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Il caso della USS Liberty e il terzo livello di verità

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Capita spesso, nelle questioni di portata internazionale, che esistano molteplici livelli di “verità”. C’è quella “alla luce del sole”, ovvero la verità apparente, che viene riportata dai media ed è destinata a diventare la versione ufficiale dei fatti. C’è poi quasi sempre un secondo strato, che nasconde una verità molto meno piacevole, ma anche molto più logica e più realistica. E’ un tipo di verità che di solito si arriva solo ad intuire, senza poterla dimostrare, ma è sempre molto sensata. Ci sono però anche casi in cui questa “verità nascosta” viene lasciata trapelare intenzionalmente, per dare l’illusione di aver scoperto un grande segreto, mentre in realtà si vuole coprire un terzo livello di verità, molto più imbarazzante ed inammissibile dei precedenti.

Un buon indizio per capire che siamo in presenza di questo terzo livello è la improvvisa disponibilità dei diretti interessati ad ammettere errori che normalmente non ammetterebbero nemmeno sotto tortura. Se FBI e CIA diventano improvvisamente disponibili ad ammettere che sull’11 settembre “non siamo stati in grado di connettere le informazioni”, vuol dire che questo gli serve per coprire qualcosa di molto più grave, come ad esempio un loro diretto coinvolgimento negli attentati di quel giorno. (Un indizio aggiuntivo sull’esistenza di questo terzo livello è il fatto che, mentre si cospargono il capo di cenere, queste organizzazioni si dimenticano regolarmente di punire i responsabili dei presunti errori).

Veniamo ora al caso in questione: il bombardamento, o mancato affondamento, della USS Liberty in acque internazionali, avvenuto nel Mediterraneo nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni. Si tratta di un caso già poco conosciuto in sé, che sembra nascondere a sua volta molteplici livelli di verità.
Nel mese di maggio del 1967 la tensione in Medio Oriente era arrivata a toccare livelli estremi, e si era letteralmente sull’orlo di una guerra atomica a tutto campo. L’Egitto di Nasser, sostenuto apertamente dai sovietici, stava baldanzosamente trasferendo soldati e mezzi militari nella penisola del Sinai, in preparazione di un probabile attacco ad Israele. A sua volta l’esercito israeliano, appoggiatio dagli americani, si preparava a contrattaccare al primo segno di ostilità.

Ai primi di giugno il capo dei servizi israeliani, Meir Amit, si recò a Washington per incontrarsi con l’allora ministro dela difesa americano, Robert McNamara. Voleva sapere – racconta Amit – se gli americani avrebbero appoggiato militarmente Israele, nel caso che questi avesse attaccato l’Egitto per primo. Secondo Amit McNamara gli diede luce verde, mentre l’ex-ministro della difesa americano ha raccontato di aver negato quell’appoggio, perchè – disse – un intervento accanto ad Israele, che avrebbe probabilmente causato l’entrata in guerra dei russi, sarebbe stato giustificabile di fronte all’opinione pubblica solo se fosse stato l’Egitto ad attaccare per primo.

Sta di fatto che alcuni giorni dopo, senza alcun preavviso, l’aviazione israeliana attaccò e distrusse in poche ore quasi tutta l’aviazione militare egiziana, parcheggiata in gran parte a cielo aperto. Iniziava così la famosa “guerra lampo” di Moshe Dayan, che avrebbe portato Israele alla conquista del Sinai, di Gerusalemme e delle alture del Golan.
Due giorni dopo l’inizio delle ostilità la USS Liberty, una nave-spia americana equipaggiata per l’ascolto segreto delle radiofrequenze – sia amiche che nemiche – si trovava in acque internazionali, al largo del Sinai. Era il 7 di giugno.
Dopo che i caccia israeliani l’ebbero sorvolata più di una volta, i marinai della USS Liberty si sentirono al sicuro – dissero – sapendo che si trattava di aerei alleati. Con loro grande sorpresa invece videro, alla decima o dodicesima incursione, dei lampi rossi sotto le ali dei caccia, che avevano appena lanciato dei razzi in direzione della nave.

Questa volta però i caccia non portavano segni di alcun tipo, mentre mitragliavano e bombardavano con insistenza il ponte, distruggendo prima di tutto le apparecchiature di trasmissione radio. Subito dopo ritornarono, per coprire da prua a poppa il ponte con bombe al napalm, nel chiaro intento di impedire a chiunque di tornare in coperta per riparare le antenne trasmittenti.

Talmente rapido e sorprendente era stato l’attacco, infatti, che la USS Liberty non aveva fatto nemmeno in tempo a lanciare l’S.O.S. Priva di scorta militare, galleggiava ora come un bersaglio immobile, isolata dal mondo, alla completa mercè dei caccia che la mitragliavano e bombardavano impietosamente. La nave americana più vicina era la portaerei USS America, che si trovava in quel momento con la VI Flotta a circa 500 miglia di distanza, nelle vicinanze di Cipro.
Mentre i marinai della Liberty cercavano di capire chi e perchè li stesse attaccando, alcuni di loro avevano coraggiosamente sfidato le mitragliatrici e il napalm, ed erano riusciti a riparare una delle antenne trasmittenti, permettendo così al marconista di lanciare finalmente l’ S.O.S, che fu raccolto dalla VI Flotta.
Nel frattempo erano morti 8 marinai, e 75 erano rimasti feriti. Ma il peggio doveva ancora iniziare: dopo un breve periodo di calma apparente, fu diffuso via altoparlante l’annuncio che cinque siluri erano stati lanciati contro la nave da alcune motovedette in avvicinamento.

Tutti quelli che si trovavano ai livelli più bassi della nave si prepararono a morire. I primi quattro siluri passarono senza colpire la Liberty, ma il quinto penetrò la fiancata proprio al livello di galleggiamento, uccidendo sul colpo 26 marinai che si trovavano nelle vicinanze. Con uno squarcio di circa 12 metri, la nave iniziò a imbarcare molta acqua, e prese in pochi minuti oltre dieci gradi di inclinazione.
I marinai sani trascinarono sul ponte i feriti, preparandosi ad abbandonare la nave per salire sulle scialuppe di salvataggio, ma si accorsero che non appena le mettevano in acqua queste venivano mitragliate e rese inservibili dalle motovedette.
Era chiaro che l’intento fosse quello di affondare la nave e di non lasciare nessun superstite. 

Nel frattempo il mondo, ignaro, stava andando incontro alla guerra atomica: appena ricevuto notizia dell’attacco alla Liberty, il Comandante della VI Flotta, William Martin, aveva lanciato verso il Cairo 4 caccia in “Condition November”, che significa armati di bombe atomiche. Pensando che la Liberty fosse stata attaccata dagli egiziani, Martin aveva attuato la procedura automatica di risposta, mentre attendeva da Washington la conferma dell’ordine di distruggere la capitale egiziana.

Il console americano al Cairo veniva informato che la città stava per essere polverizzata, ma da Washington giungeva invece l’ordine di McNamara di richiamare immediatamente i caccia. Incredulo, il Comandante della VI Flotta li faceva rientrare, ma ne rilanciava subito il doppio, in normale assetto da bombardamento.
Nuovamente interveniva McNamara, ordinandogli di richiamare anche quelli. Ma William Martin non ne voleva sapere: una sua nave era stata attaccata, e ora lui aveva il diritto di distruggere il mondo. Dovette venire al telefono Johnson in persona, per ordinargli di far rientrare anche i normali bombardieri.
Nonostante i danni subiti, la USS Liberty riuscì a rimanere a galla. Fu raggiunta il mattino dopo dalle navi della VI Flotta e fu trainata fino a Malta, dove fu rimessa in sesto e rimandata a casa.

Una volta sbarcati negli Stati Uniti, i superstiti della USS Liberty pensavano di raccontare al mondo intero la loro incredibile avventura. Ricevettoro invece l’ordine tassativo di non parlare mai con nessuno di quello che era successo a bordo, nemmeno con le loro mogli. Il pesante velo di silenzio che ha coperto il bombardamento della Liberty dura ufficialmente ancora oggi.
Ma una volta lasciato l’esercito, gli ex-marinai della Liberty hanno cominciato a parlare. Uno di loro ha anche scritto un libro, che pur non trovando nessun editore importante, circola ora liberamente in Internet. Nel frattempo sono stati anche prodotti alcuni documentari sull’episodio, che raccolgono le testimonianze di molti dei superstiti. Fra questi il più completo è sicuramente il documentario della BBC intitolato “Dead in the Water”.

Da tutto questo materiale si desume con certezza quanto segue:

  • I caccia che hanno attaccato la Liberty erano israeliani (non solo avevano l’ala a delta, come i Mirage francesi in dotazione di Israele, ma a quel punto della guerra l’Egitto non aveva più assolutamente nulla che fosse in grado di volare).
  • I piloti israeliani sapevano bene che la nave che bombardavano fosse americana. Una stazione di ascolto volante registrò diverse conversazioni, fra i piloti israeliani ed il comando a terra, da cui questo si evince con chiarezza.
  • Anche le motovedette che prima lanciarono i siluri e poi mitragliarono le scialuppe messe in acqua erano israeliane.

Messi di fronte al questa serie di fatti accertati Israele ha finito per riconoscere, anche se non ufficialmente, che si trattò di un errore.

Gli americani, sempre in via non ufficiale, sostengono a loro volta di non aver denunciato pubblicamente l’attacco “per non mettere in imbarazzo i loro alleati”.
Nel corso degli anni Israele ha pagato quasi 7 milioni di dollari di ricompensa ai familiari delle vittime, riconoscendo così, almeno implicitamente, la propria colpevolezza.
La maggior parte delle persone ha quindi dedotto che la Liberty stesse spiando le radiocomunicazioni israeliane, e che Israele “li abbia puniti” bombardandogli la nave. E’ chiaro infatti che i primi non riconoscerebbero mai ufficialmente di aver spiato un alleato, mentre il secondo non riconoscerebbe mai ufficialmente di averli puniti in modo così severo per averlo fatto.
Da qui la necessità di fingere un banale “errore” da un lato, e di non volerli imbarazzare per quell’errore dall’altro.

La facilità con cui americani e israeliani sono parsi disposti ad avallare la tesi dell’errore sembra però nascondere il famoso “terzo strato” di cui parlavamo all’inizio.
Quale sarebbe, in questo caso, la “verità vera”, quella indicibile, impensabile ed impronunciabile di fronte a chiunque?

Si chiama “Operation Cyanide”, cioè Operazione Cianuro, un nome che è già tutto un programma.
Secondo Peter Hounam, autore dell’omonimo libro, e secondo gli stessi autori del documentario della BBC, l’ “Operazione Cianuro” prevedeva l’affondamento della Liberty, da attribuire naturalmente agli egiziani, per offrire una scusa agli Stati Uniti di entrare in guerra accanto ad Israele.
Per chi conosce certe abitudini degli americani, che da oltre 100 anni riescono solo a farsi affondare navi per entrare nelle varie guerre a cui hanno partecipato, questa risulta addirittura una ovvietà che non necessita di ulteriori dimostrazioni: il solito “giorno dell’infamia” da denunciare al mondo, la solita “indignazione nazionale”, portata dai media al giusto punto di cottura, ed il Congresso americano è pronto a firmare per il presidente l’autorizzazione all’ “uso della forza”, che gli serve per difendere i propri connazionali.

In fondo, erano passati solo tre anni dal “mancato affondamento” della USS Maddox nel Golfo del Tonchino, proprio da parte di alcune motovedette nordvietnamite, in seguito al quale gli Stati Uniti si erano trovati a "dover entrare in guerra" contro il Viet-Nam del Nord.
Si sarebbe quindi trattato di un facile remake del Tonchino, che questa volta però finì male: una volta accortisi che la Liberty non era affondata, e che quindi i suoi marinai avrebbero potuto raccontare chi e come li avesse attaccati, Tel Aviv avrebbe ripiegato sulla versione del semplice errore, e Washington l’avrebbe prontamente accettata.
Curiosamente, gli israeliani si sono completamente dimenticati di punire anche un solo responsabile per la “clamorosa serie di errori” che portò, secondo loro, al bombardamento della USS Liberty. Come da manuale.

Resta da chiarire a questo punto chi e quali livelli, fra le alte gerarchie dei due paesi, fossero al corrente fin dall’inizio dell’Operazione Cianuro, e chi invece fosse destinato a restarne vittima, venendone semplicemente usato. L’ipotesi più diffusa è che si sia trattato di una operazione concepita dagli israeliani – erano loro ad avere il maggiore interesse nel coinvolgere gli americani nella guerra – di cui erano al corrente solo alcuni personaggi isolati della CIA e del Pentagono.
Insomma, saremmo di fronte al solito intreccio trasversale fra sionisti sfegatati e guerrafondai incurabili, che abbiamo visto nuovamente in azione – con risultati questa volta molto più clamorosi – anche nel nuovo millennio.

Fonte: luogocomune.net

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