra semplice, logico, inconfutabile nella nostra civiltà che è figlia del pensiero greco, giudaico-cristiano, scientifico che col suo linguaggio uniforme elabora definizioni, astrazioni, idee e soprattutto princìpi primi “veri”, muovendo dai quali si può ottenere una coerente interpretazione della realtà, una corretta conoscenza, un comportamento giusto e morale. Il linguaggio greco e latino, che hanno grammaticalmente il caso neutro, possono definire “il bello” come categoria astratta partendo da una cosa concreta bella, così l’autorità di Parmenide, Platone e Aristotele ha potuto fissare le fondamentali categorie di “essere”, “idea” e “sostanza” dove solo ciò che permane “è” ed è “vero e buono” in una coerente linea ontologica, logica e morale. Con Cartesio, Galileo e la scienza moderna, il mondo che ci circonda, fatto di elementi da studiare e conoscere in termini oggettivi e matematici, diventa ancora più separato e lontano dalla nostra soggettività, salvo poi far emergere un bisogno disperato di affermare la soggettività stessa. Tutto tende a separarsi sempre più in dualizzazioni sostanzialistiche, in una visione meccanicistica dell’uomo stesso, e il vessillo della verità sembra poter essere issato solo dalla scienza. In Cina invece la domanda fondamentale è: “Dov’è la via?” e il quesito è trasferito su un piano pratico, in termini di possibilità di azione efficace per affrontare i problemi dell’esistenza. La difficoltà della vita è un dato incontrovertibile in ogni tempo e in ogni luogo, in un sovrapporsi continuo di problemi legati alla fragilità della condizione umana, alla salute, alla convivenza sociale, alle relazioni interpersonali, fino all’irrompere del dolore, della morte. L’interpretazione cinese chiede di sforzarci per trovare risposte efficaci “qui e ora”, immediatamente operative e di non affannarci in speculazioni che ci porterebbero lontano da questa vita, poiché questo è il momento che ci è dato di vivere. Non c’è un approccio metafisico per stabilire dei princìpi primi che interpretino preliminarmente la realtà e dirigano poi l’azione; piuttosto il dato di partenza è esperienziale, l’opzione è immediatamente etica e pratica: osservo e cerco di capire le cose attorno a me in funzione di una possibilità di agire, prima il “saper fare” rispetto al “saper cosa”. La “Via” (che si traduce Tao) è dinamica, il suo senso è nel cammino, mentre la “Verità” tende a rendersi statica e il suo senso è nella meta che essa incarna.
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Lettura consigliata:
"Budo Esoterico" di Roberto Daniel Villalba
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Quest’opera, unica nel suo genere, riempie il senso di vuoto che accomuna i molti amanti delle Arti Marziali, poiché svela il messaggio originario che i saggi orientali hanno lasciato a noi cittadini della globalizzazione: il Bu-do 武道, la Via alternativa all’incalzante processo di disumanizzazione in corso. Tale messaggio è volutamente travisato dal Sistema consumistico, per cui la stragrande maggioranza dei praticanti – esperti compresi – non ne è a conoscenza. L’arte del Bu-do affonda le sue radici nelle filosofie orientali del taoismo e del buddhismo. La sua pratica inizia dal corpo (wai-kong: lavoro esterno) per poi equilibrare e potenziare la mente (nei-kong: lavoro interno) cosicché, agendo insieme, essi possano ridestare nell’umano la percezione del divino (shen-kong: lavoro spirituale). L’uomo d’oggi, costretto ad una lotta impari contro materialismo e scientismo dilaganti, troverà giovamento nel rimettersi in marcia sulla strada meno battuta, l’ormai dimenticata Via interiore.