“Il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto. I grandi uomini sono quasi sempre uomini cattivi, anche se esercitano influenza e non autorità”.
Queste frasi furono scritte non da un anarchico di oggi, ma nell’aprile del 1887 da un lord inglese, John Dalberg-Acton (1834-1902).
Che il potere sia una forma di patologia del comportamento credo sia evidente e non debba essere dimostrato con spiegamento di mezzi. Il potere è sempre violento (la violenza non è solo dare una coltellata, ma anche obbligare a fare o non fare ciò che non è violento) e dunque persone di potere sono persone violente; sono “bad men”, come scrisse Lord Acton. E la violenza è il più grave sintomo di problemi psichici.
Probabilmente, verrà un giorno in cui il desiderio di potere verrà inserito nella casistica psichiatrica ufficiale, come la schizofrenia.
Uno degli aspetti più odiosi – e pericolosi – del potere è la furia normativa. Il potere pretende di dominare tutta l’infinita complessità del reale; il potere pretende di regolamentare ogni aspetto della vita dei sottoposti (ovviamente, le mille e mille leggi che inventa per i sottoposti non hanno alcun valore per il potere, che le elude, le cambia, le ignora, le viola impunemente, essendo esso la sorgente dell’imposizione sui sottoposti).
Tanto più aumentano la complessità e la varietà, tanto più il potere pretende di imbrigliare e dominare con leggi, e divieti e imposizioni. L’imprevedibile è un atto di lesa maestà per il potere; nulla può accadere che non sia consentito dal potere.
Lo spazio decisionale lasciato all’individuo è sempre più ristretto e riservato ad aspetti marginali, per cui ciò che veramente riguarda l’essenza della persona viene deciso dal potere, mentre i dettagli infimi sono concessi alla libera determinazione.
Posso, almeno fino a legge contraria, decidere se preferisco mangiare tonno in scatola o verdura; ma non posso decidere della mia vita: questo è il progetto di dominio totale del potere.
In Italia, oggi, il governo pretende di decidere che il mio corpo (ripeto: il mio corpo; non quello di mio figlio o di mio fratello, ma il MIO corpo) non mi appartiene veramente e totalmente.
In caso di una condizione patologica irreversibile, nella quale il MIO corpo è soltanto un’entità organica, senza pensieri, reazioni, autonomia, il potere decide che io non ho il diritto di disporre di me. Sarò condannato ad un’esistenza vegetativa non umana che potrebbe durare anche decenni. Tutti coloro che mi hanno conosciuto e amato, e che sanno bene che io non vorrei mai essere condannato a questo inumano limbo di non-vita, non potranno fare nulla per sottrarmi a questa decisione del potere; il MIO corpo sarà gestito dalla volontà altrui.
Anche qualora io avessi espresso in ogni forma – pubblica, familiare, artistica… – la mia richiesta di non essere mantenuto nello biologico di non-esistenza umana, la mia volontà (lucida, motivata, serena) non avrebbe alcun valore perché il potere è, vuole essere superiore ad ogni volontà, ad ogni speranza, ad ogni desiderio.
Davanti al delirio violento di un potere che sogna di sostituirsi alle metafisiche onnipotenze, tutti coloro che non vogliono rinnegare la dignità umana sono chiamati alla resistenza.
La lotta del pensiero libero e liberatore contro il potere che ci vuole tutti burattini muti sarà lunga e molto dura, perché il potere usa la violenza, che invece ripugna al libero pensiero.
Ma non ci è consentita la resa, perché la sola resa che il potere ammette è la resa incondizionata, che significherebbe la regressione a servi, fantocci e automi di carne.
Secoli di progresso culturale e sociale ci impongono di essere fedeli all’imperativo morale kantiano che, oggi più che mai, non è un’astratta formula, ma la grandezza dell’autentica natura umana: libertà, amore, conoscenza: tutto ciò che il potere vuole distruggere. Non glielo permetteremo mai.