Robert Spaemann e Josef Seifert, due filosofi cattolici, amici e collaboratori di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, demoliscono l’Amoris laetitia (e il pensiero) di Bergoglio. Il cardinale Mueller definisce “eretica” l’affermazione di “uno dei più stretti consiglieri” di Bergoglio.
Mentre il catto-conservatore americano George Weigel, che sta con Bergoglio, se la prende con Benedetto XVI perché è ancora “papa emerito”, mentre – secondo lui – doveva tornare semplicemente vescovo.
Sono fatti di questi giorni. Nella Chiesa è in corso un terremoto. Ma per capirlo bisogna partire dagli antefatti.
ACCADDE NEL 2013
Non era mai accaduto, in 2000 anni, che un papa iniziasse il suo pontificato dicendo:
“Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi”.
Per un curioso caso proprio quel papa, senza alcun grosso motivo dichiarato, poi “rinuncia” al ministero (il diritto canonico lo ammette, ma per gravissimi motivi).
Tuttavia decide – primo nella storia – di essere “papa emerito”, dicendo nel suo ultimo discorso:
“la mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.
Fu vera rinuncia? Nel febbraio del 2014 pubblicai su “Libero” un’inchiesta su questa domanda e sulle cause di quella vicenda misteriosa, anche perché era evidente che Ratzinger non aveva problemi di salute.
Un vaticanista andò a disturbarlo. E alla domanda sul perché era rimasto papa emerito (invece di tornare vescovo), si sentì rispondere:
“Il mantenimento dell’abito bianco e del nome Benedetto è una cosa semplicemente pratica. Nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti”.
Una raffinata e ironica elusione della domanda: come si poteva credere che, invece di tornare vescovo (come di prassi), Benedetto fosse rimasto papa per motivi sartoriali? In tutto il Vaticano non c’era una tonaca nera?
Una tale risposta faceva capire che, in quel momento, il papa non poteva ancora parlare e c’era un mistero. Solo ora, dopo tre anni, i veli finalmente si stanno squarciando.
ESPLOSIVO
Il 21 maggio scorso infatti Mons. Georg Gaenswein (foto a fianco di Kancelaria Premier – pubblico dominio), segretario di Ratzinger, ha tenuto un’esplosiva conferenza dove ha ribaltato la “tesi sartoriale”, rivelando che dal 2013 c’è un “ministero (petrino) allargato. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è ‘Santità’. Egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro, egli ha invece rinnovato quest’ufficio”.
Inoltre siamo in “una sorta di stato d’eccezione” e quello di Benedetto è un “pontificato d’eccezione”.
Il fulmine di quel giorno su San Pietro? “Di rado il cosmo ha accompagnato in modo più drammatico una svolta storica”.
Gaenswein ha pure spiegato che Benedetto non si è dimesso per la vicenda Vatileaks: “Quello scandalo era troppo piccolo per una cosa del genere e tanto piú grande il ben ponderato passo di millenaria portata storica che Benedetto XVI ha compiuto”.
Dunque tutt’altro che un banale andare in pensione con la veste bianca perché era nell’armadio. Oggi si scopre che si tratta di un “passo di millenaria portata storica” in cui Benedetto “non ha affatto abbandonato questo ministero”.
Il terremoto in corso nella Chiesa ruota attorno a questi eventi. Ma va letto all’interno di un complicato scontro geopolitico e ideologico planetario.
IL GRANDE GIOCO
In esso c’è anche la chiave per capire i fatti politici degli ultimi anni: l’egemonia tedesca della Ue che ha terremotato la nostra economia; la defenestrazione di Berlusconi del 2011 e l’arrivo di Monti e Renzi; la criminalizzazione e l’isolamento di Putin; il tumulto per la Brexit (forse pure il crollo del prezzo del petrolio).
I contorni di questa guerra non convenzionale emergono ora grazie al tramonto di Obama, all’irrompere dei cosiddetti “populismi” che in Europa sono nati per reazione alla Ue tecnocratica (tedesca) e grazie al terremoto rappresentato dal successo di Trump, un corpo estraneo per la Casta americana, fatta di Democratici, di Wall Street e (alcuni) Repubblicani.
In sintesi l’obiettivo strategico della Casta americana – rappresentata da Obama e dalla Clinton – è impedire che si saldi la storica alleanza fra Europa e Russia che farebbe la fortuna di entrambe: la prima ha un’enorme potenza tecnologica e industriale, la seconda è un immenso scrigno di risorse naturali.
Una tale alleanza euro-asiatica, di 800 milioni di persone unite da una storia che affonda le sue radici nel cristianesimo (fortemente riscoperto nella Russia di Putin), diventerebbe inevitabilmente interlocutrice della Cina (il più grande mercato del pianeta) e produrrebbe di fatto un mondo multipolare.
Gli Usa hanno cercato di far saltare questa prospettiva anzitutto destabilizzando alcuni paesi ex sovietici, in particolare l’Ucraina, sostenendo lì regimi antirussi. Poi costringendo l’Europa a imporre sanzioni economiche alla Russia per isolare Putin (sanzioni che all’Italia costano tantissimo).
Infine cercando addirittura di allargare la Nato fino ai Paesi baltici, con strategie aggressive e provocatorie (come le esercitazioni militari Anaconda 2016 di questi giorni). Lo scopo è creare un corridoio che dall’Europa occidentale arriva fino all’Asia (l’Ucraina è fondamentale).
Questa strategia americana presuppone però un’Europa unificata sotto la Germania, come tecnocrazia, e sotto un’ideologia “liberal” (ovvero laicista), per isolare Putin.
Per conseguire tale obiettivo dovevano essere spazzati via i soggetti estranei a questo progetto. Per esempio – in Italia – quel Berlusconi che prendeva le distanze dalla tecnocrazia Ue e propagandava l’amicizia e l’alleanza con Putin. Silurato.
Ieri il “populista” Nigel Farage ha fatto la “vera storia d’Europa” di questi anni in una mirabolante intervista al “Corriere della sera” dove spiega come siamo diventati “una colonia tedesca”.
Ma uno degli intoppi per questo progetto era rappresentato anche dalla Chiesa di Benedetto XVI. Paradossalmente il papa tedesco era un ostacolo per una Ue a guida tedesca, sotto l’egemonia “liberal” obamiana.
PROPOSTA INDECENTE
Fu prospettato a Benedetto XVI di accettare una “riunificazione ecumenica” con i protestanti del Nord Europa e del Nord America per dar vita a una sorta di “religione comune dell’Occidente”.
Per la Chiesa Cattolica significava sciogliersi nel minestrone del pensiero unico “politically correct”. Diventando un irrilevante museo folk in un’Europa “multiculturale”.
A questa “dittatura del relativismo” Benedetto XVI disse no. Rispose: finché ci sono io non accadrà.
Il “caso” volle che dopo un po’ sentì venir meno il vigore e fu costretto a rinunciare all’“esercizio attivo” del ministero petrino (rinuncia a metà?).
Dentro la Chiesa – ha spiegato Gaenswein – era in corso un “drammatico scontro” fra la fazione progressista e quanti seguivano Ratzinger nella sua lotta contro “la dittatura del relativismo”.
I progressisti persero al Conclave del 2005, ma, dopo la rinuncia, vinsero nel 2013.
Ora papa Bergoglio ha fatto sua l’Agenda Obama. Il 18 maggio, a Washington, al Catholic-Evangelical Leadership Summit, Obama ha affermato che le chiese devono lasciar perdere i “temi divisivi” come aborto e matrimoni gay e dedicarsi al problema della povertà.
L’Impero vuole una Chiesa “assistente sociale” che consola i perdenti nell’ospedale da campo dei poteri forti, ma non disturba i manovratori.
La candidata Hillary Clinton un anno fa, a un convegno di femministe abortiste, ha addirittura affermato:
“I codici culturali profondamente radicati, le credenze religiose e i pregiudizi strutturali devono essere modificati”.
Le chiese dunque devono arrendersi al laicismo “liberal” dell’Impero. Di fatto Bergoglio ha abbandonato i “principi non negoziabili”.
E ora lui, da sempre in ottimi rapporti con i protestanti americani, si prepara al viaggio del 31 ottobre in Svezia per celebrare Lutero e “ricucire” a 500 anni esatti dallo scisma. Prove di nuova religione imperiale?
Fonte: antoniosocci.com
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