di Alberto Roccatano
per NEXUS on Line
Se la pianura padana, insieme ai contrafforti montuosi che la circondano e dove nei tempi antichi si infrangevano le onde del mare, potesse mostrare le strutture e le strade antiche che nasconde sotto la sua superficie, diverrebbero ben pallida cosa le città sotterranee della Cappadocia anatolica. Ma siccome il condizionante del condizionale si chiama “segreto militare” purtroppo non possiamo “scoperchiare” la pianura padana alla ricerca di profonde e antiche vestigia, potremmo imbatterci, senza volerlo, in strutture e autostrade recenti legate alla sicurezza del nostro paese o, meglio, a quelle degli amici ed alleati che da sessanta anni si sono accomodati nelle viscere e nelle profondità costiere del nostro paese (e non solo sotto la pianura padana e nelle sue alture confinanti).
La presenza militare USAense (Americana non nativa) nel nord est è una questione delicata, come è intuibile, e tocca le sensibilità di queste popolazioni più di quanto ufficialmente si possa supporre. Naturale, quindi, il rimbalzo mediatico provocato dall’articolo uscito su L’Espresso n° 38 del 28 settembre 2006. L’articolo rivela le intenzioni che avrebbero gli alleati USAensi (Americani non nativi) circa la base militare di Vicenza, già da loro occupata e meglio conosciuta come Caserma Ederle.
Il progetto “pugno di combattimento” – che dovrebbe portare il numero di soldati entro il 2010, a partire dal 2007, dai 6.000 circa attuali a circa 8.000 – prevede l’acquisizione in uso dell’area dell’aeroporto civile e militare Dal Molin, attualmente poco utilizzato. Nell’area Dal Molin si insedierà tutta la 173a brigata aerotrasportata USAense – che verrà trasformata nel 173°Airborne Brigade Combat Team, cioè la potenza di fuoco di una divisione raccolta in un singolo maglio mobile – attualmente divisa fra Italia (Vicenza) e Germania (Bamberga e Schweinfurt).
Secondo i piani USA, rivelati da L’Espresso, a Vicenza dovrebbero arrivare «55 tank M-1 Abrams, 85 veicoli corazzati da combattimento, 14 mortai pesanti semoventi, 40 jeep Humvee con sistemi elettronici da ricognizione, due nuclei di aerei spia telecomandati Predator, una sezione di intelligence con ogni diavoleria elettronica, due batterie di artiglieria con obici semoventi, i micidiali lanciarazzi multipli a lungo raggio MRLS – insomma – continua l’articolo – quanto basta per cancellare una metropoli.»
Ma la U.S. Southern European Task Force (Setaf), unitamente all’Esercito degli Stati Uniti in Europa, ritenendo errati e fuorvianti alcuni punti del reportage di Roberto Di Caro pubblicato da L’Espresso, ha emesso un comunicato ufficiale nel quale è affermato che, nell’ipotesi della realizzazione dell’insediamento, il totale dei soldati presenti a Vicenza passerebbe dagli attuali 2.900 a poco meno di 5.000.
Infatti il comunicato del quartier generale della Setaf spiega che «Una volta che l’intera Brigata sarà consolidata, il 173°ABCT e le unità di supporto faranno aumentare i soldati presenti a Vicenza dagli attuali 2.900 a un totale di meno di 5.000».
Dunque, se e quando, i quattro battaglioni di cui è composto il 173° ABCT si trasferiranno in una parte dell’area del Dal Molin (40 ettari circa), Vicenza non diventerà certo per questo «la più potente base americana in Europa» (come scrive L’Espresso) sottolinea il comunicato del Setaf.
Quindi, a Vicenza e in Germania niente tank, niente M-1 Abrams né blindati Bradley. Come del resto confermava anche il colonnello Preysler, comandante della 173esima, su un’altra rivista militare Usa, “Stars and Stripes”: «Alcune unità dovranno cambiare: via i carri armati M-1 e Bradley, già da quest’anno, per i più agili Humvees». Motivo: «Da quando è caduta la cortina di ferro – dice Hertling – non abbiamo più nemici al confine est, quindi non ci servono più grandi divisioni corazzate (…) Perché la guerra ora è soprattutto quella al terrorismo». Da sottolineare questa affermazione del generale di brigata Mark P. Hertling, responsabile della riorganizzazione strategica dell’Esercito Usa in Europa: e da sottolineare anche l’altra sua affermazione «Per il 2010 qui in Europa non ci saranno più divisioni corazzate». E sottolineiamo anche che, a supporto del Setaf, dal Pentagono, il comandante di Marina Joe Carpenter ha dichiarato che «non è nei piani della Difesa statunitensi quella di creare strutture di enormi dimensioni al di là dell’Oceano».
Bene. Allora perché, se il pericolo non viene più dall’est, si piazzano sistemi antimissile nella Repubblica Ceca e in Polonia. «L’idea è di allestire nella Repubblica Ceca il sistema radar e costruire in Polonia gli alloggiamenti sotterranei per dieci missili intercettori». Come pubblica il giornale Repubblica in un articolo del 22 gennaio trascorso dal titolo emblematico: “Russia: Sistema antimissile Usa in Polonia minaccia Mosca”. E perché, nello stesso articolo, il generale Vladimir Popovkin, comandante della divisione dell’esercito responsabile della tecnologia spaziale dichiara: «Le nostre analisi dimostrano che la base Usa sarebbe una chiara minaccia alla Russia». Gli Usa – continua l’articolo – stanno investendo miliardi di dollari ogni anno per la realizzazione dell’Iniziativa di difesa missilistica (Mdi), il cosiddetto ‘scudo anti-missile’, un sistema che combina radar a lungo raggio e missili balistici in grado di individuare e abbattere missili con testate nucleari, batteriologiche o chimiche. «Abbiamo qualche dubbio che i missili iraniani o nordcoreani attraverserebbero la Polonia o la Repubblica Ceca», ha sottolineato il generale Popovkin, rispondendo indirettamente alle rassicuranti affermazioni del sottosegretario di Stato americano Daniel Fried: «Riteniamo che costruire un’infrastruttura dello scudo anti-missile in Polonia e Repubblica Ceca rafforzerebbe in modo significativo le difese dell’Europa». E ancora, perché il presidente russo Vladimir Putin, come riportato in un articolo del Corriere della Sera dello scorso 11 febbraio 2007, intervenendo alla Conferenza per la Sicurezza, che dal 1962 riunisce ogni anno a Monaco di Baviera, in Germania, politici, militari ed esperti da tutto il mondo, ha dichiarato: «Assistiamo oggi ad un uso quasi scatenato della forza nelle relazioni internazionali. Un Paese, gli Stati Uniti, ha superato in ogni senso i suoi confini nazionali. Ciò è molto pericoloso, perché nessuno si sente più sicuro al riparo della legge internazionale e perché alimenta una corsa al riarmo, con molte nazioni decise a dotarsi dell’arma nucleare». Sempre Putin, nel suo intervento, ha affrontato la questione dell’allargamento della Nato (North Atlantic Treaty Organization, cioè Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) ai confini europei della Russia. Sono state parole dure: «L’allargamento fino ai confini con la Russia è un fatto grave, che riduce la fiducia reciproca. Non capisco che senso abbia aprire nuove basi e infrastrutture della Nato a Est, quando i veri pericoli globali sono il terrorismo e le armi di distruzione di massa. Abbiamo il diritto di chiedere dove siano finite le vostre garanzie, date quando venne sciolto il Patto di Varsavia, che non ci sarebbe stato alcuno stazionamento di truppe atlantiche a Est della Germania». Il Presidente russo ha fatto riferimento ai progetti americani di utilizzare i territori della Repubblica Ceca e della Polonia per nuovi sofisticati sistemi antimissile: «Abbiamo armi in grado di neutralizzare questi sistemi», ha ammonito gli Usa e li ha anche messi in guardia su progetti di soluzione della questione del Kosovo che non soddisfino pienamente sia i serbi che i kosovari; una posizione non molto distante da quella assunta dal Primo Ministro tedesco Angela Merkel.
Per quanto riguarda la questione della minimizzazione del numero dei soldati statunitensi (al massimo 5 mila assicurano le autorità militari Usa) che dovrebbero prendere stanza in Vicenza, perché allora, nel Giornale di Vicenza del 17 gennaio 2007, Marino Quaresimin, ex sindaco di Vicenza e capogruppo della Margherita al Comune di Vicenza – quindi si deve ritenere ben informato – afferma: «La nuova base ha già fatto richieste per forniture idriche pari a 30 mila abitanti, e molte falde acquifere vicentine sono in sofferenza. Solo i collegamenti per gli impianti di acqua e gas costerebbero 9 milioni di euro, che gli americani non pagherebbero». L’ex sindaco, già che c’è, fa anche un’altra affermazione notevole, mostrando il suo totale disaccordo con il via libera di Prodi al raddoppio della base “Ederle” nell’area Dal Molin: «Decidere, come sta facendo lui, di buttarla sull’urbanistica locale, disinteressandosi di regalare un’aeroporto a una base americana (e, si badi bene, non Nato), togliendolo alla città, sarebbe grave». Ma allora la Caserma Ederle è USAense o è Nato. Una domanda che serve solo a sapere se l’Italia sta facendo un favore alla Nato o agli Usa, e non è che la risposta possa lasciare indifferenti gli osservatori, magari in veste di giornalisti. Ma riportiamo anche un articolo di Liberazione del 19 gennaio 2007 nel quale si accenna alle discussioni nell’aula consiliare di Vicenza, cito testualmente: «Sopra, in Sala Bernarda, (…) il consiglio comunale inizia a discutere di Dal Molin, con buona pace dell’ordine del giorno. I consiglieri dell’opposizione vogliono sapere se ci sarà un referendum – bocciato – se si farà comunque la megalottizzazione a fianco della nuova base e come faranno le aziende municipalizzate a far fronte alle richieste Usa di luce (impianto di 9 milioni di euro) e acqua (850 mila euro per tubi profondi 180 metri)».
I piani per occupare l’area del Dal Molin erano già pronti dal marzo del 2005 (prevedono un costo complessivo finale di un miliardo di dollari) e si inseriscono nel più complesso quadro di revisione strategica della dislocazione delle basi USA in Europa. In questo scenario europeo Vicenza assumerebbe il compito di base principale.
Un costo elevato, dunque, ma i lavori più delicati – si tratta di installazioni militari – non possono che essere fuori capitolo e verranno affidati ad imprese affidabili (per gli Usa) e quindi non italiane o non controllate da italiani.
A proposito degli impianti civili, Il Giornale di mercoledì 24 gennaio 2007 rende noto che già dal 17 novembre del 2006 la Marina militare Usa ha avviato la procedura che porterà ad assegnare i lavori per ampliare la base militare di Vicenza. Infatti è stato pubblicato su internet l’avviso di un prossimo bando per assegnare le opere (pre-solicitation notice). Le imprese interessate hanno tempo fino al 6 marzo per segnalarsi e chiedere informazioni. Il capitolato, pari a 310.150.000 euro, è consultabile nel sito www.esol.navfac.navy.mil che è quello della Naval Facilities Engineering Command della Us Navy. Se volete accedere al sito (c’è una bandierina italiana a guidarvi) per autosegnalarvi, dovrete prima creare un account. La gara per la selezione di offerte al massimo ribasso riguarda opere civili (quelle militari fanno parte di quelle non pubblicabili, semplicemente perché coperte dal segreto militare, naturalmente). Le opere da realizzare sono case, magazzini, supermercati, strade, mense, impianti sportivi, negozi, un ufficio postale, un hotel, parcheggi, lavanderie, passaggi pedonali e aree verdi, recinzioni e controlli agli ingressi. Bene, fa notare, beffardamente l’articolista de Il Giornale, fra le imprese che si sono autosegnalate per partecipare al bando di gara ci sono, testualmente riporto: «tre coop, i colossi dell’edilizia rossa: la Cmc (Cooperativa muratori cementisti) di Ravenna, la Cmr (Cooperativa muratori riuniti) di Ferrara e la Ccc (Consorzio cooperative costruzioni) di Bologna». Non c’è altro da aggiungere, credo, il lavoro è lavoro, e le cooperative, se sono edilizie, devono pur lavorare. Ma torniamo alla richiesta dell’occupazione militare del Dal Molin. I Generali USA assicurano che non è loro intenzione usare la pista aerea del Dal Molin e che i soldati verranno spostati, da Vicenza ad Aviano, in pullman e di notte.
Per comprendere meglio questa affermazione occorre tenere conto che Aviano (che viene considerato centro di impiego primario) e la base di Vicenza (che gli USA considerano “in prossimità” della base di Aviano) distano fra loro più di cento chilometri.
Evidentemente i generali pensano che il Passante di Mestre, di notte, sia più abbordabile, oppure immaginano già esistente un percorso diverso ancora da costruire, oppure ancora, magari ipotizzano di utilizzare qualcosa di già esistente, ma esistente ben sotto il piano stradale (No questo non si può dire avevamo promesso di non “scoperchiare” la pianura quindi consideratelo come non detto).
Sono appurabili, almeno ufficialmente, le difficoltà di collegamento fra Aviano e Vicenza. Allora perché i militari USA vogliono proprio il Dal Molin.
Martedì 16 gennaio u.s., durante la trasmissione televisiva di Ballarò, il Ministro degli Esteri D’Alema ha rivelato che il Governo aveva offerto ai militari USA una vasta area vicina alla Base di Aviano. Con questa soluzione la 173° brigata aerotrasportata si sarebbe trovata adiacente il suo centro di impiego primario. Niente da fare, hanno risposto i militari USAensi, ormai è troppo tardi, i progetti su Vicenza sono in avanzato stato di attuazione, o il Dal Molin o ce ne andiamo in Germania.
Ma se veramente la questione è lo stato ormai avanzato dei progetti attuativi perché minacciare di andarsene in Germania. Forse anche per la Germania hanno dei progetti altrettanto avanzati come quelli in Italia? Oppure è sotto il Dal Molin il motivo reale per cui un’altra area non è proponibile. Forse è sotto il Dal Molin che ormai sono state costruite strutture funzionali all’ufficiale raddoppio della Ederle. È già sotto, molto sotto, il Dal Molin la Ederle2?
La minaccia di scegliere la Germania, come eventuale scelta obbligata, è comunque lanciata. È probabile che la minaccia di andare in Germania possa essere configurata come un aiutino per un Governo italiano riottoso.
Allarme immediato degli oltre settecento civili italiani che viene dichiarato lavorano nella base Ederle di Vicenza: ci siamo anche noi ci fanno sapere.
Come se il governo, provvidamente, dovesse decidere di non permettere più alla Telecom Italia di vessare gli Italiani con il Canone Telecom e diecimila lavoratori Telecom scendessero in piazza, giustamente come quelli della Ederle, per difendere il loro posto di lavoro. In questo caso voi avreste due scelte:
- Per proteggere il posto di lavoro dei dipendenti Telecom siete disposti a pagare vita natural durante un canone telefonico che nel passare degli anni ha già ripagato, chissà quante volte, la linea che da casa vostra arriva fino alla centralina (sempre aperta e abbordabile da chiunque, potrebbe aggiungere qualche maligno detrattore che non vuole farsi gli affari suoi).
- Vi sta bene di non pagare più il canone Telecom e premete sui vostri partiti di riferimento perché il governo si occupi in qualche modo della ricollocazione lavorativa degli scioperanti Telecom.
La soluzione miracolo, in questa situazione ingarbugliata, classicamente italiana, si deve all’iniziativa dell’ambasciatore Usa Ronald Spogli. Quali siano gli argomenti messi in campo, non è dato sapere. Il sindaco di Vicenza Enrico Hüllweck, a ridosso degli effetti dell’articolo de L’Espresso, aveva dichiarato che di fronte a quelle gravi notizie lui era per il “no”. Poi, attraverso la diplomazia collaterale di Silvio Berlusconi (è pur sempre un ex Presidente del Consiglio), Hüllweck ottiene udienza presso l’ambasciatore Usa, quindi decide che si, il raddoppio della base si può fare, sia il governo a dire “no”.
Anche Prodi non è da meno. Il capo del Governo tergiversa (non è una scelta facile, come è intuibile), la cosa riguarda il comune di Vicenza, il governo si adeguerà.
L’ambasciatore Spogli fa sapere, inviando un dossier al Governo, che a Washington aspettano una risposta in tempi brevissimi.
Gli Usa premono perché l’Italia dica con chiarezza se intende dare il benestare o no all’ampliamento della base di Vicenza; indicano anche i tempi: entro il 15 gennaio, poi la scadenza sarà prolungata al 19.
È Prodi che rompe gli indugi; infatti il 17 gennaio, da Bucarest dove si trova in visita, dichiara: «Sto per comunicare all’ambasciatore statunitense che il governo italiano non si oppone alla decisione, presa dal governo precedente e dal Comune di Vicenza, a che venga ampliata la base militare di Vicenza», inoltre aggiunge che il suo Governo «si era impegnato a seguire il parere della comunità locale». Due decisioni spiazzanti che non sai se elencare sotto il titolo “furbizia tattica” o sotto il titolo “intelligenza strategica”.
Ma, il passaggio del cerino fra il capo del Governo e il sindaco di Vicenza è un passaggio finto, il cerino non è mai stato acceso. Infatti il Sindaco di Vicenza, Enrico Hüllweck, ha sottolineato che il parere favorevole è già stato dato dal consiglio comunale e che la normativa attuale non prevede la possibilità di indire un referendum consultivo.
Tutto risolto, dunque, anche se la popolazione di Vicenza è stata privata del suo diritto di decidere, sia pure con un referendum consultivo, su una questione così delicata come il rafforzamento di una base militare sotto, dentro e intorno alla loro città.
La risposta dei vicentini non si fa attendere. Viene costituito un presidio formato dal mondo eterogeneo della società laterale e da settori consistenti della popolazione vicentina. Il sito www.altravicenza.it raccoglie le iniziative dei cittadini vicentini che non vogliono sentirsi espropriati del loro diritto di decidere del loro futuro.
Le notizie che si rincorrono sulla stampa e nei telegiornali parlano del raddoppio di una base che deve accogliere altri militari, il cui compito è intervenire nei vari scenari di guerra contro il terrorismo islamico, come viene confermato anche da esponenti militari USAensi. I cittadini vicentini sono allarmati, e come potrebbero non esserlo.
Quello che non può essere sottaciuto è che l’opposizione al raddoppio della base sta entrando nelle case dei cittadini non politicizzati, e sono tanti, della cittadina militarizzata che ormai è divenuta Vicenza. Anzi, è bene che le forze politiche si rendano conto che la sfiducia verso il consiglio comunale, che ha negato la parola ai cittadini su una questione così delicata, sta creando una crisi di rappresentanza che non può essere ridotta, anzi minimizzata, ai pacifisti, agli ambientalisti e agli “incazzosi” strutturali (che non possono essere criminalizzati in modo pregiudiziale).
Si sta formando, e non ha finito di strutturasi, un movimento di popolo che è un illusione presumere che possa essere controllato da qualunque partito. Di questo dovranno tenere conto i tentativi di analisi di un movimento ancora in piena gestazione. Per di più i giovani vicentini, anche quelli che frequentano le strutture religiose cattoliche, sono certamente attenti a quanto sta avvenendo e non sono per nulla intenzionati a rimanere in seconda fila e comunque non vogliono essere strumentalizzati. Un movimento di popolo, dunque, nel quale le donne, anzi le famiglie intere, non rimangono silenziose, consapevoli come sono che dietro la questione della base (Usa e non Nato come ha affermato l’ex sindaco Marino Quaresimin), si profila un futuro fosco, nel quale le nuove generazioni future percepiranno la pace solo come un sogno.
Un movimento di popolo, deciso e consapevole, che dimostra di saper reagire al tentativo di privare la città di Vicenza del suo diritto ad un futuro sereno.
Una dura reazione che ricorda l’opposizione alle basi militari che si è sviluppata in Giappone, nel marzo del 2006. L’aperta ribellione di migliaia di cittadini, associazioni, comunità locali contro le basi USAensi in Giappone aveva assunto dimensioni inaspettate.
Le popolazioni locali si erano allarmate e preoccupate per gli effetti del gigantesco piano di ridislocazione delle forze armate Usa nei loro territori.
Se si realizzasse il piano riorganizzativo Usa della Base di Iwakuni (che si trova nella prefettura di Yamaguchi in Giappone centrale) non solo gli aerei della base raddoppierebbero raggiungendo le 130 unità, ma la stessa base giapponese diverrebbe la più grande base Usa a livello mondiale.
E potremmo anche ipotizzare che gli organismi militari USAensi non hanno avuto bisogno di giustificare il raddoppio e il gigantesco potenziamento delle loro basi giapponesi con la necessità di attrezzarsi contro il terrorismo islamico.
Quello che il governo giapponese non si aspettava è stata la dura e sorprendente reazione di un gran numero di comunità locali. Perfino i governi locali a guida conservatrice sono stati costretti, sotto la spinta delle loro popolazioni, a negare il loro consenso all’attuazione dei piani di ampliamento militare nei loro territori. Eppure avevano condiviso con il governo il trattato di sicurezza Nippo – USAense ed avevano sostenuto la politica governativa della “coesistenza su una base di prosperità”. Da Hokkaido ad Okinawa. 12 prefetture e 43 fra città e villaggi (sono numeri grandi per il piccolo Giappone) la mobilitazione popolare è stata massiccia. Basti ricordare che il 5 marzo dello scorso anno, nella città di Ginowan (prefettura di Okinawa), 35.000 persone hanno manifestato contro il progetto del governo di costruire una nuova base aerea presso la costa di Nago City. I manifestanti chiedevano la chiusura della base di Futenma denunciando la circostanza che i voli degli aerei USAensi avevano superato il numero di 10.000 rispetto al 2003.
In quegli stessi giorni di un anno fa il governo Giapponese aveva concesso alla città di Iwakuni la consultazione referendaria (negata, un anno dopo, ai vicentini). Infatti la popolazione di Iwakuni, il 12 marzo 2006, fu chiamata ad un referendum consultivo sull’approvazione o meno del rafforzamento delle basi Usa. Si presentarono ai seggi il 58,68 % degli aventi diritto. I “no” furono 43.433, i “si” 5.369. Un risultato inatteso perché si mobilitarono i quotidiani conservatori e i grandi mezzi di comunicazione. Tutti invitavano alla prudenza, perché se il risultato della consultazione avesse smentito gli accordi governativi avrebbero potuto entrare in crisi le buone relazioni fra Giappone e Stati Uniti.
Il Governo Italiano non dovrà aspettarsi questa sconfessione. Infatti il Sindaco di Vicenza, supportato dalla maggioranza dei consiglieri comunali, ha già negato ai vicentini il diritto di esprimersi con una consultazione. A meno che il Ministro dell’Interno, oltre che preoccuparsi della presenza di facinorosi nella manifestazione del 17 febbraio, decida di costruire le condizioni normative per la consultazione referendaria sull’ampliamento della caserma Ederle. Almeno si faccia come in Giappone a Iwakuni.
I problemi in comune che hanno le due città rappresenterebbero una buona motivazione per un gemellaggio popolare. Anche in considerazione che le costituzioni italiana e giapponese hanno in comune un articolo che sancisce il rifiuto della guerra come mezzo risolutorio di controversie internazionali. (Non risulta che i rappresentanti del Paese che hanno imposto questa limitazione ne abbiano uno analogo nella loro costituzione, soprattutto dopo l’11 settembre 2001).
Va comunque ricordato, come dovere di cronaca, che il Capogruppo del Partito Liberal Democratico (PLD) alla Camera Alta, Katayama Toranosuke, preventivamente, aveva dichiarato che «Sicurezza e difesa sono affari che riguardano il governo» e che, comunque, «Il referendum costituisce un esempio di egoismo localistico».
Anche in Italia, il giorno dopo la grande manifestazione del 17 febbraio a Vicenza, il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha dichiarato che la decisione è ormai presa e che l’ampliamento della base militare si farà.
Che la consultazione referendaria sia concessa o no, i vicentini sono avvisati.
Sabato 17 febbraio (di questo anno 2007 che nei progetti militari USA dovrebbe dare inizio ad una rimodellazione della presenza USA in Italia e quindi in Europa) si è svolta una manifestazione che non può essere sottovalutata. In corteo non c’erano solo intere famiglie vicentine ma anche rappresentanti di organizzazioni italiane, europee ed extraeuropee.
Questa manifestazione dimostra che i rappresentanti comunali del popolo vicentino hanno perso pezzi consistenti dei loro rappresentati. (Forse questo è l’unico argomento che potrebbe costringere il Governo a spingere per una parziale marcia indietro Usa su Vicenza).
In quale lingua i partiti politici (che concordino o no con l’ampliamento della base) parleranno ai vicentini, alla popolazione italiana, perché siano almeno comprensibili (accettabili è altra questione) gli effetti locali delle decisioni geopolitiche e geostrategiche assunte dall’Italia sotto la spinta del Paese militarmente più potente, per ora, nello scacchiere mondiale.
Uno spaccato della confusa lingua che i partiti, e i rappresentanti delle istituzioni, parlano quando si occupano del sistema Paese, è rappresentato da quello che è avvenuto recentemente intorno al comune di Susegana.
Tra la fine di gennaio e i primi di febbraio dell’anno in corso, è rimbalzata sulla stampa la notizia che nei pressi del Piave, nel comune di Susegana, mentre si stavano facendo lavori su un oleodotto militare, senza che gli uffici comunali ne fossero a conoscenza, erano stati ritrovati ordigni bellici inesplosi. Secondo gli articoli giornalistici, si tratterebbe di un oleodotto nelle cui tubature scorrerebbe carburante additivato per aerei militari, che collegherebbe Vicenza con Aviano e sarebbe completamente sconosciuto agli uffici comunali.
Apriti cielo fibrillazione generale. Ci sarebbero dunque le prove (l’oleodotto militare sconosciuto) che gli USA avrebbero già programmato l’utilizzo militare dell’Aeroporto Dal Molin, e questo nonostante le assicurazioni fornite da esponenti militari USA di primo piano.
In realtà, come poi si è appurato, il diametro del tubo, di circa 10 centimetri (circa 4 pollici), è compatibile solo per l’attraversamento dell’alveo del Piave per collegare fra loro due depositi di stoccaggio, certamente fra loro non troppo distanti; oppure ha la semplice funzione di collegare un deposito di stoccaggio ad un utilizzatore.
D’altra parte, se effettivamente esistesse un oleodotto collegante Vicenza con Aviano, appunto distanti fra loro circa 100 chilometri, la tubatura dovrebbe avere un diametro almeno sei volte più grande per garantire sia la resistenza e la durata nel tempo sia la capacità di rispondere ad eventuali futuri incrementi di portata. Inoltre, non sarebbe una condotta diretta, ma sarebbe inframmezzata da stoccaggi sotterranei (che poi sarebbero dei centri di raccolta e distribuzione di altre condotte collegate ad altre strutture presenti lungo il percorso), oltre che da gruppi di pompaggio. Se poi, per esempio (così per ipotizzare) esistesse nel sottosuolo fra Aviano e Vicenza, una rete di gallerie, le stesse condotte, sempre col principio della raccolta a grappolo (depositi a distribuzione stellare), potrebbero correre lungo le pareti delle gallerie per renderle facilmente controllabili e ispezionabili.
Va da se che se così fosse, soprattutto in questi ultimi venti anni, non avrebbe senso costruire nuovi oleodotti troppo prossimi alla superficie, come quelli dei decenni precedenti, per i quali continua ad essere necessario scavare per raggiungerli e sottoporli a ordinaria e straordinaria manutenzione.
Ma quanto davvero i velivoli di nuova generazione Usa sono dipendenti dai derivati del petrolio. I motori elettromagnetici o Magneto-Idro-Dinamici (MHD) per indicarne alcuni, dovrebbero da tempo aver superato il periodo di prova.
Quanto al ritrovamento di bombe inesplose, tornando alle notizie di stampa, non è da considerarsi eccezionale nell’intero territorio nazionale. Soprattutto se consideriamo, in particolare, l’intensità dei bombardamenti “alleati” che ha dovuto subire, nel secondo conflitto mondiale, l’area intorno ai ponti sul fiume Piave. Infatti, entrando nel sito del Comune di Susegana, ai primi di febbraio avreste appreso che sono state trovate altre bombe inesplose all’interno di un cantiere in prossimità del Ponte della Priula e che per il 19 novembre 2006 era stata fissata la data dell’allontanamento della popolazione, perché in sicurezza potesse avvenire il disinnesco degli ordigni.
Le notizie rimbalzate sulla stampa, riguardanti il ritrovamento dell’oleodotto militare mostravano evidenti incongruenze. Incongruenze che mi spinsero a chiedere un incontro con il Sindaco di Susegana, architetto Gianni Montesel. L’intervista è accordata e si svolge, non registrata, nell’ufficio municipale del Sindaco.
Quello che è emerso è veramente stupefacente.
Gli uffici comunali di Susegana vengono avvertiti, insieme alle autorità militari, che durante i lavori di scavo in prossimità del Piave sono stati trovati degli ordigni bellici inesplosi. Agli uffici comunali non risultava che, in quell’area, ci fossero dei lavori di scavo in corso, quindi chiedono, come è ovvio, spiegazioni. L’impresa comunica che stava facendo dei lavori su un oleodotto Nato e che disponeva delle autorizzazioni necessarie senza aver bisogno di quelle comunali.
Vale la pena, a questo punto, far parlare direttamente le notizie pubblicate sulla vicenda dell’oleodotto Nato, presentandole e commentandole in ordine cronologico.
Sabato 27 gennaio
È qui che appare l’accenno all’oleodotto militare.
Il Sindaco semplicemente chiede che sia permesso l’attraversamento del Piave anche al gasdotto Snam, così come è stato permesso alla tubatura militare che, per di più, non ha avuto bisogno dei permessi locali e neanche di quelli dell’autorità di Bacino. I lavori sulla condotta di carburante – di circa 10 centimetri di diametro (circa 4 pollici) – sono venuti a conoscenza delle autorità comunali, solo per la circostanza che, durante gli scavi, sono state trovate delle bombe inesplose. È la presenza degli ordigni che ha costretto l’impresa che stava lavorando sull’oleodotto ad avvertire le autorità locali perché fossero rimosse.
Nell’articolo la frase attribuita al Sindaco è la seguente: «Noi diciamo che la soluzione vada trovata lungo il tracciato del Piave perché più breve e meno impattante, ma l’Autorità di Bacino del fiume ha detto che non si può fare. – afferma Montesel – Va però detto che solo qualche mese fa è stata trovata una bomba, proprio mentre veniva posata la condotta per un oleodotto militare che attraversa proprio il Piave. Se non si trovava la bomba nessuno sapeva nulla. Allora è solo una questione di volontà politica, per cui faccio appello ai parlamentari della nostra provincia e ai consiglieri regionali per far sì che quello che è possibile alla Nato sia fattibile anche per una comunità di cittadini che chiede di essere ascoltata». Il Sindaco di Susegana, si è semplicemente tolto qualche sassolino dalla scarpa. Da una parte c’è la concretezza di un oleodotto militare (circa 4 pollici) che attraversa il fondo del fiume senza nessun impedimento normativo, dall’altra c’è un gasdotto della Snam che dovrebbe attraversare un’area di interesse storico, archeologico, paesaggistico e che il comune di Susegana propone in alternativa che passi sotto l’alveo del Piave per proteggere l’integrità del suo territorio, in mezzo c’è l’autorità di bacino che usa pesi e misure elastici quando deve occuparsi di un oleodotto militare, e, invece, pesi e misure rigidi quando deve occuparsi di un gasdotto civile, certo di 24 pollici di diametro (d’altra parte è gas non carburante) e non tiene minimamente conto che le motivazioni della deviazione proposta hanno semplicemente la finalità di proteggere aree a vincolo paesaggistico e archeologico. Tutto qui.
Domenica 28 gennaio
Lunedì 29 gennaio
La questione ha preso improvvisamente una piega inattesa che in nessun modo può essere addebitata alle dichiarazioni del sindaco Gianni Montesel. E il rimbalzo mediatico fa evidentemente il resto.
Lunedì 29 gennaio
È legittimo predisporre una interrogazione parlamentare sulla mera base di notizie di stampa se l’interrogante non ha modo di accedere direttamente all’origine delle informazioni apparse sulla stampa. E quindi non si può che rimanere stupiti nel constatare che un deputato della Repubblica e componente della Commissione Difesa della camera non abbia potuto direttamente acquisire le informazioni corrette che gli avrebbero permesso di basare una sua eventuale interrogazione su documentazione inoppugnabile.
Martedì 30 gennaio
Giovedì 1 febbraio
Il titolo del comunicato fa riferimento ad un oleodotto Nato Vicenza-Aviano e, dal resto del comunicato, riceviamo l’informazione che l’Aeroporto Dal Molin di Vicenza semplicemente non è alimentato dal “Sistema Nato Pol”. Come va interpretato questo comunicato stampa ufficiale del nostro ministro della Difesa.
Venerdì 2 febbraio
Tralascio il resto dell’articolo che è comunque sintetizzato nel titolo. Chi legge noterà che il Deputato Severino Galante è diventato improvvisamente Senatore. È evidente che l’articolo fa riferimento al comunicato stampa sopra riportato. Ma il comunicato non è una risposta al Senatore Severino Galante, che poi è un Deputato, ma ha lo scopo, come spiega lo stesso titolo, di fornire precisazioni sull’oleodotto Nato Vicenza-Aviano «In merito alle notizie riportate recentemente da organi di stampa». È probabilmente questo titolo che trae in errore (come vedremo poi) chi cerca informazioni nella rete, in questa giornata, sulla questione dell’oleodotto Nato “segreto” “scoperto” a Susegana.
Mercoledì 7 febbraio
Attualmente Mario Arpino è Presidente di Vitrociset. L’agenzia NATO NETMA ha affidato a Vitrociset l’incarico di sviluppare e gestire il sistema informativo-logistico per la gestione di materiali, la manutenzione e la pianificazione dell’attività dell’Eurofighter 2000, il caccia che costituirà la base della difesa aerea europea. Vitrociset è uno dei maggiori gruppi italiani, per dimensione e know-how, operante nell’alta tecnologia informatica ed elettronica e nella logistica integrata, come si legge nel suo sito ufficiale.
Insomma la questione dell’oleodotto che raggiunge il Dal Molin è definitivamente cancellata da questo intervento anche se, vorrei far notare, senza enfasi, a chi ha avuto il grande onere ed onore di ricoprire la più alta carica militare del nostro paese dopo quella del Presidente della Repubblica che è anche a capo delle nostre Forze Armate, che il Sindaco di Susegana si chiama Gianni Montesel e non Montesol (anche se questo potrebbe essere un refuso di stampa de Il Giorno), e che Severino Galante è un Deputato della Repubblica e non un Senatore (ma anche questo errore potrebbe essere stato indotto da erronee informazioni contenute nelle notizie di stampa e diffuse nella rete internet). Per il resto anche il nostro Generale Arpino ha voluto cogliere l’occasione, avvolgendola di simpatica ironia, per togliersi qualche sassolino dalle scarpe; proprio come il Sindaco di Susegana Architetto Gianni Montesel.
Ma, lasciandoci alle spalle gli oleodotti Nato e le diverse lingue politiche che si odono intorno alla vicenda Dal Molin, dovremmo fare lo sforzo di guardare oltre Vicenza. Dovremmo cercare di comprendere quali siano le reali motivazioni della riorganizzazione militare Usa nel mondo, e quindi anche nel nostro Paese.
La frase che meglio raccoglie il senso di quanto sinteticamente cerco di esprimere è la seguente: “Gli Stati Uniti d’America vogliono il pieno controllo della terra”. Ed è privo di interesse giustificare questa frase con l’esigenza di una grande potenza di stare sicura dentro i propri confini.
I mezzi, già prepotentemente visibili, che si stanno utilizzando per ottenere questo controllo sono quelli connessi alla finanza, all’informazione, al commercio (vedi il WTO – World Trade Organization), alla tecnologia. Il commercio e la democrazia, si sa, camminano sempre insieme soprattutto con l’appoggio esterno delle Organizzazioni non Governative.
La tecnologia è molto sofisticata, si occupa di controllo del clima, di radar satellitari molto speciali che vi possono spiare dentro casa, oltre che guardare sotto terra. Potrebbero addirittura già esistere aeroporti sotterranei a trasduzione, visto che intorno a Vicenza qualcuno afferma di aver avuto l’impressione di veder scomparire improvvisamente aerei militari che sembravano in atterraggio. Converrà che ci scherziamo sopra chiedendoci se di questa tecnologia ne sapeva qualcosa il manifestante travestito da ufficiale della flotta stellare di Star Trek che, durante l’imponente manifestazione del 17 febbraio u.s. a Vicenza, sfilava mostrando un cartello con su scritto: «Hanno promesso niente aerei ma hanno già il teletrasporto?».
Usare tutti i mezzi e piegarli, a tutti i costi, alle esigenze egemoniche militari Usa. A tutti i costi, da quel che si vede, anche a costo di scontrarsi con alleati atlantici come l’Europa e il Canada. Sono di dominio pubblico, per esempio, le differenti visioni della geopolitica e dei conseguenti riflessi militari espresse della Francia e della Spagna. È noto il disaccordo canadese all’occupazione militare aereo navale degli Usa del passaggio a nord-ovest, reso ancora più importante e strategico dallo scioglimento in atto dei ghiacci dell’artico, per il controllo dell’Eurasia, e parte dell’Europa è già sotto pressione egemonica USAense attraverso la Nato.
A proposito della Nato, dovremmo chiederci quanto sia condizionata dalle scelte geopolitiche degli Usa e, quindi, quali azioni potrebbe autonomamente intraprendere, se in disaccordo con gli Usa. E ancora, le nostre forze armate quanto sono dipendenti da quelle Usa e quanta autonomia reale hanno nel controllo del territorio nazionale, e non solo sulla superficie del territorio e dei mari. Il fatto, per esempio, che molte delle risorse destinate alla difesa sono utilizzate per missioni all’estero dimostra che la dipendenza da scelte militari esterne è già in atto.
La presenza di truppe all’estero, quantunque presentate con l’assurdo termine “truppe di pace”, potrebbe in realtà mostrare l’evidenza che le nostre forze armate si stanno strutturando come supporto di altri e superiori organismi militari e che, sempre meno, avranno, da sole, il reale controllo dell’intero territorio nazionale.
«Sono padroni a casa nostra», riferendosi ai militari Usa, gridava nel consiglio comunale di Vicenza Emilio Franzina, prima di dimettersi per protesta da capo gruppo di Rifondazione Comunista.
C’è il dubbio che quello che accade a Vicenza rappresenti, appena visibile, l’estensione sottaciuta dell’applicazione dell’art. 11 della nostra costituzione, proprio quello richiamato dai nostri simpatici pacifisti, oltre che nella tutt’ora piena vigenza di “accordi” segreti militari imposti alla sconfitta Italia dal principale fra i paesi vincitori della seconda guerra mondiale.
Quale Governo ammetterebbe, palesemente, di essere impedito ad utilizzare in pieno il mandato ricevuto con regolari elezioni democratiche a causa di limitazioni esterne della sovranità sul proprio territorio nazionale. (Non abbiamo ancora visto rimbalzare sulla stampa lamentele del presidente iracheno sulle limitazioni di sovranità che il suo governo ha sul territorio occupato da truppe straniere).
Eccolo l’articolo 11 della nostra Costituzione:
Art. 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Un articolo 11 che ci spinge a guardare fuori dal nostro Paese, verso altri consessi internazionali e mondiali. Ma non è sufficiente riferirsi agli organismi internazionali per comprendere in che modo dobbiamo cercare di guardare oltre Vicenza.
Proviamo insieme ad osservare, se ne avete uno vicino, un mappamondo. Cercate di avere a portata di mano dei piccoli tondini colorati autoadesivi come quelli che si usano anche per selezionare con dei colori i libri, per intenderci. Avete davanti il mappamondo? Allora siete in grado di far aderire questi piccoli autoadesivi su tutti i territori dove gli Usa hanno piazzato delle loro basi militari, partendo dalla caduta dell’Unione Sovietica e continuando dopo l’attentato alle torri gemelle fino ai giorni nostri. Ora siete direttamente in grado di rilevare, inequivocabilmente, che l’obiettivo militare Usa è quello di circondare e penetrare l’area geografica Eurasiatica. Stiamo parlando di un terzo della popolazione mondiale, un quarto delle terre emerse, tanto per comprendere le grandezze in gioco.
Questo accerchiamento dimostra che gli Usa non vedono nelle loro prospettive strategiche un mondo multipolare. Ed è proprio il rifiuto strategico USAense di accettare un mondo multipolare che ha spinto la Russia, la Cina e l’India a stringere una serie di accordi di collaborazione e di sostegno politico reciproco. Questi accordi non comprendono solo scambi commerciali, economici e tecnologici ma anche accordi militari nel settore missilistico e aereo-spaziale.
Anche se potrebbe non fare piacere che sia detto, dobbiamo rilevare che si stanno determinando confronti non pacificamente agonistici. Confronti che potrebbero, purtroppo, creare le premesse future di uno scontro che, da tecnologico come è attualmente, potrebbe trasformarsi in aperto confronto militare quando uno dei due sfidanti dovesse ritenere di avere a disposizione il livello tecnologico necessario alla vittoria finale.
Visto che abbiamo usato la parola “quando”, dobbiamo ricordare che la riorganizzazione militare Usa, riguardante Vicenza, deve concludersi entro il 2010. Questa indicazione temporale ha un significato tattico/strategico che dovrà pur essere approfondito.
Intanto prendiamo atto che i tre più grandi Paesi dell’Eurasia stanno collaborando per la costruzione di nuovi motori per aeri, centrali nucleari, missili a lunga gittata, oltre che per vettori spaziali. È di pubblico dominio che la Russia e la Cina hanno l’obiettivo di raggiungere la Luna. Anche se va precisato che la Cina intende costruire da sola entro il 2007 la sua prima stazione spaziale.
Quanto a capacità tecnologiche, va sottolineato che la Cina, recentemente, ha accecato con un cannone laser un satellite spia USAense, ha abbattuto un proprio satellite obsoleto in orbita con un missile. Il Paese del celeste impero, che ha fatto progressi incredibili in pochissimi anni, è solo dal 2003 che ha iniziato a lanciare e a mettere in orbita capsule con astronauti.
Assume quindi un preciso significato l’intenzione Usa di «negare lo spazio ad altri se necessario». La frase appare nei documenti ufficiali della US Space Command.
Lo spazio esterno alla Terra (e chi già lo percorre?) è il vero motivo di frizione fra Usa da una parte e Cina e Russia dall’altra.
Chi avrà la capacità di occupare e controllare militarmente lo spazio esterno alla terra avrà anche il controllo della stessa terra (sempre che esistendo “chi già lo percorre” sia d’accordo).
Ecco quindi assumere motivazione il gigantesco piano di armamento della Cina volto a scoraggiare gli obiettivi dell’accerchiamento militare Usa.
Non deve essere sottovalutato, in questo contesto il confronto in atto sul controllo della rete mondiale Internet.
Durante il vertice della società dell’informazione (Wsis), tenutasi il 17 novembre del 2005 a Tunisi, la Cina è stata fra i paesi promotori della proposta di portare la rete Internet, considerata ormai patrimonio mondiale dell’umanità, sotto il controllo dell’ONU. Internet, infatti, è nata nell’ambito della ricerca militare (e si sa i militari quando cedono qualcosa ai civili vuol dire che, tecnologicamente, hanno superato di gran lunga quello che hanno ceduto).
Attualmente la rete appartiene ad una società privata (la Icann) che gestisce il nodo fondamentale – e quindi tutte le diramazioni internazionali degli indirizzi web e domini. Questa società risponde unicamente al ministero del Commercio Usa. Naturalmente il rappresentante Usa si è opposto a che Internet venisse posta sotto il controllo dell’ONU, mentre ha accettato che venisse costituita una commissione che studi il problema e proponga delle soluzioni. Se ne riparlerà al prossimo vertice: tutto rinviato al 2010 (ancora!).
Occorre anche dare la necessaria importanza geostrategica alla circostanza che la Russia, la Cina e l’India tengono regolarmente esercitazioni militari comuni. Né deve essere considerato privo di importanza che in questi ultimi due anni si sono più che consolidati i rapporti nei settori strategici civili e militari (energia, ricerche di alta tecnologia nel campo spaziale e militare).
Lo storico trattato di amicizia firmato fra Russia e Cina, il 16 luglio 2001, si è dimostrato, stranamente, profetico e strategico insieme, se nello sfondo si pone l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre di quello stesso anno. È infatti da quella data che ha iniziato a modificarsi prepotentemente e velocemente la strategia geopolitica Usa.
Ricorderete lo strano terremoto sottomarino che, nel dicembre del 2004, ha colpito il Golfo del Bengala con un disastroso Tsunami. Uno Tsunami molto particolare che pur non toccando le più vicine coste australiane ha invece colpito le più lontane coste del Kenia e della Somalia. Ebbene potrete trovare nella rete delle note scientifiche che mettono in discussione la “naturalità” di quell’evento. È stato sollevato il grave dubbio che il disastro asiatico sia l’effetto di nuove armi a disposizione dei militari Usa. Tanto che l’India, che ha ricevuto immediati aiuti sia dalla Cina che dalla Russia, ha ingiunto alle forze occidentali (Usa in testa) di stare lontano dai suoi territori (una delle aree colpite, a ridosso del Golfo del Bengala, è per l’India una vasta zona militare).
«Noi prevarremo» ha dichiarato, in modo sibillino, il Presidente degli Stati Uniti, Bush, in una conferenza stampa improvvisata dopo quattro giorni dalla catastrofe asiatica, dal suo Ranch a Crawford nel Texas. Bush è stato costretto ad intervenire a causa di una lapidaria accusa di disinteresse del Washington Post, che lo ha accusato di essere l’unico leader mondiale che se ne stava in vacanza mentre il mondo intero era in lutto.
Dalla tragedia delle torri gemelle gli Usa hanno dato maggiore impulso ad una politica a tappe forzate tendente ad incrementare la nascita di micro staterelli etnico-confessionali.
Le prove generali sono state fatte in Jugoslavia. In nome della protezione etnica è stato distrutto un paese multietnico proprio di fronte alle nostre coste adriatiche.
L’Italia, affaccendata da tangentopoli, non è stata in grado di occuparsene. Anzi se ne è occupata dopo, partecipando alla guerra alla Serbia mobilitata militarmente perché non voleva perdere la regione del Kosovo, culla del cristianesimo ortodosso (come se noi non volessimo perdere il Lazio per intenderci).
Per cogliere le metodologie USAensi volte a determinare la rottura delle unità interregionali funzionali alle esigenze di un impero (“dividi i popoli e governali” era il motto dell’impero romano) è sufficiente ricordare quello che ha dichiarato l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema nella trasmissione televisiva Porta a Porta. Nella notte fra il 6 e il 7 marzo 2006 alle ore 24,15: l’attuale ministro degli Esteri ha detto sostanzialmente: «Durante la guerra nei Balcani (il Kosovo) gli Stati Uniti favorivano l’entrata di guerriglieri fondamentalisti a fianco dei combattenti musulmani contro i serbi. Noi facemmo notare il pericolo futuro di questa scelta, ma gli americani continuarono nel loro operato e dopo si vide quanto questa scelta fosse pericolosa». L’evidenza dimostra che favorire il fondamentalismo non era una scelta tattica, ma una decisione precisa e strategica, che è stata applicata anche in altre circostanze.
Una tattica che non è limitata alla penetrazione subdola di combattenti islamici fondamentalisti. Anche far entrare persone ben addestrate, al seguito delle Organizzazioni non Governative, dentro i paesi a ridosso della Russia, come per esempio l’Ucraina (la rivoluzione arancione) potrebbe far emergere meglio la tattica virale utilizzata.
L’assordante rumore del rimbombo mediatico della guerra al terrorismo nasconde le vere motivazioni di una riorganizzazione e ricollocazione delle truppe Usa nel mondo dentro e intorno all’Eurasia. Le Forze armate Usa si stanno preparando ad utilizzare nuove e più sofisticate armi, non solo di natura elettronica, o genetico-chimica (si parla anche di micro bombe di antimateria), nel prossimo conflitto armato in gestazione.
Come in un mastodontico gioco, simile al nostro Risiko, le truppe – più Usa che Nato – hanno occupato prima l’Afghanistan, dove hanno piazzato le loro basi militari sotterranee (a ridosso della Cina e non solo, provvisoriamente, a ridosso dell’Iran). Gli Usa hanno quindi iniziato ad occuparsi dei Paesi caucasici (e del loro petrolio), orfani del defunto impero sovietico, poi, hanno occupato l’Iraq. È credibilmente ipotizzabile che anche in Iraq (come in Italia e in Giappone) siano state costruite basi militari sotterranee, e, in questo caso, quanto potrebbe essere credibile che abbiano occupato profondi siti collegati all’antica Babilonia, resi, da tempo, visibili dai loro speciali radar satellitari. Ipotesi naturalmente.
Il settimanale Panorama del 15 febbraio u.s ha rivelato l’esistenza di un rapporto “segreto” di 12mila pagine predisposto dall’opposizione interna iraniana. Nel rapporto verrebbe dimostrato che l’Iran fornisce uomini fondi e armi alle milizie sciite in Iraq. La credibilità del rapporto viene ritenuta elevata, ma non dovrebbe essere una novità per l’Intelligence Usa. Infatti è da tempo che le popolazioni che vivono al confine fra i due paesi vedono aerei militari Usa sorvolare i loro territori.
Aerei che, certamente, non sono partiti da Aviano, ma dal territorio iracheno
Sono trascorsi quattro anni dall’occupazione militare dell’Iraq e deve essere ritenuto credibile che le forze Usa dispongano di aeroporti militari, perfettamente operativi nel territorio iracheno. Senza contare le portaerei che stazionano nei dintorni e, soprattutto la super base Usa in Qatar, che è lì a due passi. E poi, se proprio gli Usa ritenessero necessario sferrare un attacco aereo sull’Iran perché utilizzare Aviano. Le basi Usa terrestri, sotterranee e sottomarine che si trovano in Sicilia (e nei suoi dintorni) sono molto più vicine all’Iran e quindi più funzionali, quanto a minore distanza, delle basi del nord est italiano.
Davvero Vicenza ed Aviano sono le principali sentinelle europee contro il terrorismo islamico? O, piuttosto, è il contenimento e la pressione militare sulla Russia il vero motivo per il quale il nord-est italiano è stato inserito nella più complessa e sofisticata riorganizzazione delle strutture militari Usa in Europa?
Durante il conflitto fra Israele e il Libano, causato del rapimento di militari israeliani ad opera dell’esercito privato degli Hezbollah, un missile israeliano ha colpito una postazione ONU uccidendo i quattro osservatori che stavano all’interno dell’edificio. L’osservatore canadese, maggiore Hess Von Krodner, uno dei quattro osservatori uccisi (gli altri tre erano un austriaco, un cinese e un finlandese), aveva inviato una e-mail al suo ex-comandante, sei giorni prima. Aveva scritto che gli Hezbollah facevano uso della postazione dell’Onu, dove si trovava come osservatore con gli altri tre militari ONU, per sparare contro il territorio israeliano. Esattamente ecco cosa ha scritto: «Ciò che posso dirti è che la nostra postazione si trova al centro degli scontri tra gli israeliani e gli Hezbollah, i cui uomini circolano tutto attorno, e la usano come riparo per sparare contro Israele. La nostra postazione è stata sotto il fuoco diretto e indiretto delle due parti, sia artiglieria sia bombardamenti dal cielo. Un proiettile di cannone è esploso a due metri dalla nostra posizione e una bomba d’aereo a cento metri. Non è stato un colpo intenzionale ma una necessità tattica».
Perché riporto questo episodio? Perché non credo che sia una bella idea quella di piazzare una base militare dentro una città come Vicenza – nessuna base militare dovrebbe stare dentro una qualunque altra città – rendendo, di fatto, gli abitanti di quella città degli ostaggi e quindi, come ci ha lasciato scritto il maggiore Hess Von Krodner, le risposte del “nemico” – quando scoppia un conflitto – possono concretizzarsi come necessità tattiche che possono non tenere conto di eventuali vittime civili.
Siamo obbligati poi a notare che l’operazione riguardante l’ampliamento della base militare Ederle è strettamente coordinata alla progettata trasformazione militare della 173a brigata aerotrasportata USAense (non Nato) nel 173° Airborne Brigade Combat Team. È a questa riorganizzazione coordinata all’uso di micidiali e sofisticate armi, molte delle quali potrebbero essere sconosciute perfino ai livelli intermedi delle forze armate Usa, che è stato dato il nome di “Pugno di Combattimento”. Solo se viene interpretato in questo modo la denominazione “Pugno di Combattimento” è in grado di trasmettere quello che racchiude: la potenza di un maglio, raccolta nella mobilità di un pugno chiuso.
Siamo anche costretti, a questo punto a fare una annotazione particolare. Il pugno chiuso potrebbe anche essere considerato rappresentativo dell’ex Unione Sovietica comunista. Può nascere il fortissimo dubbio che il maglio – pugno chiuso – in realtà non serva contro i terroristi islamici ma abbia una precisa funzione anti-russa?
Sono innegabili e visibili le iniziative Usa affinché la Palestina e Israele si riconoscano reciprocamente come Stati e riconoscano anche reciprocamente il loro diritto all’esistenza. Questo dimostra che la diplomazia USAense non vuole mantenere all’infinito il fondamento motivante del terrorismo islamico e che, di conseguenza, il terrorismo islamico, in nessuno modo, può giocare un ruolo strategico negli obiettivi futuri USAensi.
Per questi complessi motivi, sia pure sinteticamente accennati, diventa necessario comprendere con chiarezza se, in un futuro molto prossimo, l’Italia si prepari a sostenere gli Usa in un’avventura militare non ancora dispiegata nello scenario mondiale. Un’avventura che potrebbe mettere a repentaglio le popolazioni che vivono intorno e sopra le basi Usa, non solo nel Nord Est, ma anche nel resto del Paese. Perché queste stesse basi militari e i circostanti territori civili potrebbero in caso di conflitto trasformarsi in obiettivi “obbligatori e tattici” a causa della reazione di un paese che da queste basi ricevesse un attacco. È esattamente ciò che è avvenuto durante il conflitto fra Israele e Libano: quattro osservatori ONU sono morti a causa della reazione militare israeliana contro la loro postazione nei pressi della quale partivano attacchi contro il territorio israeliano, come nelle righe precedenti è stato sottolineato.
Da questa raccolta di informazioni nasce una domanda seria e pacata: i Cittadini italiani, secondo i loro rappresentanti istituzionali, avrebbero il diritto di sapere per quanto altro tempo, dopo i sessant’anni trascorsi dall’ultimo conflitto, dovranno accettare lo stazionamento di truppe non italiane nel loro territorio?
Non dovrebbe essere necessaria un’altra guerra per ritornare un paese libero e normale nel quale le alleanze e le collaborazioni militari fra eserciti amici si realizzino in modo altro: cioè si basino su condizioni paritarie dove, almeno, “il primo fra i pari” sia il padrone di casa.
Ecco perché da Vicenza siamo costretti a guardare oltre. Oltre Vicenza c’è l’Italia e il resto del mondo.
È il resto del mondo che dobbiamo cominciare ad osservare con più attenzione, prima che il mondo, a nostra insaputa, ci caschi addosso.
7 giugno 2007
(la prima stesura è stata pubblicata su www.nexusitalia.com il 23 febbraio 2007)