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Il neofascismo fu una creazione sinarchica di Paneuropa?

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Partiamo da una piccola curiosa riflessione, di natura simbolica, che come tale ha un suo preciso ed importante significato da non sottovalutare. Sarà un caso che negli anni Trenta ogni movimento nazional-rivoluzionario aveva il suo simbolo (svastica, fascio, falange, croci frecciate, o il simbolo di Vichy, il tricolore francese con l'ascia bipenne) e poi nel secondo dopoguerra da un certo punto in poi la "celtica" si affermò come unico simbolo trans-nazionale? E così anche lo slogan Europa Nazione? Chi è che reggeva le fila di questo processo? La celtica già era simbolo di Paneuropa (o Unione Paneuropea), l’associazione fondata dal conte Coudenhove-Kalergi, già dal 1923! Una forma di croce celtica compariva in tutte le opere di Kalergi, sul frontespizio del libro, come “segno di apparteenza”. 

In questo articolo formuliamo l’ipotesi che nel dopoguerra fu creato un certo filone per influenzare tutti i movimenti di estrema destra del dopoguerra ed orientarli in modo che non ostacolassero o magari favorissero la creazione di un unico Super-Stato europeo, come del resto anche i partiti di governo, ma in maniera diversa. Anzi riteniamo che l’estrema destra – con le sue trasformazioni ideologiche – si dimostrò un cavallo di Troia di particolare importanza: questo mondo non doveva più opporre resistenza al processo di integrazione europea tramite il nazionalismo; infatti da un certo momento in poi il nazionalismo verrà criticato o "superato" nella Destra radicale, come nucleo ideologico, e sostituito da identitarismi vari, regionalismo invece che nazionalismo, e a volte anche derive separatiste (vedasi la Lega Nord), o con riprese dell'evergreen mito "imperiale". Il rigetto dell'idea di nazione come "centro di riferimento" fu il segnale del "contrordine camerati”: lo Stato nazionale non andava più bene e cominciava ad essere criticato, da un certa corrente, come idea superata. La tendenza del pensiero della Destra radicale, negli ultimi due o tre decenni sembrava tendere a sfasciare dall'interno gli Stati nazionali, risvegliando identitarismi locali o regionali. Disgregare gli Stati nazionali in stati regionali più piccoli e poi federarli nel Superstato europeo. Questa grande operazione di ingegneria sociale fu sicuramente la strategia che "a destra" si cercò di rendere credibile per far digerire ai movimenti il progetto europeo, ed anche favorirlo. Si parlava già dalla sua origine di misteriosi finanziamenti ai movimenti separatisti e secessionisti, come quelli delle banche bavaresi alla Lega Nord. Fu questo "identitarismo" uno dei segni caratteristici della cosiddetta Nouvelle Droite, colta, intellettuale, destinata ad andare oltre le contingenze di un movimento estremista e di piazza. Il movimento Fiamma Tricolore rautiano, sorto dalla scissione di Fiuggi, ebbe da subito, nel suo programma la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa (praticamente i radicali di Emma Bonino sarebbero la versione liberale dello stesso fronte occulto). Della svolta sionista di Fini, delle sue precedenti entrature nelle logge inglesi, di cui ben si sa, e che gli costarono l’odio di molti camerati, che comunque nulla fecero per impedire la sua “svolta”, già si sa. Quello che invece è meno evidente, è che anche i movimenti tecnicamente neo-fascisti, duri e puri, facevano parte di questo disegno strategico. 


Se pensiamo che questo non è possibile, pensate alla struttura “Hyperion” e all'organizzazione “Stay-behind” con cui la CIA infiltrava tutte le organizzazioni militari e terroristiche di estrema sinistra (ma anche l'Eta, l'IRA, alcuni gruppi di palestinesi, etc.), immaginare che nulla di ciò fosse fatto nel mondo dell'estrema destra e del neofascismo sarebbe veramente, questo sì, segno di una mente contorta, o persino troppo ingenua per essere in malafede. 
Riteniamo quindi, in realtà che l'entità paneuropeista cercasse già di influenzare i fascismi anche negli anni Trenta. Forse Julius Evola fece da pronubo all'incontro fra Kalergi ("ambasciatore" del piano paneuropeo presso i governi) e Mussolini, nel periodo della visita nel 1933, anno in cui Evola intervistò peraltro il conte Kalergi. Del resto Evola era un simpatizzante austroungarico, e nell’Associazione Paneuropa vi era anche il giovane Ottone d'Asburgo, che ritroveremo più tardi. Evola nutriva una certa stima per Kalergi, cosa che pochi studiosi del Barone conoscono. In uno scritto minore, Il nuovo “mito” germanico del “Terzo Regno” (1932), Evola annovera Kalergi, insieme Spann, Everling, e Rohan, fra i maestri moderni del pensiero monarchico-tradizionale, ed elogia il diplomatico austriaco come un “un pensatore significativo della nuova Germania”. Fu grazie ad Evola che diversi scritti di Kalergi furono pubblicati su Diorama filosofico e Regime fascista, le principali riviste dirette da Farinacci. Sappiamo che Coudenhove-Kalergi scrisse per una rivista italiana di orientamento fascista eterodosso, insieme all’attivista fascista inglese sir Oswald Mosley. Ci riferiamo alla rivista del “pan-fascista” Asvero Gravelli, dal titolo di Antieuropa. La rivista fu attiva dal 1929 al 1936, e si rivolgeva allo scopo di creare una sorta di “Internazionale fascista” fra i vari movimenti nazional-rivoluzionari europei, ma le prospettive che vi si affacciarono sembrano andare oltre una semplice alleanza fra Paesi fascisti.

Notiamo che già l’uso del suffisso Pan- sembra richiamare sinistramente l’influsso kalergiano. Siamo negli anni in cui questo ambiente cerca per la prima volta di trovare una strada nei movimenti fascisti, piegandoli in senso paneuropeista.  Alla rivista di Gravelli – che comunque perse il favore di Mussolini, e che venne sospesa nel 1936 – partecipa anche O. Mosley, fondatore del British Union Fascist e poi, dopo la guerra, del Movement Union. Questa associazione è molto interessante, perché il fondatore del Movement Union sarà colui che di lì a qualche anno inventerà lo slogan di “Europe a nation” cioè un fantasioso progetto di fusione degli Stati europei in un unico Stato europeo e di assimilazione dei popoli europei in un'unica futuribile nazione (attraverso un progetto di ingegneria sociale o etnica similare a quello che Kalergi prospettava in Praktischer Idealismus?).

“Europe a nation”, nella sua traduzione nelle varie lingue nazionali (da noi ‘Europa Nazione’) divenne poi la parola d’ordine dei movimenti neofascisti, come vedremo dopo.  Per inciso, se abbiamo parlato di “Ingegneria sociale” è perché l’Europa, come sappiamo, non è una nazione ma un continente di diverse nazioni, affini storicamente ma non uguali e il fonderle per farne una sola “nazione”, senza tener conto che ciò comporterebbe la distruzione di intere identità culturali e linguistiche per la creazione di un ibrido mostruoso, non può che essere un progetto di manipolazione sociale ed etnica, dirigista e probabilmente anche violento nella sua attuazione. Tale manipolabilità delle nazioni europee in vista di un progetto di ingegneria sociale risulta più comprensibile se si condivide l’assunto di fondo di Kalergi in Paneuropa, dove  sostiene che le attuali nazioni europee non siano delle “comunità di sangue” (Blutgemeinschaft), ma solo “comunità di spirito” (Geistesgemeinschaft), aventi non tanto antenati in comune ma miti ed eroi comuni, rimpiazzabili quindi con altri miti attraverso l’educazione. Le nazioni sarebbero perciò, come si dice oggi nel lessico della sociologia ‘liberal’, solo dei prodotti culturali. La “razza” invece per Kalergi è qualcosa di più sostanziale, e lo testimonia l’importanza che dedica in Pr.Id. all’eugenetica per la futura classe-razza dominante e alla composizione di quella subalterna. 


In realtà il progetto di Mosley era un progetto per l’Eurafrica, perché avrebbe incluso anche i dominions britannici e le colonie francesi in Nordafrica. L’accostamento è molto interessante perché anche Kalergi teorizzava una Eurafrica (cfr. Paneuropa-Manifest. Paneuropa. Nr. 9, 1933.), e l’idea, espressa in Pr.Id., di un mescolamento etno-razziale anche con i popoli africani, che avrebbero portato certe nuove caratteristiche “vitali” nelle razze europee, caratteristiche funzionali alla sua idea della futura classe subalterna. Quindi sia Mosley che Kalergi erano per l’unione eurafricana, anche se con prospettive probabilmente diverse in merito alla gestione dei mescolamenti etno-razziali: per queste diverse interpretazioni del razzismo e della classe-razza subalterna (si veda il lavoro di Matteo Simonetti, Kalergi la prossima scomparsa degli europei, Nexus edizioni). Mosley ad esempio sostiene che in Africa bianchi e neri debbano restare separati, e forse questa sembra l’unica divergenza fra i due. A parte ciò, i punti di contatto sono numerosi e l’accostamento merita più di una riflessione; ricordiamo anche che alcuni progetti di integrazione europea della U.E. avevano previsto in passato l’estensione dell’unione politica anche agli Stati nordafricani. In ogni caso tale prospettiva sembra oggi meno sorprendente, dato che i flussi migratori accettati dall’Unione Europea stanno già portando gli africani arabi e quelli sub-sahariani in Europa.  

Nel dopoguerra Mosley scrive un testo, The Alternative (1947) in cui affermava la necessità di superare il nazionalismo seguito fin lì dai fascismi pre-bellici e cercare un nuovo paradigma. Il modello di Mosley era molto radicale e prevedeva neppure una federazione di Stati ma un modello di integrazione totale in unico Superstato multinazionale (si confronti il testo di Geoffrey Harris, The Dark Side of Europe: The Extreme Right Today, Edinburgh University Press, 1994, pagg. 30-31. Il testo di Harris dà un’esegesi accurata del modello statale pensato da Mosley.) In realtà la suggestione di un modello federativo inter-nazionale di Stati europei fece capolino sul finire della guerra anche nel Manifesto di Verona, la costituzione della R.S.I., anche se solo come punto programmatico-ideale da realizzarsi a guerra finita. Il fascismo inglese fu dunque il principale sostenitore di questa visione. Curioso anche che i transfughi del neofascismo italiano durante gli anni ’70 trovarono facile ospitalità a Londra.
In realtà la corrente “europeista” o “euronazionista” (usiamo questo neologismo tecnico) nel dopoguerra non fu in realtà affermata da subito, anzi si trattava di un’idea che non fece più la sua comparsa nei partiti e nei circoli culturali (oggi diremmo think tank) della destra dei vari Paesi europei, ad esempio il Front National in Francia e l’MSI in Italia, anzi diciamo che di queste idee non se ne parlò veramente quasi più, se non in forma del tutto marginale. L’orientamento di questi partiti rimase sostanzialmente fascista e nazionalista, schierata in difesa della continuità dello Stato nazionale come erede dei risorgimenti e del nazionalismo otto-novecentesco.


La sua ri-apparizione fu nel movimento della Jeune Europe di Jean-Thiriart, un movimento fascio-europeista o euronazionista, che si discostava come formazione politica extraparlamentare dai partiti dell’estrema destra dell’epoca, e ripresentava il modello di fascismo europeo sinarchizzato di Mosley. Non a caso vi aderì anche lo Union Movement fondato da Mosley. E il simbolo di questa corrente, che andò ad influenzare i gruppi giovanili del neofascismo europeo fu – e a questo punto è impossibile credere alla “casualità” – proprio la Croce Celtica, nella versione che conosciamo, leggermente differente da quella presente nella copertina delle opere di Kalergi e della sua Paneuropa, ma sempre di nuovo troviamo lo stesso simbolo affianco ad organizzazione europeista. Due indizi fanno una prova. Andiamo avanti: il movimento di Thiriart durò ufficialmente dal 1963 al 1969, ed ebbe diverse filiazioni (fra gli italiani vi aderirono Mutti, Cardini e Borghezio).Thiriart proveniva precedentemente da ambienti giovanili di sinistra. È curioso che questo “esperimento” di fascismo post-nazionale sia nato proprio in Belgio, uno dei pochi Paesi europei a non avere una vera identità di Stato nazionale. Se vogliamo si potrebbe anche fare riflessioni sul fatto che il Belgio è attualmente la sede delle principali istituzioni europee. Il progetto della destra belga non riscosse immediato successo presso le altre formazioni degli altri Paesi e il congresso di Venezia del ’62 finì in un fallimento, anche per l’opposizione del MSI e dei gruppi dell’estrema destra tedesca. I belgi tuttavia vanno avanti e formulano un manifesto per ‘L’Europa nazione’, dove si prospetta il superamento dei “piccoli nazionalismi” ma addirittura si rigetta l’idea di una Europa federale o “delle Patrie” (definite idee “senili”) e la creazione di un’unica Nazione Europea. Vi si prospetta il superamento della democrazia rappresentativa e la creazione di un corpo di rappresentanza della Nazione Europea “basato sulle province europee e composto delle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti e delle lettere” (cosa che ricorda la definizione di potere sinarchico come in Saint-Yves d'Alveidre, cioè di un potere meno elettivo e sostanzialmente tecnocratico, come già vediamo delinearsi nella attuale Unione Europea, ma che non è estraneo neanche alle idee oligarchiche e classiste esposte in Pr.Id. in Paneuropa da Kalergi). 
Il progetto del Partito Nazionale Europeo di estrema destra si interruppe nel 1969, ma gli scritti di Thiriart, la sua eredità politica e il simbolo della celtica, continuarono comunque a diffondersi in modo lento ma costante, soprattutto negli ambienti giovanili e in contrasto ad esempio con la dirigenza “parlamentare” missina. Il simbolo della celtica cominciò ad essere universalmente diffuso come emblema del neofascismo, almeno in Italia, solo dopo gli anni ’70 o meglio dai primi anni ’80, con l’esperienza dei Campi Hobbit. La celtica diventò un simbolo universale dei neofascisti sostituendo gradualmente nei movimenti giovanili, simboli preesistenti, lo storico fascio littorio, la “parlamentare” fiamma del MSI, e quelli più circoscritti delle varie singole organizzazioni poi disciolte (la Bipenne di ON, la runa e il martello di Terza Posizione etc.). Al contempo l’eredità post-nazionalista della Jeune Europe veniva raccolta negli anni ‘80 dagli eredi di Thiriart con la Nouvelle Droite di De Benoist e Tarchi e diversi altri autori del filone che si situa nel solco post-nazionalista, che se da un lato muovevano una critica al globalismo, dall’altro sviluppavano argomenti che promuovevano il rigetto del nazionalismo ottocentesco, la svalutazione dello Stato nazionale e il suo superamento in favore di strutture sovrannazionali che saranno già una micro-globalizzazione, o un’attuazione del globalismo su scala continentale (i “Grandi Spazi”). Di fatto tale corrente di pensiero era un’edulcorazione per far accettare nell’estrema destra, i già prescritti piani di “integrazione europea”, creare un consenso a destra e prevenire quello che oggi vediamo nascere come “sovranismo” (ma all’epoca si sarebbe chiamato tranquillamente “nazionalismo”) affinché l’estrema destra non costituisse un collante ideologico contro la creazione degli Stati Uniti d’Europa (all’epoca C.E.E.).
Si può dire che uno stesso pensiero europeista, o meglio il progetto politico portato avanti da un’élite trans-nazionale, abbia preparato diverse versioni del piano, adattandolo ai diversi schieramenti o aree politiche. L’estrema destra, dati alcuni suoi trascorsi e la semina operata dall’azione di lobbying di Kalergi e dei suoi emuli (Mosley fu certamente uno di questi), si prestò bene a questa operazione, e la traccia rimane in alcuni marchi di fabbrica (ad esempio la celtica, altrimenti poco giustificata come simbolo politico, anche se conosciamo le varie spiegazioni “ufficiali” con cui fu motivata questa simbologia dalle formazioni giovanili).

Vediamo quindi dalla fine degli anni ’60 un neofascismo artefatto, artificiale, già manipolato dalle élites cripto-europeiste, secondo suggestioni verso cui i fascismi originari degli anni ’30 furono molto più impermeabili (del resto la contraddizione in termini fra un fascismo dottrina dello Stato-nazione e le idee dei neo e postfascismi di superamento dell’idea di nazione è così evidente da non lasciare dubbi sul fatto che fra le due dimensioni non vi sia veruna continuità reale!).
In questo modo veniva a crearsi un consenso europeista in tutte le aree politiche dalla sinistra comunista (che in quegli anni si staccava dal PCUS per creare l’eurocomunismo), fino all’estrema destra neofascista che gradualmente verrà “redenta”, in cambio della disponibilità ad edulcorarsi, e gradualmente cooptata in area parlamentare e di governo come abbiamo visto accadere grazie alle svolte di cui fu principale artefice Gianfranco Fini, con l’esperienza del centro-destra italiano. Nasce quindi quello che oggi sappiamo essere il “PUDE”:  “Partito Unico dell’Euro”. In questo scenario vediamo che alcune formazioni neo- o post-fasciste (o non si sa più cosa, visto il polimorfismo ideologico che vi si manifesta, in cerca di sempre nuove “sintesi”) difendono la costruzione europea come necessaria e ineluttabile, pur pretendendo di criticarne alcuni aspetti come l’orientamento economico liberal-capitalistico che queste dichiarano, senza neppure credervi, di poter riformare dall’interno e di trasformare poi in qualcosa di “più consono” alla propria visione.  È scontato che a ciò non potranno arrivare, ma in cambio i loro dirigenti verrebbero compensati con agibilità politica, visibilità, possibilità di scrivere sui giornali ed altre regalie di questo livello. Opposizione fittizia che a volte non si nasconde e si traduce in manifesto sostegno: se si accede al sito www.oswaldmosley.com, alla voce ‘Europe a Nation’ compare in bella vista la scritta “United State of Europe” sullo sfondo della bandiera dell’attuale Unione Europea!
Un altro esempio di una sospetta filiazione para-kalergiana lo si può trovare nel recente “1° congresso Paneuropa”, tenutosi nell’ottobre del 2018 in Ucraina: con la sigla “Paneuropa” il gruppo banderista ucraino, atlantista e russofobo, “Corpi nazionali dell’Azov” cerca il gemellaggio con diverse sigle neofasciste europee e italiane. La sigla si associa immancabilmente con il simbolo della celtica gialla di Kalergi (quella con le braccia che non escono dal cerchio) peraltro sul fondo blu scuro dell’Unione Europea, diverso dall’azzurro chiaro dei colori nazionali ucraini. Difficile evitare di pensare a messaggi impliciti, del resto non sarà un caso se si parlò sin da subito di Euromaidan, dove già il nome tradisce il tentativo dell’Unione Europea, per conto della Nato, di reclutare il nazionalismo ucraino nella propria sfera di influenza e contro la Russia. Come all’inizio non ci si sforza di nascondere certe filiazioni – filiazioni comunque ignorate dai gregari e dai quadri, ma forse non ignote ai dirigenti – anche se oggi, a differenza dei tempi di Thiriart, la conoscenza della provenienza politica di quel simbolo si è resa evidente. È anche comprensibile che chi dirige certe meccaniche sociali usi questo apparato simbolico secondo la scienza dei simboli, conoscendo l’uso subliminale di essi. Oggi, che le opere di Kalergi sono note ad una platea più vasta, si sarà costretti a non abbandonare questo apparato simbolico, pena la perdita delle posizioni di potere psichico acquisito. La metodica che verrà tentata sarà a questo punto quella di riscoprire Kalergi, superando l’imbarazzo di farlo entrare nel novero dei pensatori di riferimento, sminuendone comunque l’importanza, oppure magari criticandone localmente alcune idee, allo scopo di “normalizzare” l’impatto psicologico derivato dalla scoperta dell’influsso che la sua organizzazione ha realmente esercitato. Insomma si cercherà di stendere un cordone sanitario per prevenire ogni possibile “teoria del complotto”. 
Torniamo ora indietro, prima che fosse concluso il disastro della guerra e si imponesse la necessità di ricominciare con altri regimi e un'altra classe politica. Si tenga conto che, ufficialmente, il Terzo Reich mise al bando Paneuropa, ma parliamo di un’organizzazione che associava aristocratici, ex diplomatici, banchieri, industriali: non mancavano quindi i contatti per tenere in piedi la struttura in regime di clandestinità, anche dopo l'Anschluss. Non a caso, curiosamente, Evola si trova a Vienna (fu la capitale degli Asburgo patria di Kalergi, nel frattempo riparato in Svizzera) alla fine della guerra nel '45 quando fu ferito. Cosa ci facesse Evola è un mistero (il gossip evoliano dice che fosse a lavorare per conto della Ahnenerbe sulla “decifrazione” di documenti massonici ma è poco credibile: le SS lo sorvegliavano, era un individuo da controllare, non un collaboratore; e il non essere massone rende l'idea che fosse impiegato come studioso del settore praticamente inverosimile). Non va dimenticato poi che Evola negli anni prima della guerra si occupava di svolgere, per sua ammissione, alcuni incarichi “diplomatici” (vedansi suoi viaggi in Ungheria, Romania etc.), non si sa per conto di chi e su questo la biografia di Evola mostra delle reticenze. Non dobbiamo perdere di vista alcuni dati essenziali: a Paneuropa aderivano tutte figure importantissime ma una in particolare, il politico proto-europeista Ottone di Asburgo-Lorena, che sarebbe stato erede al trono dell’impero asburgico se esso non fosse caduto nel 1918 e che poteva disporre ancora di un notevole patrimonio economico personale, oltre che di una rete di contatti fedeli, per potere finanziare e contribuire in modo sostanziale alla costruzione di cui Kalergi fu solo uno dei divulgatori. E nel 2004, alla morte dell’eminenza grigia Otto von Habsburg, già parlamentare europeo della CSU nella sua longeva parabola personale, ai suoi funerali il feretro fu accompagnato non solo dalle bandiere imperiali della Casa d’Asburgo, ma anche da  quelle dell’associazione Paneuropa, con la croce celtica rossa su cerchio giallo e sullo sfondo blu stellato dell’Unione Europea. Evola nutriva una vera infatuazione per gli Asburgo e il modello imperiale, e chissà che non abbia fatto da ponte per qualche organizzazione clandestina che sotto la veste paneuropea non operasse per la restaurazione del potere asburgico, sia pure in una veste ormai sinarchica e tecnocratica. La nostra è, in questo caso, una semplice ipotesi. L’imperialismo evoliano  e la sua critica al nazionalismo e all’idea di nazione (in quanto “moderna” e “giacobina”) tesi che già compare in quegli anni in Rivolta contro il mondo moderno, fu un vero booster per tutti i successivi movimenti neo-fascisti che, in contrasto con il fascismo autentico, nazional-rivoluzionario, si muovevano già in un ottica paneuropea e anti-nazionalistica e rifiutavano il modello giuridico e politico tecnicamente e autenticamente fascista. La lettura evoliana fu una vera fortuna per le derive paneuropee del neo-fascismo, dopo che Evola provò negli anni ’30, piuttosto infruttuosamente, ad influenzare i movimenti e i governi fascisti dell’epoca. In realtà non sappiamo che posizione avesse Evola rispetto al “Paneuropeismo” di Kalergi, osserviamo però che a quanto risulta non si espresse mai negli ultimi decenni di vita, nei suoi articoli su giornali e riviste, in merito all’allora in corso progetto di integrazione europea. Un silenzio assordante e, forse, reticente…  La nostra ipotesi è che Paneuropa sia nata come tentativo, dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale – prima tentando per via politica ufficiale, poi con il lobbying – di ricostruire il potere imperiale asburgico ed anzi estenderlo, sia pure nella forma di un nuovo ordine europeo, azzerando il processo di autodeterminazione dei popoli affermato attraverso i risorgimenti nazionali di cui la Grande Guerra fu il culmine. Così i “vinti torvi imperi” della canzone del Piave, trovarono modo di ri-organizzarsi in un nuovo modello politico. A conferma di ciò rileviamo che il nome di Magna Europa (la versione latina di Paneuropa) è ripreso anche da Alleanza Cattolica, formazione tradizionalista di estrema destra, attualmente presieduta da Massimo Introvigne, il cui organo ufficiale, Cristianità (n. 261, 2011) in un articolo in occasione dei funerali di Ottone d’Asburgo presentava Kalergi come il rifondatore del Sacro Romano Impero distrutto dalla Grande Guerra. 
Il tentativo iniziale di infiltrazione da parte di Paneuropa verso i fascismi non fu possibile, in primis per la naturale opposizione che questo modello avrebbe trovato presso l’ideologia fascista (che è invece l’espressione più sistematica dello Stato Nazione come principio), in secundis per il fatto che l’organizzazione fu messa al bando dal Terzo Reich. Di fatto, malgrado un certo successo presso Mosley e uno più timido nel fascismo italiano ormai prossimo alla capitolazione, la Paneuropa di Kalergi non riscontrò grossi entusiasmi presso i governi fascisti. Il fatto che poi questi regimi furono spazzati via dalla Guerra tolse ogni prospettiva ad una futura apertura, ma il proteo paneuropeo era comunque in azione, e presto si sarebbe rivolto alla nuova classe politica antifascista e ai più vicini collaboratori, quelli “del Manifesto di Ventotene”, la corrente liberale dello stesso comune progetto autoritario e sinarchico dello Stato europeo. Le élites hanno giocato su più tavoli, perché questa era ragionevolmente la strategia più vincente. Il neo-fascismo fu un veicolo marginale (non era un movimento di massa né di governo, tuttavia poteva diventarlo e in chiave strategica era necessario manovrarlo). E mentre l’estrema sinistra era meno incline a subire questa manipolazione essendo ancorata alla monolitica ortodossia marxista, per il neofascismo che si dimostrò subito un laboratorio di varie ibridazioni politiche la cosa fu molto più semplice, mercé anche un imprinting che alcune figure di spicco dell’area avevano già ricevuto (esemplare il caso di Mosley, probabilmente morso dal ragno di Kalergi e sarebbe interessante scoprire se vi fossero anche contatti diretti fra i due) e anche perché l’estrema destra non ebbe una vera ortodossia essendo stata ricettacolo di vari filoni, da quello autenticamente nazional-rivoluzionario, giacobino, a reazionario, ultracattolico, conservatore, difensore del feudalesimo e delle strutture giuridiche premoderne, di cui Evola, pur non cattolico ma incline ad accostate con il potere asburgico, fu certamente uno dei più energici interpreti. Questo coacervo trasversale ed incoerente, che si muoveva sul rifiuto più o meno diretto della “Dottrina fascista dello Stato” (troppo moderna, giacobina e illuministica) fu un naturale campo di sperimentazione ideologica. Ciò che serviva era creare un deposito ideologico anti-nazionale, funzionale al processo di devoluzione degli Stati nazionali, che ovviamente era un vero tradimento dell’ideologia fascista, anzi questa manipolazione sembra addirittura una vera e propria “inversione” della direzione politica originaria di quell’area. Per ottenere una tale completa manipolazione speculare a sinistra, ci volle molto più tempo, la crisi dell’URSS e dell’ideologia marxista fu il passo necessario perché ciò potesse avere pieno compimento. Riteniamo comunque che ci sia un evento speculare a sinistra: l’imporsi della Scuola di Francoforte, nata in un arco piuttosto lungo, ma la cui affermazione come ampio modello culturale cominciò anche qui nello stesso periodo in cui nascevano i prodromi della Nouvelle Droite, gli anni ’60-’70. Nasceva ora il nucleo di una sinistra post-marxista, ‘liberal’, decostruzionista, che non aveva più una classe sociale popolare di riferimento e che, come stiamo vedendo, si presta benissimo ad integrare l’agenda politica delle élites liberiste in America ed ordoliberali in Europa: è il ‘Marxismo culturale’ la corrente di sinistra funzionale alle centrali di potere globaliste, o se vogliamo l’ideologia della corrente progressista di queste élites, così come l’ala conservatrice ha le sue. Tale tradimento funzionale del ‘Marxismo culturale’ fu ampiamente denunciato ad esempio dal filosofo marxista Costanzo Preve che ne denunciò l’impostura ideologica. E forse ci riserviamo di trattare l’evoluzione della sinistra post-comunista in un altro scritto. È stata una sventura che a destra non vi sia mai stato nessun Preve in grado di denunciare pubblicamente le manipolazioni che specularmente avvenivano nel “neo-fascismo”. Ma qui il tradimento è più circoscritto: il neo-fascismo tradisce il prototipo originario meno sul piano socio-economico (in realtà la Nouvelle Droite si limita ad una critica sociale al capitalismo mondialista, sulla scia dello stesso fascismo), perché il suo tradimento è solo verso l’ormai rifiutato nazionalismo e il modello giuridico dello Stato nazionale, essendo tale neofascismo funzionale alla struttura neo-imperiale dell’Europa tecnocratizzata. Per il resto la natura autoritaria, anti-democratica e anti-rappresentativa del Progetto europeo si sposa bene con l’aspetto formale del gerarchismo di tali correnti che hanno sempre visto negativamente le democrazie rappresentative, un po’ meno invece con l’ala del “fascismo-movimento” che potrebbe rifarsi a un’idea quasi “corridoniana” di partecipazione popolare come democrazia diretta (poco compatibile con il modello tecnocratico dell’Unione Europea). Da questa analisi dei simboli, delle idee e dei programmi emerge quindi la natura “strumentale” di tali neofascismi sintetici, veri e propri prodotti di laboratorio geneticamente modificati.
Rimangono delle considerazioni a margine, ma di importanza centrale. Il fatto che il progetto europeista, sorto come per magia già bello e formato, con un’intera classe politica disposta ad accettarlo e attuarlo, deve far sorgere più di un dubbio a chi si interroga sulla terza dimensione della Storia. È difficilmente negabile che si è in presenza di un “piano”, a cui hanno aderito più generazioni come per un tacito accordo praticamente unanime, fatta eccezione per le relative resistenze di De Gaulle, che infatti ostacolò l’attuazione del “piano”, proponendo modelli di cooperazione alternativi e non federali. Si può quindi supporre la presenza di un gruppo di cui Paneuropa non era  altro che il messaggero o rappresentante esterno come spesso succede per le società segrete. Solo da pochi anni l’esistenza di Paneuropa – sebbene non fosse un’organizzazione clandestina – è giunta alla conoscenza di un pubblico più vasto, essendo in realtà nota per lo più ai dirigenti politici europei. Ci viene fatto di pensare che tale organizzazione fosse solamente una cerniera esterna di gruppi di potere più occulti, che lavorassero allo stesso fine su più livelli. Già prima che si parlasse pubblicamente dell’influsso del semisconosciuto Kalergi sul progetto europeista, vi era chi raccoglieva informazioni su queste forze occulte che, sotto il nome generico di “Struttura”, lavoravano per preparare il terreno per questo avveniristico progetto politico. Ci riferiamo ai memoriali raccolti da Paolo Rumor, figlio dell’esponente di punta della DC, Giacomo Rumor, ed esposti nel suo libro L’Altra Europa, recentemente ristampato ed ampliato in collaborazione con Loris Bagnara e Giorgio Galli (Panda Edizioni). Vi si parla delle trattative segrete che portarono alla stipula dei Trattati di Roma (1957) ma sullo sfondo di un progetto unionista sostenuto da un’organizzazione segreta in piedi da più di un secolo, e che già dalla Prima Guerra Mondiale incontrò il sostegno degli Stati Uniti e la mediazione del Vaticano. L’organizzazione indicata come “Struttura” nei memoriali di Rumor, risaliva almeno al 1870 (stando alla lettera del Card. Spellman a Rumor), si basava su un documento fondativo (“Protocolli dei Priori”) e godette da un certo punto in poi dell’appoggio di una importante casata (che a questo punto noi suggeriamo, con il senno di poi, potessero essere forse gli Asburgo). Secondo i memoriali di Rumor, il programma politico contenuto in questi Protocolli sarebbe stato utilizzato, almeno in parte, per l’impostazione delle prime fasi dell’integrazione europea ai tempi di Schumann. Il quadro che ne emergeva sembrava essere quello di un progetto politico illuminista e dirigista per una costruzione radicalmente laica, in cui l’elemento delle identità nazionali sarebbe stato fatto gradualmente retrocedere, e la cui dirigenza avrebbe avuto dei caratteri fortemente elitari. Sono tratti che troviamo senza dubbio nell’attuale Unione Europea.
Senza entrare oltre nella questione dei memoriali Rumor, ma unendovi in modo incrociato i dati sui movimenti di Kalergi – che doveva essere uno degli esecutori esterni più entusiasti ed originali di questo progetto, ma che al tempo stesso era solo l’“ufficiale di collegamento” e non certo l’ideatore di nulla, come ingenuamente ci attribuiscono gli anti-cospirazionisti – emerge comunque un quadro perfettamente coerente: quello di una struttura di potere ramificata, occulta, che non ha una precisa identità ideologica (se non la propria, oligarchico-elitista),  ma che sa perfettamente servirsi di tutte le ideologie, infiltrandole e manipolandole, per renderle disponibili ad assecondare i proprio scopi: un’organizzazione che provò ad influenzare, senza successo i movimenti fascisti, che ci riprovò nel dopoguerra con le forze antifasciste ormai al governo, ma anche creando, da un certo momento in poi, la struttura artificiale di un neo-fascismo del tutto modificato che proponeva un progetto politico sostanzialmente identico a quello che le élites stavano già attuando, quindi trasformando dei potenziali resistenti nei futuri pretoriani del potere. Ne emerge la visione di un establishment di potere tecnocratico, che sta mettendo fuori gioco la democrazia rappresentativa, che ha sconfitto le due grandi ideologie del Novecento, il fascismo e il comunismo, e che si è servito dei loro cadaveri vuoti, applicando in modo esemplare uno dei Trentasei stratagemmi del classico strategico cinese:
“Prendi a prestito un cadavere per risuscitarne lo spirito”.

(Per approfondimenti si consiglia Kalergi – La prossima scomparsa degli Europei di Matteo Simonetti, Nexus Edizioni.

 

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