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Il collasso dell’Occidente e la fine del Petroldollaro

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L’Occidente collettivo è giunto alla fine di un ciclo di indebitamento. Esso è riuscito a rimandare sinora il redde rationem della Storia emettendo forzosamente moneta, e facendo pagare ad altri il costo dell’inflazione che veniva occultata.
Dalla fine di Bretton Woods ad oggi, il tetto del debito USA è stato innalzato circa 80 volte, permettendo agli Stati Uniti di emettere titolo di Stato in deficit. Le crisi cicliche causate dalla finanza cancerogena venivano sistematicamente tamponate con altra benzina sul fuoco: emissione di altra moneta immaginaria, è quanto è successo ad esempio per salvare l’economia mondiale dopo la crisi del 2007-2008.
La vera ragione dei lockdown e della “pandemia”, come avevamo spiegato in Operazione Corona, era di congelare l’economia nella speranza che una super-immissione di massa monetaria tamponasse l’ennesima crisi speculativa strutturale, senza però far schizzare alle stelle l’inflazione. Il vero “Reset”, quello pragmatico e realistico, al di là delle mirabolanti quanto funeste ingegnerie sociali dei sociopatici di Davos, era e doveva essere questo. Quanto ha funzionato si è visto, già con la fine dei lockdown, e poi con la guerra in Ucraina, abbiamo un’inflazione a due cifre[1]: la fine del monetarismo deflattivo portato avanti come dottrina politico-economica per decenni.
Ora L’Occidente non può uscire senza pagare il conto (apertis verbis: una crisi economica devastante) dal suo ciclo ipertrofico di indebitamento. Questo perché è mutata la geometria geopolitica che presupponeva una tale persistenza. Finora l’inflazione è stata evitata in tutto L’Occidente Collettivo (Euro + Dollaro, e in parte lo Yen giapponese) grazie al “privilegio del Dollaro”, la fortunata condizione di essere cioè valuta di riserva mondiale indispensabile agli scambi soprattutto di materie prime energetiche. Tale privilegio permetteva di assorbire l’inflazione della divisa statunitense rendendo sempre alta la sua domanda, in quanto appetibile come riserva di valore presso tutte le principali Banche centrali, e come moneta di scambio necessaria per la contrattazione e le transazioni internazionali di idrocarburi.
Il Privilegio del Dollaro ha permesso al Tesoro americano di sostenere indefinitamente l’espansione economica degli Stati Uniti e al consumatore medio americano di avere un alto potere d’acquisto, forzosamente ottenuto potremmo dire, che ha permesso agli americani di vivere in un altissimo tenore di vita, comprando a buon mercato il lavoro – e le risorse – del Sud globale in particolare, di quei Paesi emergenti, già colonizzati, poi neo-colonizzati, che ora stanno vedendo la possibilità di uscire da una condizione di servaggio economico garantito dagli organismi finanziari internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che hanno sede a Washington e sono nati, in seguito agli accordi di Bretton Woods, per garantire il monopolio anglosassone sull’economia mondiale. È fuori discussione che tale sistema sia stato, essenzialmente un sistema predatorio, che scambiava asset reali, come oro, e petrolio, e soprattutto manodopera a basso costo, con una moneta fiat, imposta essenzialmente manu militari.
È infatti innegabile che il vero elemento di accreditamento del dollaro, ciò che rende la moneta tale, cioè l’accettazione generale come merce di scambio, soprattutto in un contesto interstatale, non è la semplice “solidità” dell’economia USA, ma il suo potere di ingerenza geopolitica e il ricatto militare. In un certo senso non è stato il potenziale economico e industriale degli USA a giustificare il mantenimento del petroldollaro come riserva di valore e merce di scambio internazionale, ma la minaccia della distruzione armata, o della destabilizzazione politica, o un combinato di entrambi, a garantire che la maggior parte degli Stati, e quasi tutti quelli dell’OPEC in particolare, scambiassero in dollari. In un certo senso è il potere degli USA come superpotenza militare globale a garantire le condizioni che hanno permesso di drenare risorse, frenare lo sviluppo di altri Paesi e garantire il mantenimento, in ultima istanza dell’economia statunitense e, di riflesso, occidentale, piuttosto che il contrario. La destabilizzazione e la fine di ogni tentativo di svincolarsi dal sistema di indebitamente neocoloniale ed aspirare a una maggiore sovranità compresa quella monetaria, da Gheddafi alla recente Guerra Siriana, sono una dimostrazione di quanto fosse pericoloso per uno Stato nazionale tentare di sottrarsi al cosiddetto “Ordine mondiale basato su regole” caro agli USA…
Da questo punto di vista possiamo dire che siamo davvero alla fine di un ciclo storico: le condizioni geopolitiche che dalla fine della Guerra Fredda hanno consentito il perpetuarsi di questo stato di cose, ora si sono rapidamente modificate, in particolare a partire dal lancio dell’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina, operazione peraltro a cui la Russia è stata “obbligata” dallo stesso Occidente, e non più procrastinabile[2].
In realtà la campagna di sanzioni, la vera arma asimmetrica occidentale contro la Russia, si è rivelata spuntata se non addirittura controproducente. Ciò in parte era prevedibile per varie ragioni, in particolare la Russia ha suscitato la simpatia di tutte le potenze emergenti che di fatto costituiscono i 7/8 della popolazione mondiale contrapposta al “Miliardo d’Oro” delle economie occidentali. Questo non per ragioni di antipatia verso l’Ucraina ma perché i Paesi ex coloniali, e le loro classi dirigenti conoscono bene l’aggressività e i metodi di ingerenza anglo-americana, e una serie di congiunture, in parte anche studiate per tempo, hanno permesso un’ampia convergenze verso le potenze leader della “Resistenza”. Il risultato delle illegali sanzioni americane/occidentali contro la Russia (compreso il sequestro illegale di capitali russi, violazione del principio di proprietà sbandierato come sacrosanto dalla civiltà occidentale), sanzioni a cui la Russia si è preparata sin dal 2014, è che l’economia russa è riuscita a diventare la decima economia del Pianeta, ad aumentare il suo export energetico e la bilancia commerciale, e a vedere più che raddoppiato il valore del Rublo sull’Euro[3].
Non solo la Russia è riuscita a mantenere le sue esportazioni di petrolio, gas naturale, grano e fertilizzanti in tutto il Mondo, magari sostituendo i Paesi occidentali con altri mercati, ma è riuscita ad imporre che il gas russo fosse acquistabile solo in rubli, facendo aumentare la richiesta della valuta russa e di fatto sostenendola. Da una parte la Russia è troppo “grande” economicamente per essere accerchiata. Ma d’altra parte è pure importante capire la base anticoloniale e anti-imperialista che ha costituito il fondamento di un consenso generalizzato da parte di potenze emergenti come l’India, la Cina, e di una lunga lista di Stati del Sul globale che hanno semplicemente rifiutato di “isolare” la Russia.
E così, al tempo stesso, l’Arabia Saudita, storico alleato degli anglo-americani e principale Paese OPEC, ha rifiutato la richiesta statunitense di aumentare le estrazioni di greggio per far abbassare i prezzi, avere più carburanti a buon mercato per mandare avanti l’inutile macchina bellica ucraina, e sperare di far crollare le entrate commerciali dello Stato russo[4]. Dopo questa prima sconfitta USA, ne è seguita un’altra, ben più strategica: i Sauditi, seguiti dalle altre petromonarchie del Golfo, hanno accettato una partnership strategica con Pechino, che, oltre a cospicui investimenti nel settore, prevede di esportare petrolio in Yuan.
https://media.thecradle.co/wp-content/uploads/2022/12/Chinas-Xi-and-the-GCC-countries.jpg
Così anche Cina e India, e Russia e India, nonché, ça va sans dire, Cina e Russia i cui scambi reciproci sono aumentati in modo sostanziale, stanno scambiando direttamente in valute nazionali. Ovviamente anche il sistema di compensazione interbancario alternativo a quello SWIFT dell’Occidente, comincia ad essere implementato. Il giornalista e analista politico brasiliano Pepe Escobar ha documentato ed esaminato con attenzione questi processi in rapido sviluppo dal suo sito The Cradle, che vi segnalo. Eventi che difficilmente potranno essere reversibili. Aggiungere che in contemporanea la base di Paesi che hanno fatto domanda di ingresso nei BRICS è aumentato nel 2022, includendo Algeria, Egitto, Iran, Argentina, Arabia Saudita, Indonesia, Turchia, Nigeria, non può che esplicitare meglio la portata dei cambiamenti in atto[5].
E mentre la base internazionale che ha sostenuto il debito pubblico USA e il Dollaro si erode in modo sostanziale, un’altra enorme difficoltà strutturale presenta il conto al fragile Occidente e al suo dominio, proprio quando il suo ciclo di indebitamento è arrivato al termine esaurendo la possibilità di rifinanziarsi a inflazione zero.
Le scelte ideologiche della classe dominante in Occidente, un complesso di idee che affonda le proprie radici nel malthusianesimo e nel positivismo anglosassone del XIX secolo e che hanno plasmato e orientato, il Club di Roma (1968), il World Economic Forum (1971), il Club Bilderberg e altre centrali, in una fitta rete che Matthew Ehret ha recentemente documentato in un brillante saggio, Le Origini del Deep State in Nord America, hanno avviato lo stesso Occidente su una strada che è intrinsecamente anti-industriale e, in ultima istanza, anti-economica.
Digitalizzazione, finanziarizzazione dell’economia e sviluppo del “Green”, in tutte le sue più estreme e ideologiche declinazioni, temi di punta di tutti i programmi occidentali, dall’Agenda 2030, al Great Reset o “Quarta Rivoluzione Industriale” degli scritti di K. Schwab, sono le linee su cui USA e UE, nonché i Five Eyes e in parte anche il Giappone, e la Corea del Sud, hanno sviluppato gli investimenti, impedendo di fatto un rientro degli ultimi capitali disponibili verso l’economia reale o economia fisica.
Tale situazione è esattamente l’opposto di quanto hanno deciso di fare i BRICS e soprattutto i Paesi che si sono organizzati attorno alla Shanghai Cooperation Organization e all’Unione Economica Eurasiatica, come vedremo.
Il geniale e ribelle economista e statista statunitense Lyndon LaRouche (1922-2019), inascoltato, aveva previsto il collasso e il crollo dell’economia occidentale, avviata dai maghi neri del peggiore capitalismo finanziario su binari suicidi.
LaRouche ammoniva già trent’anni fa sui pericoli dell’andamento qui delineato dalla tripla curva che mostra il progressivo divario, fra l’economia finanziaria (aggregati monetari e finanziari) e il crescente disinvestimento nell’economia reale mondiale (in realtà ormai, occidentale).
Questo divario era già preoccupante trent’anni fa. Si sarebbe potuto ancora invertire la deriva trasformando gli aggregati finanziari in eccesso nel settore reale, in veri e propri progetti di investimento industriale, ricerca e sviluppo a lungo termine. Ora quel divario è diventato, per l’Occidente collettivo, un abisso gigantesco. Oggi è impossibile trasformare quadrilioni di dollari di bolle finanziarie in investimenti nel mondo dell’economia reale. Semplicemente non ci sono meccanismi per farlo. Non solo non è stato fatto nulla in tal senso ma LaRouche, odiato dall’oligarchia anglo-americana è stato ostracizzato in tutti i modi, e in effetti, perseguitato…
Il combinato dei due fattori sopra esposti: 1) mutate condizioni geopolitiche, con decine di Paesi disposti, a quanto pare, in modo consapevole e coordinato, a cogliere l’occasione di scrollarsi per sempre di dosso il giogo neo-coloniale, facendo collassare il Privilegio del Dollaro che ha permesso sinora all’economia occidentale di sopravvivere al suo sovraindebitamento, e 2) la distruzione del sistema di economia fisica in favore della finanza e della deindustrializzazione (processo che ha visto l’Occidente perdente rispetto al controllo delle catene di valore e in parte anche di quelle di approvvigionamento, come ha evidenziato la carenza di materiale bellico pro-Ucraina da parte dei Paesi della NATO, non in grado di sostenere una produzione da tempo di guerra[6]), sono dei processi “macro” in grado, molto probabilmente di accelerare il crollo del dominio e della presa anglo-americana-occidentale sul resto del Mondo, cioè sui 7/8 della popolazione mondiale.
Possiamo aggiungere che, per contro, le potenze emergenti BRICS/SCO hanno in realtà seguito le idee e le indicazioni di Lyndon LaRouche, che sono state prese seriamente e recepite in modo concreto negli anni in cui gli eventi in corso oggi sono stati programmati dalle classi dirigenti più sagge dei Paesi che ora cercano di riguadagnare una base solida e non minacciabile per la propria sovranità. La stessa Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta cinese, parte dai precisi progetti e proposte di LaRouche per lo sviluppo infrastrutturale dell’Eurasia. Si tratta in effetti dell’unica via di uscita per invertire la morte entropica dell’economia e la deindustrializzazone caldeggiata dalle élites occidentali. Tale strada avvia un circolo virtuoso di reinvestimento nell’economia reale, nella crescita e nello sviluppo, degli aggregati finanziarsi. Si tratta di una crescita che ha anche un fine molto umano e diretto: migliorare le condizioni di vita della popolazione, in particolare di quella di aree ex povere o anche sottosviluppate. Anche l’economista russo Sergey Glaziev, la cui visione monetaria sta guidando il progetto per una valuta di scambio internazionale ancorata a controvalori materiali – che servirà i Paesi dell’Unione Economica Eurasiatica/SCO ed eventualmente tutti coloro che vorranno aderire al mondo multipolare in formazione – ha esplicitato di recente il suo debito di riconoscenza verso i programmi di LaRouche.
Quanto grande sarà il boato associato al collasso dell’Occidente, quanto grandi gli effetti collaterali e le ricadute, le sofferenze per la popolazione (a tacere dello sfacelo morale dell’Occidente), nonché i tempi di questo processo, non è facile in termini “umani” prevederlo. Né è facile intercettare segnali di una ripresa di sovranità, dignità e consapevolezza nelle masse occidentali, una ribellione verso le sue classi compradore colpevolmente legate a chi a causato e disposto questi disastri. Né è rassicurante pensare che tutti questi cambiamenti, potenzialmente positivi, malgrado tutto, e forieri in teoria di un mondo più giusto, non siano contrastati dai pericolosi colpi di coda di un drago agonizzate. Lo scenario di un confronto militare fra Russia e Cina da una parte e NATO/Aukus dall’altro, compreso il possibile sviluppo verso un conflitto termonucleare, ancorché irragionevole, resta una minaccia possibile, l’estremo tentativo di salvare un supremazia ormai morente.
Nell’ultimo discorso al Forum di Valdai (2022) il Presidente Putin ha lasciato intendere che la Russia si è posta alla testa di un’insurrezione mondiale di Paesi desiderosi di vivere in un ecosistema di diritto internazionale più democratico, non egemonico e non imperiale, perché:  “La vocazione storica della Russia e del suo popolo è quella di arrestare tutti coloro che aspirano al dominio mondiale”. Questa presa di coscienza, mai così potentemente esplicitata nella Storia, può delineare la fase finale di uno scontro fra forze e “visioni” che da molto tempo si sono contrapposte, nel cosiddetto Great Game, ma anche nella lotta di tutti i popoli contro le dinamiche neo imperialiste, che negli ultimi secoli sono state soprattutto quelle dell’Impero britannico…
Quasi nello stesso periodo, avviando i lavori per il 20° Congresso del Partito Comunista Cinese, in cui ha dimostrato di “drenare la palude” allontanando l’ex Presidente Hu JiGradtao, rappresentante della corrente della “lega della gioventù” storicamente responsabile dei processi di globalizzazione e occidentalizzazione della Cina, il Presidente Xi Jinping ha avvisato che i prossimi cinque anni vedranno più cambiamenti di quanti ne abbiamo visti nell’ultimo secolo…[7]
Benvenuti nei turbolenti Anni ’20!
Matteo Martini 
Note:
Aggiungiamo che queste cifre potrebbero essere interpretate come abbastanza “addomesticate” e quindi ottimistiche. Uno dei principali “trucchi” degli economisti politici in tal senso è quello di confondere i due concetti, contigui ma non sovrapponibili di inflazione e indice dei prezzi al consumo. Un altro è, semplicemente, quello di agire sui parametri convenzionali che definiscono questi indici, modificandoli o adattandoli alla bisogna. Un altro ancora è quello di ritardare l’emissione dei dati reali.
[2] Anche l’affidabilità dell’adesione occidentale agli “accordi di Minsk” è una conferma di quanto fosse in malafede la leadership dell’Occidente collettivo https://www.farodiroma.it/per-angela-merkel-gli-accordi-di-minsk-furono-un-tentativo-di-dare-tempo-allucraina-a-puccio/
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