In questa intervista di oltre due mesi fa Ray McGovern, ex-analista della CIA, e grande esperto di questioni sovietiche, suggeriva che un patto diretto fra Stati Uniti e Russia sia l’unica strada per iniziare a svolgere l’intricatissima matassa centro-asiatica, che vede coinvolte nazioni di primaria importanza come Afghanistan, Pakistan, Russia, Cina, e Iran. Oltre agli Stati Uniti, naturalmente.
Nel frattempo ci sono stati alcuni eventi significativi, che sembrano indicare una certa dinamica in corso.
Il più importante di tutti è stato sicuramente la distruzione da parte dei Talebani del ponte al valico di Khyber, lo scorso 3 febbraio, che ha improvvisamente tagliato il 75% dei rifornimenti militari americani da sud, verso l’Afghanistan. A questo va aggiunta l’inattesa decisione del Kyrgyzstan di non prorogare agli americani il permesso di utilizzo della loro base aerea di Bishkek, …
… che gli serviva invece per gli approvigionamenti militari da Nord. In questo modo gli americani si ritrovano a dover combattere una guerra su un fronte decisamente ampio, senza poter più sostentare le loro truppe da nessuna direzione.
Tutto questo ha reso improvvisamente importante l’Iran, il quale ha, a sua volta, un dichiarato interesse a non vedere il ritorno dei Talebani a Kabul.
Chi invece non ci sta è il Pakistan, che preferirebbe vedere il ritorno degli integralisti al potere in Afghanistan, per non trovarsi gli occidentali a ridosso, mentre procede con le sue aperture commerciali con la Cina (cosa che invece, naturalmente, gli Stati Uniti osteggiano).
Ma ormai la scelta del Pakistan pare definitiva: uscire dall’orbita occidentale, e appoggiarsi apertamente al blocco Cino-Russo. Non a caso due giorni fa il presidente Zardari ha annunciato che “la Cina può usare i nostri porti di mare”, aggiungendo che “incoraggeremo le società cinesi a venire in Pakistan, che è in ottima posizione geostrategica e permette di accedere al resto del mondo attraverso i nostri accoglienti porti”.
Come a confermare il favore verso i Talebani, il governo pakistano ha concesso il ritorno alla legge della Sharia nello Swat, una vasta regione del nord del paese confinante con l’Afghanistan. Questo significa che gli abitanti di quella zona potranno rifiutare qualunque legge che non sia in accordo con i principi del Corano. E’ un grosso riconoscimento agli integralisti, e anche se non bastasse a calmare le acque da quelle parti, è stato sicuramente un segnale forte e limpido da parte del governo pakistano.
Nel frattempo, pare che sull’Afghanistan ci sia una forte divisione ai vertici del potere americano: da una parte la fazione militarista, che insiste per arrivare ad assicurarsi con la forza il controllo della regione, dall’altra quella “diplomatica”, che sostiene che vada invece raggiunto un accordo politico che includa tutte le maggiori fazioni locali, Talebani compresi.
Per ora Obama non si è pronunciato, e non è andato oltre le classiche frasi di circostanza, anche perchè gli americani si ritrovano nel più classico stallo strategico, dove non c’è modo di vincere muovendo per primi: non possono spingere sul fronte militare, visto che il Pakistan controlla le vie d’accesso per i rifornimenti da sud, ma non possono scendere a patti con i Talebani, per non innervosire troppo Russia e Iran.
Gli Americani inoltre devono fare i conti con gli alleati europei, che sembrano tutt’altro che entusiasti dell’avventura in Afghanistan, dove si ritrovano a dare sempre di più, portando a casa sempre di meno.
In Aprile ci sarà il summit delle forze NATO, ed è probabilmente in quella sede che verranno chiariti definitivamente gli equilibri all’interno dell’alleanza occidentale, e le vere intenzioni della nuova amninistrazione sull'Afghanistan.
Ma alla fine, l’ago della bilancia lo farà Putin, che da una parte gioisce in silenzio nel vedere gli americani impantanati nelle stesse sabbie mobili in cui li avevano attratti loro, 30 anni fa, ma dall’altra ha tutto l’interesse ad instaurare buoni rapporti con la nuova amministrazione, per togliersi al più presto la spina nel fianco dei missili occidentali che dovrebbero essere installati in Polonia e Cecoslovacchia, e soprattutto per non vedersi succedere intorno altre “rivoluzioni colorate” chiaramente ispirate da Langley.
L’altro ieri Putin ha lanciato agli americani un messaggio molto chiaro, dicendo che per ora la Russia sospende l’invio dei nuovi missili S-300 che l’Iran aveva ordinato.
Come dire: io vi tengo buono l’Iran, e lo convinco a concedervi il passaggio per i vostri rifornimenti, e voi in cambio rinunciate a piazzare i missili alle porte di casa mia, e vi dimenticate di trasformare Georgia e Ucraina in un vostro ennesimo luna park.
McGovern sembra quindi aver visto giusto, anche se in realtà non era necessaria una sfera di cristallo per arrivare alle sue conclusioni: da un parte, Putin tiene letteralmente l'Europa "per la canna del gas", dall'altra la situazione per l'America in questo momento è talmente fragile e compromessa, che Putin potrebbe anche chiedergli un pezzetto della Florida, e rischia pure di vederselo concedere.