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Il legame tra BP, geoingegneria e ingegneria genetica – di Jim Thomas

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La BP non si fermerà alla pericolosa trivellazione in alto mare: la compagnia è incline a progetti ancora più rischiosi, inclusa la manipolazione genetica e la distruzione dell’atmosfera terrestre…

I silenzi a volte vanno notati. Dov’è finito Steve Koonin, sottosegretario per la scienza al Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti, dopo il disastro del Golfo?

Koonin era intimamente familiare con le tecnologie che hanno fallito in modo tanto spettacolare nel caso della piattaforma della Deepwater Horizon a causa del suo precedente incarico come capo scienziato alla BP. Mentre il suo attuale datore di lavoro, Barack Obama, sta cercando di capire “chi prendere a calci nel culo” per la perdita di petrolio, potrebbe trovare istruttivo fare un salto indietro nel 2005 alla presentazione di Koonin al MIT – Massachusetts Insitute of Technology, in cui vediamo il petroliere Koonin vantarsi delle prodezze tecnologiche della sua azienda nell’esplorazione del petrolio e della sua produzione nelle profonde acque del Golfo.

In particolare, affermava che 50 milinioni di dollari USA per fare un buco nel fondale del Golfo avrebbero fruttato un milione di barili al giorno, descrivendo le sfide tecniche costituite dalla profondità e dalla pressione. Una piccola nota in fondo alle sue slides indicava: “l’ambiente marino crea delle sfide d’integrità” – linguaggio ingegneristico per “probabili incidenti”.

Note Incognite 


Un senior management della BP come Koonin sapeva che ci si stava spingendo oltre i limiti della sicurezza ambientale nell’utilizzare queste tecnologie di trivellazione in mare ultra-profonda? Certo che lo sapevano. Ma come chiarito nella presentazione di Koonin al MIT, estendere i confini tecnologici fino alle aree rischiose è l’atteggiamento della BP nell’era del picco del petrolio. Il tanto lodato ruolo di Koonin alla BP era precisamente di applicare una scienza all’avanguardia al problema del calo delle riserve di petrolio e della crescente crisi climatica. Koonin guidava un team di ricercatori che avrebbero tenuto conto del modo più economico per estrarre il petrolio difficile da ottenere (ad esempio le sabbie di catrame, la trivellazione in alto mare).

In modo ancora più significativo, Koonin ha avuto un ruolo centrale nell’investire milioni di dollari della BP nel nuovo campo dell’estrema ingegneria genetica, conosciuto come biologia sintetica, dove gli imprenditori costruiscono da zero il DNA di microbi completamente nuovi in modo da convertire le piantagioni di zucchero, i campi di grano e le foreste in biocombustibili per rifornire la macchina dell’economia.

È stato quando Koonin era in carica alla BP che il gigante del petrolio ha investito una somma riservata alla Synthetic Genomics Inc. di Craig Venter per sviluppare microbi che potessero essere iniettati nei giacimenti di carbone e nelle sabbie di catrame per il rilascio di metano. Un tale batterio metanogeno esiste in natura in alcune parti della crosta terrestre, ma le implicazioni ecologiche di un inziezione artificiale di un super potente germe metanogenico ed il potenziale rilascio accidentale di forti gas serra nll’atmosfera non sono state ancora studiate. Ovviamente la BP replicherebbe che le loro tecnologie sperimentali non causeranno dispersioni, proprio come non era previsto che centinaia di migliaia di barili di petrolio sgorgassero dal fondale marino.

Organismi sintetici


Poco più di un mese fa, Venter ha annunciato la “nascita” di Synthia, il primo organismo artificiale in grado di auto-riprodursi, stimolando così un ulteriore investimento in questo campo controverso ed attraendo molti appelli ad una maggiore regolamentazione e sorveglianza di queste nuove tecnologie. Se abbiamo imparato qualcosa da disastro della BP-Halliburton-Transocean è questa: non fidarsi di chi trae beneficio dall’uso della tecnologia con la sua sicurezza.

E poi c’è la geo-ingegneria – il più grande gioco d’azzardo tecnologico di tutti – che Koonin e la BP considerano come un fattibile piano di riserva. La geo-ingegneria fa riferimento a schemi su larga scala apparentemente inconsueti per ri-organizzare i sistemi atmosferici ed oceanici in modo da contrastare il surriscaldamento globale. Come per i massicci, improbabili coperchi in calcestruzzo, le opzioni nucleari ed i piani per i sigilli che vengono applicati sulla cima del pozzo della Deepwater Horizon, tali schemi possiedono un certo sentimento fantascentifico adolescenziale – scaricando ferro nell’oceano per incrementare la produzione di plankton che divorerebbe l’anidride carbonica o sbiancando le nuvole per riflettere la luce del solare nello spazio.

Un piano B per il mondo


Nel 2008 David Eyton, vice presidente alla BP per la tecnologia e le scienze, ha anunnciato che la geo-ingegenria era di certo una nuova area di ricerca per la compagnia. “Non possiamo ignorare la portata della sfida”, scrisse, “e dobbiamo tutti avere un piano B se il mondo non sarà capace di stabilizzare le concentrazioni di gas serra e se il peggio delle previsioni sui cambiamenti climatici si realizzeranno”.

L’opzione preferita dalla BP è la proposta di lanciare delle particelle di zolfo nella parte più alta dell’atmosfera per imitare l’effetto di una fumata vulcanica. Infatti, nel caso di una vasta eruzione vulcanica (come quall del Pinatubo nel 1991) tali particelle riflettono la luce del sole nello spazio e riducono in modo significativo la temperatura terrestre.

Lo scorso anno Steve Koonin ha radunato una confraternita di un dozzina di scienziati per una settimana per osservare in dettaglio l’agenda della ricerca tecnica sull’ingegneria climatica ad onde corte, attraverso l’uso degli aerosol stratosferici.

Tale studio è stato il primo ad essere sponsorizzato dalla NOVIM, un’organizzazione che proclama di “fornire delle soluzioni scientifiche sicure ai problemi più urgenti… senza patrocinio legale e senza ordine del giorno”.

Il rapporto traccia un programma di ricerca di dieci anni che inizia con i computer nel laboratorio, e poi passa ad esperimenti sul campo fino alla “applicazione monitorata”. Lo scopo specifico del rapporto è di escogiatare un’agenda di ricerca che “ridurrà i rischi e le incertezze”.

Di certo, quando si parla dei sistemi complessi, fragili e già alquanto squilibrati della Terra, tutto ciò che costituisce un rischio accettabile dovrebbe essere una questione politica, e non mramente tecnica. È improbabile che petrolieri ed pescatori risponderebbero nello stesso modo. I governi ed i popoli dei due diversi emisferi è probabile che non siano d’accordo fra loro. Persino tra uomini e donne c’è una differenza nell’attitudine al rischio.

Proprio come l’industria del petrolio è impaziente di continuare a sfruttare le fonti dell’oro nero difficili da raggiungere, una crescente lobby eloquente e ben organizzata di geo-ingegneri è asniosa di continuare a testare una varietà di schemi per intervenire sul clima. Sottolinearli entrambi costituisce una velata insolenza alla quale il disastro del Golfo dovrebbe averci reso coscienti. Sia il petrolio che la geo-ingegneria hanno forti legami con Washington, a volte anche nelle stesse persone. Ovviamente, una gran quantità di petrolio sarebbe certo di giovamento se l’atmosfera potesse essere architettata in modo tale da resistere ad alte concentrazioni di gas serra.

Un numero crescente di cittadini sta facendo appello all’arresto di tali esperimenti sul pianeta (vedi www.handsoffmotherearth.org) e l’espandersi della spessa fanghiglia nera nel Golfo dovrebbe ricordare a tutti noi di ascoltarli. È troppo tardi per prevenire questo disastro; non lo è per prevenirne altri.

Jim Thomas è manager del programma di ricerca presso il Gruppo ETC – Action Group on Erosion, Technology and Concentration.


Titolo originale: "The link between BP, geoengineering and GM "


Fonte: http://www.theecologist.org
28.06.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO
 

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