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Il progetto Gilgamesh

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Andrew Sokar racconta la storia della sua promettente carriera nella ricerca sul cancro e di come egli fu imbavagliato quando la sua scienza proibita iniziò ad avvicinarsi al segreto della vita eterna.



di Andrew Sokar


    La capacità di affrontare efficacemente malattie quali il cancro e le conseguenze del processo di invecchiamento rimane una delle ultime grandi sfide poste alla scienza biomedica. Per far fronte a questa sfida è di cardinale importanza comprendere i meccanismi intrinseci del ciclo di crescita delle cellule, vale a dire il motivo per cui le cellule crescono e si dividono, attraversano un processo noto come differenziazione (perché e come cellule embrionali identiche divengono cellule epatiche, cutanee, cerebrali, etc. mature) e, infine, decadono nella senescenza e muoiono — determinando il declino metabolico e la morte dell’organismo.
    Problemi di questo genere mi ossessionano sin da quando ero bambino ed alimentano un appassionato interesse per la chimica e la biologia sin da tempi assai antecedenti alla mia prima iscrizione ad un corso universitario di chimica. Tenendo presente gli elevatissimi costi sociali ed economici di malattie come il cancro, le affezioni cardiache e quelle associate all’età avanzata, mi si potrà perdonare di aver pensato, durante gli anni delle scuole superiori, che una carriera dedicata alla soluzione di tali problemi fosse la più nobile causa possibile. Se un tempo qualcuno mi avesse detto che gli interessi costituiti non desideravano una soluzione a questi assai pressanti problemi di carattere medico, avrei considerato costui un delirante fanatico della teoria della cospirazione; tuttavia le mie esperienze mi hanno disilluso in modo permanente rispetto alla plausibilità della mia giovanile presa di posizione.
    Nel presente articolo desidero raccontare l’incredibile odissea della mia esistenza, nonché alcuni dettagli delle ricerche mediche da me intraprese; nutro la convinzione che tali ricerche, se portate alle loro logiche conclusioni, rappresentino una valida opportunità di produrre terapie non tossiche per varie forme di cancro, nonché di prolungare l’arco dell’esistenza umana — potenzialmente in modo indefinito. Invece di essere elogiato per questi traguardi, ho ottenuto che la mia formazione e carriera nella scienza medica siano uscite dai loro binari e che la mia vita ne sia risultata essenzialmente rovinata.
    Dalle mie esperienze è possibile apprendere molte lezioni, degne di un thriller hollywoodiano. La prima lezione concerne il punto in cui ci troviamo, ovvero precariamente prossimi a prelevare la fontana della giovinezza dal regno della mitologia e a trasferirla nell’ambito dei laboratori e, infine, in quello clinico — gli indizi di questo tentativo sono forniti da alcuni dei più primitivi (e molesti) organismi terrestri. La seconda lezione riguarda il modo in cui l’establishment medico (e potenzialmente quello politico) sono fortemente impegnati ad evitare che ciò accada e, infine, quanto in profondità i tentacoli degli interessi costituiti (personali ed istituzionali) affondino nei cuori e nelle menti di molti medici, amministratori e docenti, operando allo scopo di affossare qualsiasi tipo di creatività anticonformista che metta in discussione lo status quo.

Gli anni giovanili

    Vivo negli Stati Uniti centro-occidentali, dove sono cresciuto ed ho ricevuto la mia formazione. Attualmente sono titolare di una laurea in Scienze, con specializzazione in biologia, e di un master di II livello in Scienze Politiche/Commercio Internazionale. Mentre i miei compagni di classe delle superiori si dedicavano agli sport e facevano quello che fanno tutti gli studenti, io facevo esperimenti di chimica organica sintetica nel mio improvvisato laboratorio casalingo. Il mio interesse iniziale fu quello di elaborare nuove sostanze chimiche non tossiche destinate al controllo degli animali infestanti. In seguito mi dedicai a creare modalità non tossiche per la cura del cancro, un interesse instillatomi da un anticonformista giovane professore di biologia delle superiori, il quale incoraggiava gli esperimenti in vivo (le mie scuse ai lettori antivivisezionisti) e spingeva gli studenti a svolgere ricerche indipendenti volte alla soluzione di problemi medici.
    Fu durante i miei anni alle superiori che partecipai e vinsi virtualmente ogni fiera scientifica attinente ai vari progetti che stavo intraprendendo. Negli anni dell’età adulta ho vinto il primo premio alla fiera scientifica del mio stato, la cui associazione medica mi ha inoltre conferito l’attestazione di eccellenza per l’elaborazione di nuove classi di farmaci antineoplastici (farmaci anticancro). Ancor prima di conseguire il diploma delle scuole superiori sono stati pubblicati alcuni miei lavori, ho ottenuto l’American Chemical Society Award, il premio della Engineering and Scientific Society della mia città, sono stato introdotto all’Accademia delle Scienze del mio stato e a quella di New York, nonché all’American Association for the Advancement of Science.
    Al college ho continuato le mie ricerche per svelare i misteri relativi al modo in cui le cellule cancerose si sviluppano e metastatizzano. Dal momento che era alquanto insolito che studenti non ancora laureati elaborassero e gestissero progetti propri, ebbi la fortuna di lavorare a fianco di docenti dei dipartimenti di chimica e biologia della mia facoltà i quali mi diedero libero accesso ai loro laboratori. La ricerca in questione ha portato all’elaborazione di nuove classi di composti che potevano bloccare quasi del tutto l’invasione (il processo tramite il quale le cellule cancerose si trasferiscono nei tessuti sani); tali composti erano essenzialmente non tossici. I finanziamenti per la ricerca mi furono erogati tramite un oncologo locale e il suo ospedale, nonché dalla fondazione della mia università. La ricerca venne poi divulgata sulla rete televisiva locale e sui quotidiani, quindi ebbi vari riconoscimenti, fra cui il Who’s Who Among Students in American Universities ed il College Award. Così, una volta conseguita la laurea, avevo tutte le ragioni per prefigurare un positivo passaggio alla Facoltà di Medicina ed una fruttuosa carriera nella ricerca medica.

    Dopo il mio ingresso alla Facoltà di Medicina, mi capitò nuovamente la fortuna di avere a che fare con un docente che comprese le potenzialità del mio lavoro e che mi diede tutta l’assistenza che gli era possibile darmi. I finanziamenti mi giunsero dall’oncologo di mia conoscenza e da sovvenzioni da parte dell’American Cancer Society e di altre organizzazioni finanziate dal governo. Mi ritrovai ad essere più intensamente coinvolto dai misteri del ciclo della crescita cellulare e continuai a sintetizzare nuove classi di regolatori di tale crescita, il che infine mi portò a sviluppare una prospettiva completamente inedita su questioni quali la durata della vita umana, il cancro ed altre affezioni che i miei docenti descrivevano come fenomeni non correlati. In questa sede presento questo lavoro in forma di sunto, onde agevolarne la comprensione da parte dei lettori che non dispongono di conoscenze biomediche.

Svelare i misteri dell'età

    Anche se la scienza medica possiede una notevole conoscenza delle fasi del ciclo della crescita cellulare e delle trasformazioni cellulari ed istologiche che le accompagnano, i meccanismi biochimici che determinano tali cambiamenti sono, nel migliore dei casi, scarsamente definiti. Questa è la ragione per cui le attuali terapie, destinate a stati patologici che (come il cancro) comportano una rapida ed incontrollata divisione cellulare, consistono perlopiù nell’avvelenamento delle cellule nocive con farmaci tossici (chemioterapia), nella somministrazione di radiazioni (radioterapia) oppure nella loro rimozione tramite intervento chirurgico.
    La nostra comprensione dei meccanismi che stanno alla base del processo di invecchiamento lascia ancor più a desiderare. Attualmente non disponiamo virtualmente di alcuna terapia che possa efficacemente bloccare o quantomeno rallentare il decantato orologio biologico; tutto quello in cui possiamo sperare è di occultare i segni dell’invecchiamento tramite vari metodi cosmetici e di curare varie malattie legate all’età (arteriosclerosi, affezioni cardiache, etc.) con regimi terapeutici che concernono più i sintomi che le cause prime.
    Per chiunque si sia trovato a seguire pazienti afflitti dai debilitanti postumi dell’invecchiamento o dalle orribili conseguenze di cancri potenzialmente letali, questa è una situazione generale assolutamente insoddisfacente, che reclama prospettive ed approcci di tipo inedito.
    Chi riuscirà ad individuare i precisi fattori che regolano il comportamento delle cellule in momenti specifici del loro ciclo di crescita conseguirà un enorme progresso nella comprensione non solo della genesi del cancro, ma anche dell’annoso problema concernente il perché gli animali, esseri umani inclusi, invecchiano ed infine muoiono. Tale conoscenza non solo consentirà alla scienza di curare efficacemente e senza rischi molti stati patologici a tutt’oggi enigmatici, ma comporta anche profonde conseguenze per l’industria cosmetica.

Lo stato attuale delle ricerche sulla longevità

    Per superare le limitazioni delle attuali concezioni ortodosse inerenti a crescita e differenziazione delle cellule, è necessario riesaminarle in breve. Riguardo alla causa della senescenza e della morte cellulare, nonché delle disfunzioni associate alle malattie neoplastiche (vale a dire il cancro), all’interno del sapere specifico che si occupa di queste tematiche ci sono state due scuole di pensiero; attualmente predomina quella dell’approccio basato sui radicali liberi.
    Condensata nei termini più elementari, questa concezione sostiene che le disfunzioni cellulari che determinano il cancro, nonché l’invecchiamento ed infine la morte delle cellule, siano causate dall’azione distruttiva esercitata da radicali liberi ambientali su varie importanti componenti cellulari come il DNA. Secondo tale prospettiva fatalistica, l’invecchiamento può essere visto come un irreversibile ed inevitabile accumulo di danno cellulare; nutro la convinzione che tale concezione sia errata, quantomeno in parte.
    Un tempo mi fu detto che la ricerca relativa all’allungamento della vita umana era futile, dato che “ogni cosa vivente deve invecchiare e morire”; una fatalistica generalizzazione palesemente falsa. In realtà molti organismi unicellulari sono immortali e si riproducono dividendosi indefinitamente, per soccombere solo a catastrofi ambientali — come la candeggina Clorox nella vostra lavatrice.
    Analogamente, esistono organismi pluricellulari per i quali il concetto di invecchiamento è privo di senso. Le sequoie giganti possono raggiungere le migliaia di anni di età — continuando comunque a crescere e a produrre, anno dopo anno, vigorose e funzionali foglie e strutture interne come xilema e floema — e finire abbattute soltanto dai fulmini o dalle motoseghe; alcuni crostacei come le aragoste crescono di dimensioni ma non manifestano il declino dei parametri fisiologici e dei riflessi, correlato all’età, che affligge esseri umani ed altri animali.
    Gli entomologi sanno da tempo che la manipolazione ormonale può impedire la metamorfosi e mantenere a tempo indefinito gli insetti in uno stato giovanile; tale consapevolezza ha costituito la base per l’elaborazione degli insetticidi.
    Analogamente, i suggerimenti ormonali controllano lo sviluppo delle piante influendo sulla proliferazione e differenziazione delle cellule delle piante stesse. I diserbanti di classe Auxin, come l’onnipresente acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D), vengono impiegati da decenni per estirpare i denti di leone dai tappeti erbosi. Queste sostanze provocano una crescita e una differenziazione cellulare discordanti, il che determina disfunzioni fisiologiche e cambiamenti morfologici letali. Considerando la grande importanza che tali sistemi ormonali rivestono per la sopravvivenza di una serie di organismi talmente diversa, ho tratto la conclusione che i mammiferi possiedono (sebbene ad uno stato vestigiale) sistemi che sono analogamente funzionali, anche se è possibile che la chimica specifica sia diversa.

    Un secondo approccio alla comprensione del processo di invecchiamento postula che crescita, differenziazione, invecchiamento e morte delle cellule non siano l’unico risultato del danno cellulare accumulato o di qualche inarrestabile orologio biologico che risiede esclusivamente nelle cellule ma, invece, che questi siano fenomeni mediati a livello ormonale, derivanti dall’interazione dei geni di una cellula con le sostanze chimiche presenti nella matrice extracellulare e prodotte in qualche remota parte dell’organismo.
    Questa teoria è corroborata da varie linee di riscontri convergenti, fra cui ricerche condotte sulla progeria, una rara sindrome che comporta il malfunzionamento di varie ghiandole endocrine, per cui il malato invecchia molto rapidamente e, di solito, muore prima di aver raggiunto l’età cronologica di vent’anni.
    Questa patologia, devastante e scarsamente compresa, indica con forza che l’orologio biologico può essere resettato ed accelerato, e che tale accelerazione è associata al collasso della ghiandola pineale (una ghiandola delle dimensioni di un pisello situata al centro del cervello) e dell’intero asse ipotalamico-pituitario; quindi la mancata secrezione di ormoni vitali da parte di queste ghiandole provoca nell’organismo cambiamenti degenerativi solitamente associati all’invecchiamento, solo molto più precocemente di quanto non avvenga in individui sani che non presentano gli specifici difetti genetici associati alla progeria.

    La mia personale ricerca, sia in biblioteca che in laboratorio, mi ha portato ad annettere gradualmente queste osservazioni alle scoperte derivate da altre linee di indagine. Per esempio, ora si riconosce che l’ormone melatonina — secreto dalla ghiandola pienale — riveste un ruolo non solo nel ciclo sonno-veglia ma anche nel prolungare la durata della vita e, in alcuni casi, nel bloccare e persino invertire alcuni dei sintomi dell’invecchiamento in animali da laboratorio ed esseri umani; questo ormone ha anche un’attività anticancro. Queste ricerche, eseguite per lo più in Europa, sono ampiamente citate in The Melatonin Miracle, il best-seller del Dr. Walter Pierpaoli pubblicato nel 1995, e non necessitano di ulteriori approfondimenti in questa sede. (1)
    La melatonina è già comunemente commercializzata come integratore alimentare, non può essere brevettata dalle aziende farmaceutiche e di conseguenza ha suscitato uno scarso interesse da parte dell’establishment medico, quantomeno da questa parte dell’Atlantico; comunque dalla mia prospettiva questo aspetto è irrilevante.
    Sono convinto che la melatonina sia un pezzo importante, ma relativamente piccolo, del rompicapo generale, mentre il mio lavoro ha portato la linea di ricerca a monte delle scoperte del Dr. Pierpaoli in un territorio del tutto inesplorato.
    Sintetizzando le diverse ricerche di base con i risultati del mio lavoro in colture cellulari ed in vivo, ho formulato le seguenti conclusioni generali:

    1. Gli effetti antinvecchiamento ed anticancro della melatonina sono dovuti, almeno in parte, al fatto che questo ormone, una volta lasciata la ghiandola pineale (dove viene prodotto) si trasferisce al timo, ghiandola situata dietro lo sterno, e forse ad altre ghiandole endocrine, dove agisce come “ormone di rilascio” e modula la sintesi di almeno altri due ormoni chimicamente distinti, riconosciuti dalla scienza medica e che, per gli scopi del presente scritto, definirò soltanto come ormone “X” ed ormone “Y”, dei quali ho individuato le strutture chimiche.
      2. Sono i livelli ambientali assoluti e relativi degli ormoni X e Y nell’organismo a modulare la crescita cellulare, l’invecchiamento ed i fenomeni di differenziazione. Probabilmente questo effetto viene a sua volta modulato dalla melatonina e da almeno un metallo in traccia o dai suoi complessi organometallici. Gli indizi preliminari suggeriscono che tali interazioni sono complesse e rimangono per lo più ignote a causa delle ristrettezze di fondi ed attrezzature che hanno caratterizzato il mio lavoro precedente. Probabilmente la produzione di queste sostanze è controllata da complessi circuiti di feedback che coinvolgono ormoni sessuali, ormoni tiroidei, etc. La spiegazione di queste interrelazioni deve restare uno degli obiettivi delle future ricerche.
       3. Negli esseri umani il timo inizia il processo di involuzione dopo l’età cronologica di 20-30 anni. Anche la ghiandola pineale si calcifica e si deteriora. Questo è il motivo per cui le scansioni CT e NMR eseguite alla testa degli individui in età più avanzata rivelano un oggetto bianco delle dimensioni di un pisello nella zona basale del cervello; ho visto molte persone prenderlo per un impianto alieno. Affermo che il deterioramento di queste ghiandole accelera una deviazione delle concentrazioni dell’ormone X, dell’ormone Y, o di entrambi; l’ampiezza e la direzione (su o giù) di tali deviazioni sono ignote, ma probabilmente tendono verso il basso.
       4. È tale perturbazione dei livelli degli ormoni X e/o Y ad innescare la senescenza e l’eventuale morte cellulare, facendo bloccare il ricambio dei tessuti ed accelerare il declino fisico associato all’invecchiamento. Dato che uno di questi ormoni è implicato nel mantenimento delle cellule in uno stato differenziato, tale aspetto potrebbe fornire la risposta, da lungo attesa, inerente al motivo per cui la prevalenza del cancro in genere aumenta in concomitanza con l’invecchiamento e, inoltre, alla ragione per cui la differenziazione sessuale e quella di altri tessuti declina nel medesimo intervallo di tempo.
       5. Problemi apparentemente difficili possono essere risolti soltanto riformulandoli in modo nuovo. Si possono considerare le cellule cancerose come normali cellule che sono regredite ad uno stato dedifferenziato — vale a dire che assomigliano a cellule embrionali indifferenziate che si dividono rapidamente invece che a normali cellule dal comportamento appropriato che si dividono lentamente, proprie dei tessuti da cui derivano. I ricercatori sono inoltre consapevoli del fatto che le cellule del cancro sono di fatto immortali; se inserite in un ambiente appropriato, esse sono in grado di vivere e riprodursi indefinitamente, proprio come lo sono i batteri e determinati tipi di cellule di piante e funghi. Questa scoperta indica di per sé che invecchiamento e morte non sono destini inevitabili così come vengono considerati ma, piuttosto, gli esiti di un programma che può essere modificato. Anche se i ricercatori convenzionali hanno operato ben poco in tal senso, questo aspetto indica con forza che il cancro non è uno stato patologico, bensì un problema dello sviluppo, proprio come l’invecchiamento. Non è che le cellule cancerose funzionino male, semplicemente si comportano in modo inappropriato rispetto alla loro età; in altri termini, si tratta di un problema relativo all’orologio biologico. Dato che la melatonina è una delle sostanze che modulano l’orologio biologico, ciò spiegherebbe i suoi effetti anticancro, il che mi ha inoltre suggerito che gli ormoni X e Y potrebbero avere anch’essi effetti analoghi.
       6. Dal momento che le strutture chimiche di entrambi gli ormoni X e Y sono ottenibili tramite sintesi organica, la loro produzione è relativamente semplice; poiché altrettanto vale per molti altri ormoni attualmente riconosciuti, come estrogeni e progestine, è possibile sintetizzare analoghi di basso peso molecolare degli ormoni X e Y, che preservino l’attività biologica della molecola genitrice. Io stesso ho preparato vari analoghi di questo tipo; questi composti manifestano le stesse capacità di alterazione della crescita cellulare proprie delle molecole genitrici, anche se i fondi a mia disposizione non mi hanno consentito il genere di valutazione necessaria a raggiungere conclusioni dettagliate sull’esatta azione dei composti stessi.
       7. Ho elaborato altri composti la cui struttura chimica è alquanto diversa da quelle di entrambi gli ormoni X e Y, e che sembrano avere effetti simili sulle cellule del cancro.
       8. A questo stadio il preciso meccanismo di azione di questi composti deve rimanere oggetto di ipotesi, dal momento che non dispongo dei fondi o delle attrezzature utili a svolgere adeguate indagini in merito. Ad ogni modo, in base alla struttura chimica dei composti è ragionevole ipotizzare che, a livello cellulare, si comportino in modo simile a quello degli ormoni steroidi e dei retinoidi (come la vitamina A). Questo significa che probabilmente essi penetrano nella membrana cellulare e quindi si trasferiscono al nucleo, dove stimolano o inibiscono l’espressione dei geni che regolano il ciclo della crescita cellulare; questo è un approccio assai più raffinato ed è del tutto antitetico alla modalità di azione di virtualmente tutti i farmaci anticancro esistenti, i quali in realtà non sono altro che veleni cellulari progettati per eliminare le cellule che si dividono rapidamente; questo secondo approccio, del tipo fucile a canne mozze, è responsabile degli effetti collaterali, talvolta orribili, associati alla chemioterapia convenzionale.
    I composti che ho elaborato hanno un’ovvia applicazione nella terapia non tossica contro il cancro ed altre patologie neoplastiche; inoltre minacciano di fornire alla scienza prospettive completamente nuove riguardo all’interazione fra il processo di invecchiamento e vari stati patologici. Se l’asse melatonina-ormone X-ormone Y è davvero responsabile della regolazione delle modalità di comportamento delle cellule in specifiche fasi del loro ciclo vitale, allora siamo in grado di spiegare come, ad esempio, determinati tipi di cancro hanno la tendenza ad insorgere in particolari momenti dell’esistenza di un individuo. Le perturbazioni nei livelli degli ormoni X e Y si presentano in concomitanza con l’invecchiamento. La mia ipotesi prevederebbe anche la variabilità di incidenza del cancro nell’arco della vita di un individuo, il che è precisamente quello che osserviamo a livello clinico. Man mano che invecchiamo aumenta l’incidenza dei vari tipi di cancro, un fattore che forse è dovuto al fatto che i livelli di ormoni X e/o Y non sono più sufficienti a mantenere determinate cellule in uno stato differenziato, oppure al fatto che il sistema immunitario, le cui cellule dipendono da specifici quantitativi di X e Y, non è più in grado di svolgere la propria funzione di eliminare adeguatamente le cellule del cancro.

    Infine, sebbene sia prematuro parlare seriamente di una fonte della giovinezza, sono convinto che gli ormoni X e Y rappresentino i primi passi verso la risoluzione del mistero inerente al motivo per cui determinati organismi e tessuti invecchiano. Diversamente dalla melatonina, i composti che ho sintetizzato rappresentano i primi farmaci brevettabili che hanno effettivamente la potenzialità di invertire, o quantomeno rallentare, il tanto paventato orologio biologico; si tratta delle prime sostanze ormonalmente attive, non steroidee, non proteinacee e non retinoidi diverse dalla melatonina e dall’ormone tiroideo, note per aver effetto su crescita e differenziazione cellulare negli animali superiori.
    Inoltre ho scoperto che analoghi di entrambi gli ormoni X e Y sono presenti in natura e possono essere preparati, ad esempio, derivandoli da determinate piante. Queste sostanze possono essere incorporate nei prodotti da banco, quali cosmetici e preparati vitaminici, senza dover superare le difficoltà poste dalla regolamentazione. Per esempio, l’impatto di una crema per le rughe che rassoda efficacemente la pelle e ripristina i tassi di ricambio cellulare ai livelli tipici di una persona di vent’anni dovrebbe risultare ovvio, in particolar modo visto che i preparati cosmetici dei nostri tempi sono progettati principalmente per coprire gli effetti dell’invecchiamento.
    Questo mi porta a chiedermi se le antiche leggende relative ad esistenze umane favolosamente lunghe non possano avere un fondamento nella realtà. Per esempio, una leggenda sumera risalente a migliaia di anni prima dell’era biblica narra di un personaggio eroico di nome

Gilgamesh, il quale viaggia in ogni dove alla ricerca della vita eterna; alla fine trova una pianta subacquea capace di conferirgli l’agognata immortalità. Egli, comunque, invece di assumere la pianta si addormenta, lasciandola incostodita e, durante il sonno, un serpente la divora, perde la pelle e ridiventa giovane — da cui la spiegazione mitologica della muta della pelle del serpente.
Immagino che la morale della favola sia “chi dorme non piglia pesci”. A causa della sconsideratezza di Gilgamesh, all’umanità fu negato il segreto della vita eterna. (2) Purtroppo le descrizioni mitologiche della “pianta” non sono sufficienti a consentirne un’identificazione positiva.

La realpolitik della Facoltà di Medicina

    Chiunque avrebbe pensato che uno studente in grado di svolgere ricerche del genere avrebbe suscitato un grande entusiasmo in qualsiasi facoltà di Medicina; il mio consulente di facoltà mi descrisse come “lo studente più motivato che avesse mai avuto”. Avrei tuttavia appreso ben presto che vi erano soggetti che mi consideravano una minaccia piuttosto che un prodigio e, di lì a poco, mi sarei ritrovato coinvolto in un braccio di ferro con forze che all’epoca non ero in grado di comprendere.
    Fra il primo e il secondo anno alla facoltà di Medicina venni convocato presso l’ufficio di un funzionario amministrativo della facoltà. Il colloquio si orientò rapidamente verso le mie ricerche. Questo aspetto suscitò il mio interesse, in quanto le mansioni del funzionario in questione non comprendevano la supervisione dei programmi di ricerca degli studenti. Quando gli chiesi di conoscere l’identità della persona che lo aveva informato sul merito del mio lavoro, egli si rifiutò di rispondermi; quindi mi chiese per quale motivo, invece di aggregarmi ad uno dei tanti progetti presentati dai membri della facoltà — il che, secondo le sue parole, era “quello che faceva la maggior parte degli studenti” — avessi deciso di creare un mio progetto di ricerca personale. Replicai che io non ero “la maggior parte” degli studenti e che mi ero iscritto a Medicina perché desideravo trovare nuove soluzioni a problemi che la ricerca convenzionale non era riuscita a risolvere. Invece che suscitare elogi ed incoraggiamento, la mia risposta sembrò renderlo soltanto più insofferente ed inquieto, quindi mi chiese cosa vi fosse che non andava nei progetti di ricerca già disponibili. Risposi che erano banali e troppo limitati dai paradigmi convenzionali per poter produrre qualcosa di importante per la nostra battaglia contro la malattia; quindi passai all’offensiva e chiesi cosa vi fosse di sbagliato nella mia ricerca, in particolar modo alla luce del fatto che stavo apportando denaro e prestigio alla facoltà. Il funzionario replicò che “naturalmente non vi era alcunché di sbagliato”, e con questo il nostro colloquio si concluse. Non riuscii a fugare l’impressione che questo funzionario non avesse realizzato gli scopi che si era prefisso; le domande che rivolsi ad altri studenti rivelarono che la mia esperienza non era toccata a nessun altro.
L’incontro appena descritto rappresentò un punto di svolta della mia permaenza presso la facoltà di Medicina, mentre la successiva campagna di persecuzione e vessazioni orchestrata contro di me da dietro le quinte mi fece pensare che qualcuno stesse prendendo spunto dal Malleus Maleficarum.
    Un giorno fui convocato nell’ufficio del preside di facoltà ed informato che “qualcosa non andava” nel mio rendimento in uno specifico corso. Dato che sino a quel punto nel corso in questione i miei voti erano stati buoni, la cosa mi colse alla sprovvista. Chiesi al preside di dirmi con esattezza quali fossero le mie manchevolezze e chi aveva mosso le critiche nei miei confronti; inoltre chiesi per quale motivo la persona che aveva sporto le lamentele lo avesse fatto all’indirizzo del preside e non, come da protocollo di facoltà, direttamente al sottoscritto. Il preside evitò di replicare e cominciò ad inquietarsi. Io a mia volta sottolineai che se davvero qualche aspetto del mio rendimento non quadrava, allora avevo il diritto di conoscere l’esatta natura della lamentela, nonché l’identità dell’autore della stessa. Il preside rispose che non beneficiavo di tale diritto, in quanto il suo ufficio non era un tribunale; l’amministrazione della facoltà di Medicina avrebbe in seguito adottato questo standard come linea di difesa.
    Nonostante i miei iniziali voti e valutazioni fossero di buon livello, la situazione deteriorò man mano che progredivo nelle esperienze di tirocinio clinico. Malgrado il fatto che il mio profitto superasse quello di molti altri studenti, mi ritrovai a ricevere valutazioni negative, molte delle quali prodotte da personaggi con cui non avevo mai avuto a che fare e che, di conseguenza, erano pura invenzione. In altre schede di valutazione mancava la firma dell’esaminatore, oppure era talmente incomprensibile che il coordinatore del tirocinio sosteneva di non sapere a chi corrispondesse; si trattava di un palese tentativo di mantenere questo individuo al riparo da possibili contestazioni. La protesta presentata all’amministrazione della facoltà per questa esplicita frode cadde nel vuoto, mentre l’unico risultato furono nuove critiche che mi accusavano di essere sulla “difensiva”. Nella tipica tradizione della caccia alle streghe, tutti i miei tentativi di dimostrare che le accuse nei miei confronti erano prive di fondamento vennero reinterpretati unicamente come prove supplementari della mia colpa, o persino di manifestazioni psicopatologiche. Venni deferito ad uno psicologo e sottoposto ad una serie di valutazioni della personalità, che risultarono nella norma; l’amministrazione della facoltà si limitò ad ignorare tali esiti e perseverò nel suo atteggiamento, facendomi sostenere una serie infinita di nuove prove, affinché mi rendessi conto del mio status di persona non grata. Infine questo genere di trattamento ebbe come esito il mio abbandono della facoltà di Medicina nel mezzo del mio terzo anno; i miei antagonisti compresero che non mi sarei potuto permettere una consulenza legale e quindi ebbero la certezza che non sarebbe stato possibile contrastare efficacemente le loro macchinazioni.

    Mentre frequentavo la facoltà, attorno alla mia ricerca sembravano turbinare altri misteriosi avvenimenti. Un membro della facoltà si rifiutò di rivolgermi la parola nei corridoi e, quando capitava che presentassi il mio lavoro in occasione di qualche conferenza, non si faceva scrupolo di lasciare la sala. In più di un caso mi capitò di entrare nel mio laboratorio per scoprire che tutte le mie cose erano state perquisite. Come ciliegina sulla torta ricevetti la telefonata di un individuo, che si spacciò per mio amico, il quale mi informò che, se non la “smettevo di fare il padreterno”, per il sottoscritto alla facoltà le cose sarebbero potute “soltanto peggiorare”; costui si rifiutò di dirmi il suo nome o di spiegarmi esattamente cosa intendeva con il suo avvertimento.
    Come è facile immaginare, lasciare la facoltà di Medicina fu come togliermi un’enorme peso dalle spalle, anche se fui costretto ad interrompere la mia ricerca. L’oncologo con cui avevo collaborato morì, apparentemente di infarto, mentre si trovava in vacanza; dato che non mi è possibile dimostrare che questo evento non sia accaduto se non per cause naturali, lascio ai lettori ogni valutazione in merito. Dopo la sua scomparsa, l’ospedale dove l’oncologo lavorava smise di sovvenzionare il mio progetto, adducendo “altre priorità”.

    A conti fatti, che conclusioni possiamo trarre da tutta questa vicenda? Sono stato oggetto di spionaggio industriale? Se questo è il caso, non hanno ottenuto alcunché, dato che mi sono fatto un dovere di portare sempre con me le mie note di laboratorio, mentre le formule chimiche dei composti che stavo elaborando non sono state rese note nemmeno al mio consulente di facoltà.
    Si è trattato di tutt’altra cosa? Forse semplicemente un tentativo di affossare la mia ricerca? In tal caso, tutto questo ha coinvolto solo funzionari della facoltà di Medicina oppure anche individui di sfere più alte? Quale motivo avrebbe potuto suscitare una campagna d’odio orchestrata a tal punto contro, fra tutti i possibili obiettivi, un modesto studente di Medicina? “Costoro” sapevano qualcosa sulla direzione e sulle ramificazioni della mia ricerca, qualcosa di cui all’epoca nemmeno io ero consapevole?
    Date le critiche corrosive indirizzate nei miei confronti, non posso fare a meno di pensare che sono sulla strada giusta —verso qualcosa. Immagino che dovrei ringraziare i miei aguzzini  per aver involontariamente confermato quello che non mi hanno lasciato il tempo di confermare personalmente in laboratorio.
    Se lo scopo dei poteri costituiti era quello di emarginarmi, allora ci sono riusciti, almeno per il momento — sono disoccupato e la mia vita si è trasformata in una rovina economica. Mi sono dedicato a conseguire una preparazione in altri campi. Attualmente sto cercando di portare avanti la mia ricerca, visto che rimane ancora brevettabile; ho dato disposizioni affinché tutti i dettagli proprietari della ricerca siano resi pubblici in caso di una mia prematura scomparsa, anche se sono convinto che i miei aguzzini siano rimasti del tutto soddisfatti dall’avermi lasciato disoccupato e in miseria.

    Da quando, un paio di anni fa, sono diventato un appassionato lettore di NEXUS, interpreto la mia situazione sotto una luce diversa e ho cominciato a porre domande che nel periodo universitario non mi sono mai venute in mente; sino a tempi recenti ho lavorato basandomi sull’ingenuo assunto che lo scopo dell’industria dell’assistenza sanitaria fosse quello di eliminare le malattie e promuovere il benessere dell’umanità. I lettori di NEXUS sono dotati di buon senso, quindi li lascio con i seguenti quesiti, riguardo ai quali sarò lieto di ricevere eventuali riscontri:

Se nel loro complesso le malattie associate all’avanzare dell’età potessero essere eliminate prendendo ciascuno una pillola al giorno, quali sarebbero le implicazioni per la potente macchina dell’assistenza sanitaria? Se la durata della vita potesse raddoppiare, cosa accadrebbe al nostro assediato sistema di sicurezza sociale? Se una delle certezze della vita — vale a dire la morte — non fosse più tale, quale sarebbe l’impatto sulle religioni organizzate? 

       ∞


A proposito dell’Autore:

Andrew Sokar è un biologo e vive negli Stati Uniti centro-occidentali. È titolare di una laurea in Scienze, con specializzazione in biologia, e di un master di II livello in Scienze Politiche, con specializzazione in Commercio Internazionale, conseguito con voti assai elevati. Andrew continua ad occuparsi da indipendente delle proprie ricerche, in particolare nell’ambito delle applicazioni da banco per la sua tecnologia di ringiovanimento. Per la corrispondenza, a lui gradita, utilizzare l’indirizzo: [email protected].


Note

  1. Walter Pierpaoli, William Regelson e Carol Colman, 1995, The Melatonin Miracle, Pocket Books, New York (La fonte della giovinezza. Melatonina: abbiamo in noi la molecola che ci impedirà di invecchiare? BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2001). Vedere inoltre William Regelson e Carol Colman, 1996, The Superhormone Promise, Pocket Books, New York.
  2. N. K. Sanders, 1972, The Epic of Gilgamesh, Penguin, Londra.

Il presente articolo è stato pubblicato originariamente su NEXUS New Times n. 59 (Dicembre 2005 – Gennaio 2006). Ogni ripubblicazione è gradita previo riferimento all’autore ed a questa citazione.


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