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IMPARIAMO AD AMARE LA BOMBA di Maurizio Blondet

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E’ un duro colpo alla politica unilaterale di Bush, la cui credibilità è scesa, se possibile, ancora più in basso.
Migliora, almeno per il momento, la posizione dell’Iran: non è più il solo Stato «cattivo» e nucleare sulla scena.
Rischia di provocare una nuova proliferazione, una corsa agli armamenti atomici nell’Asia: la Corea del sud e il Giappone dovranno dotarsi della bomba.
La sola cosa da aggiungere non è banale, ma urterà tutti i buoni sentimenti, tutti i conformismi e i pacifismi: la fine della non-proliferazione è benefica.
Anzitutto, perché l’atomica non è un’arma come le altre.
E’ l’arma assoluta, apocalittica.
Perciò nessuno – nemmeno un folle come il dittatorello nord-coreano – si fa la bomba atomica per aggredire.
Se la fa, invece, per non essere aggredito.
Se la tiene da parte come assicurazione sulla vita, di fronte a una minaccia – e la minaccia concreta, oggi, viene dagli Stati Uniti.
La Bomba è radicalmente l’arma di «dissuasione», non d’aggressione.
E in questo, è la dissuasione più economica: il dittatorello coreano è stato lesto a capire che non avrebbe mai potuto pagarsi l’enorme forza convenzionale in carri e aerei, necessaria – e di certo non sufficiente – per dissuadere gli USA dall’aggredirlo.
Si può essere sicuri che Kim Jong-II non si metterà a fare guerre atomiche?
Ragionevolmente sicuri.
Personalmente, e modestamente, credo ancora nella «virtù razionalizzatrice dell’atomo».
La frase non è mia.
E’ del generale francese Lucien Poirier.

Oggi nella riserva, Poirier è stato uno dei quattro generali dell’Apocalisse che negli anni ‘60, per volontà e in pieno accordo con De Gaulle, svilupparono il nucleare bellico francese e la dottrina strategica conseguente.
Gli assiomi della «dissuasion du faible au fort», del debole al forte. (1)
Si tratta di assiomi severi, com’è obbligatorio quando si deve pensare la morte.
E non solo la propria morte personale, ma quella possibile della propria nazione, della storia collettiva e dell’esistenza stessa del proprio popolo.
Così ha pensato il generale Poirier, con De Gaulle e con gli altri generali dell’Apocalisse.
Così si deve pensare, di fronte all’atomica: con severa sobrietà.
Allora, negli anni ‘60, USA e URSS si affrontavano con la dottrina «dal forte al forte»: la dissuasione basata sulla certezza che un attacco nucleare avrebbe sì annichilito l’avversario, ma che i suoi bombardieri strategici e i suoi sottomarini – spettri tecnologici, sopravvissuti alla morte di un popolo – avrebbero scatenato la rappresaglia atomica, e l’annichilimento dell’aggressore.
Era l’equilibrio basato sulla mutua distruzione assicurata (MAD).
Ha funzionato per 50 anni.
A questo, e non alle esortazioni di Papi e moralisti, dobbiamo la più lunga pace in Occidente.
Allora De Gaulle pensò di nuovo la morte, come deve fare un grande generale, alla radice.
I suoi strateghi elaborarono gli assiomi nucleari.
Primo: «la dissuasione nucleare non abolisce le guerre; abolisce le aggressioni il cui scopo è impadronirsi del territorio altrui».
Secondo: «l’arma atomica, per la sua capacità enorme di distruzione unitaria, è limitata alla difesa degli interessi vitali».


Il concetto è essenziale, dice Poirier: e chiama «interesse vitale» ciò che tocca «la sostanza viva dello Stato-nazione, il suo popolo e le sue attività essenziali, ciò che si riassume nell’integrità territoriale e nella autonomia di decisione politica».
Questi vanno conservati ad ogni costo.
Gli «interessi vitali» sono definiti in modo molto restrittivo, proprio perché la loro difesa ha un senso radicalmente tragico: è la morte della nazione che si getta sul tavolo.
Così, per esempio, la dottrina francese esclude l’uso dell’arma atomica per assicurare i propri rifornimenti energetici: per quanto essenziali, la loro interruzione «non mette irrimediabilmente e immediatamente in questione la sopravvivenza dello Stato e del suo popolo».
Per questo appunto De Gaulle non si fidò mai delle promesse americane, del loro ombrello nucleare.
Non solo perché quell’ombrello gli toglieva «l’autonomia di decisione politica» più fondamentale e tragica.
Ma soprattutto perché – severamente e razionalmente – capì che «una potenza nucleare non può pretendere di proteggere un alleato, perché gli interessi vitali di questo non corrispondono all’interesse vitale della nazione nucleare».
Gli stati Uniti non avrebbero mai rischiato il proprio annichilimento per difendere la Francia.
Mai avrebbero usato l’atomica per l’Europa.
E nemmeno uno Stato europeo per un altro Stato europeo: perché l’Europa non è una nazione, e la decisione tragica e suprema sull’interesse vitale non è dei politici, ma qualcosa «sentito visceralmente» dai popoli coinvolti: il senso dell’unione di un popolo di fronte al proprio destino.
Una nazione che vuole davvero garantire i propri interessi vitali, deve darsi la propria atomica.


Lucien Poirier


Da qui, la strategia «dal debole al forte».
Il cui principio suona così:
«Per dissuadere un avversario, basta un numero sufficiente di armi nucleari».
E quale numero è sufficiente? «Proporzionale al valore di preda che la nostra nazione rappresenta per un avversario eventuale», risponde il generale.
Quanto conta la Francia come «premio», paragonato al «costo» che può infliggere la sua reazione nucleare?
Solo l’avversario, l’aggressore potenziale, lo decide.
«La credibilità non dipende da ciò che penso io, ma da ciò che pensa l’avversario», dice Poirier.
E’ una scommessa sulla morte.
Ma, evidentemente, ha funzionato: virtù razionalizzatrice dell’atomo.
Però ora gli strateghi da tavolino dell’amministrazione Bush, i neocon, e il coro dei contrari alla proliferazione, obiettano: il calcolo razionale non vale più, perché sono sulla scena attori atomici «irrazionali».
Anzi, estranei alla nostra «cultura».
In Asia, è stato scritto con espressione curiosamente rivelatrice, hanno l’atomica «tre potenze non-abramiche», Cina, India e Nord-Corea. (2)
Presto anche la Corea del Sud e il Giappone l’avranno.
Non abramici, ossia non provenienti dalla cultura monoteista… come se tale monoteismo ci avesse reso, noi, meno aggressivi.
E poi ci sono i regimi folli, malvagi, «canaglia», irrazionali: così viene descritto l’Iran, come pretesto per aggredirlo preventivamente perché non si faccia l’atomica.


Questi Stati non conoscono le regole del gioco, si dice, che hanno reso così «umani» nell’uso della bomba noi occidentali: questi, appena avranno l’atomica, la useranno.
Ma questo è uno pseudo-ragionamento, replica il generale.
La «razionalità» può mancare negli «Stati e nei regimi, ma è insita nella Bomba».
India e Pakistan sono due Stati «non abrasici» e nucleari.
Si sono fatti la guerra per decenni, con sforzi bellici enormi; ma si sono sempre tenuti al disotto della soglia atomica.
La dissuasione, la virtù razionalizzatrice della bomba, ha funzionato in senso stabilizzante.
Poniamo che l’Iran, il fantasticamente «folle» Iran descritto da Israele ed USA, si doti dell’atomica. La userà per annichilire Israele?
Con la certezza che sarà annichilito dalla rappresaglia atomica israeliana e americana, cancellato dalla faccia della terra, incenerito nel suo popolo, nella sua storia e nella sua fede?
Certo, potrebbe usare l’atomica per aggredire i suoi vicini che non ce l’hanno.
E’ credibile?
Diciamolo, non è credibile.
Oltretutto, solo un Paese ha storicamente aggredito con l’atomica una potenza non atomica.
Ed è per difendersi da quel Paese, e dal suo alleato-padrone atomico, che Teheran ha bisogno della sua atomica.
Come dissuasione.
Se mi attaccate, vi attacco, interessi vitali contro interessi vitali: non vi conviene.
Il vantaggio non vale il costo.


Poirier giura che non solo l’Iran, ma nemmeno il dittatorello stalinista nord-coreano useranno mai la bomba per primi; gli serve come dissuasione, come assicurazione sulla vita.
Naturalmente, questo è un assioma.
Il che significa che non può essere dimostrato, se non dalla tragedia assoluta, apocalittica.
«Ma si deve accettare la posizione scomoda di non sapere», dice il generale.
Pensiero sobrio e severo.
Ma la sicurezza assoluta pretesa dagli americani, la certezza che pretendono di fronte alle vicissitudini della vita e della storia, è paranoia, nasce da paura e viltà, non è militare, e produce devastazioni innominabili.
L’appoggiarsi all’assioma indimostrabile è tanto più necessario perché, poniamo, Israele non ha assicurato che obbedirà alle regole del gioco, del tragico gioco.
Non ha mai reso pubblica la sua dottrina nucleare, mai ha assicurato – come fece persino l’URSS – che mai avrebbe risposto a un attacco convenzionale con le bombe atomiche, e nemmeno che non userà l’atomica per prima.
La sua dottrina, Sharon la chiamava «del cane pazzo»: che gli avversari potenziali vedano in Israele un «cane idrofobo, troppo imprevedibile per valer la pena di disturbarlo».
Nella distruzione del Libano abbiamo visto all’opera appunto la dottrina del cane idrofobo.
Per questo l’Iran vuole la sua atomica.
Perché tra le virtù della bomba c’è anche questa: «Potete essere liberi nella vostra politica se potete infischiarvi che l’avversario rispetti o no le regole del gioco».
Ancora una volta, è la virtù razionalizzante dell’atomo che può tenere a bada anche un cane idrofobo.
Tragica virtù.
Assioma indimostrabile.


Ma forse, bisogna tornare a pensare così severamente e rigorosamente.
E nel pensiero rigoroso e severo di fronte alla morte, tutto lo strillare sulla «non-proliferazione», tutto l’affanno e il controllo sulla proliferazione, appare quello che è: il mezzo con cui il club dei potenti vogliono limitare la libertà e l’autonomia dei meno armati.
Bisogna reimparare ad amare la Bomba.
E’ economica.
Stabilizzante.
Non fa le guerre, anzi le previene.
E mantiene autonomi gli Stati che ce l’hanno; servi, coloro che ne sono privi.

Note
1)
Lucien Poirier, «JE crois en la vertu rationalisante de l’atome», Le Monde, 29 maggio 2006.
2) Così Chan Akya su Asiat Times («Not a major planet», 11 ottobre 2006): «Three non-Abrahamic powers now possess nuclear weapons
(China, India and North Korea). It is very likely that the number will quickly become five (including South Korea and Japan) in the very near future. Thus there will be a geographical continuum of nuclear states from Japan to Pakistan, which when Russia, Iran and Israel are added, becomes the atomic crescent».

(Tratto da www.effedieffe.com)

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