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Impariamo dalla Libia

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Anticamente col termine Libia si intendeva il Maghreb, ovvero tutto il nord Africa ad eccezione della valle del Nilo che era chiamata Egitto. Quella che oggi chiamiamo Libia fu abitata fin dalla preistoria. Verso il 1.200 prima della nostra era i suoi abitanti, i Libu, si schierarono con i Popoli del Mare contro l’Egitto e, nonostante ufficialmente abbia vinto l’Egitto, poco dopo iniziarono le così dette dinastie libiche che durarono fino all’arrivo dei persiani sei secoli dopo. Nel frattempo sulla costa i fenici avevano fondato le città di Leptis e Oea e i greci di Berenice, oggi Benghazi, e Cirene. Pochi secoli dopo tutte le città costiere finirono sotto il controllo di Cartagine mentre nell’interno, il Fezzan, si sviluppava la dinastia dei Garamanti famosi per la cavalleria e le doti guerriere. Poi arrivarono i romani che conquistarono Cartagine, l’Egitto, tutto il nord Africa e chiamarono Cirenaica la fascia costiera verso est e Tripolitania quella ad ovest dove sorgeva Tripoli. In tarda epoca imperiale i Vandali entrati in Mediterraneo da Gibilterra, si unirono ai locali berberi contro Roma, conquistarono il nord Africa e costruirono una grande flotta. In pochi anni i Vandali conquistarono la Sardegna, la Sicilia e saccheggiarono Roma (455). Ormai l’impero romano era l’ombra di sé stesso e i Vandali erano i padroni del Mediterraneo occidentale. Un secolo dopo da Costantinopoli l’imperatore Giustiniano poneva fine al dominio vandalo e riconquistava la Libia che nel 650 era conquistata dagli arabi. Per secoli sotto gli sceicchi arabi si sviluppò la guerra di corsa delle navi libiche che attaccavano i navigli del Mediterraneo finché nel 1510 gli spagnoli, divenuti padroni della Sicilia, conquistarono Tripoli e l’affidarono, assieme a Malta, ai Cavalieri di San Giovanni col compito di proteggere le rotte cristiane. Dopo una ventina d’anni arrivarono dalla Turchia gli ottomani, conquistarono tutto il nord Africa e ai Cavalieri rimase Malta.

Nel 1912, poco prima della Prima Guerra Mondiale, il regno d’Italia decise di volere una colonia e siccome la terra più vicina era il nord Africa le truppe italiane conquistarono la Cirenaica e la Tripolitania e si spinsero fino al Fezzan che da allora furono unite sotto il nome di Libia. Per costringere gli ottomani alla pace la marina italiana conquistò anche Rodi e il Dodecaneso, una dozzina di isole vicine alla costa turca. Se i turchi si erano arresi lo stesso non si poté dire della popolazione libica che iniziò una guerriglia contro l’Italia che durò vent’anni e che costò la vita ad un decimo della popolazione locale. Negli anni ’30 col fascismo l’Italia iniziò una serie di indagini geologiche del sottosuolo libico condotte da Ardito Desio. Secondo alcuni non trovò nulla, secondo altri trovò qualcosa ma non disse nulla per paura che con la guerra alle porte i nemici si impossessassero delle scoperte, secondo altri ancora, come sappiamo dai suoi scritti e dalle fotografie che lo ritraggono con in mano bottiglie contenenti un liquido nero, che non doveva essere vino, Desio trovò vari giacimenti petroliferi ma tenne l’informazione per sé e la vendette a guerra finita alle compagnie petrolifere anglo americane. Comunque sia andata, al termine della Seconda guerra mondiale l’Italia perse la Libia che fu affidata dall’Onu al re Idris. La Libia di Idris era uno stato poverissimo, quasi disabitato, con malattie endemiche, scarsi prodotti alimentari, un’istruzione quasi inesistente e il re chiese aiuto alla Gran Bretagna che in cambio di aiuti ottenne il diritto delle estrazioni petrolifere. Era il 1955 e nel volgere di pochi anni la Libia divenne esportatrice di petrolio. Nel 1969 ci fu un colpo di stato. Dichiarando che la monarchia era serva del potere inglese, americano e francese e approfittando dell’assenza del re, un gruppo di militari prese il potere e il governo provvisorio fu retto dallo sconosciuto colonnello, Mu’hammar el-Gheddafi. 

Le primissime azioni del nuovo governo non lasciarono dubbi sulla nuova politica libica: furono nazionalizzate tutte le imprese petrolifere, la Banca Centrale, tutte le aziende di proprietà di stranieri, chiuse le basi militari Usa e britanniche e confiscati i beni degli italiani. In segno di vendetta per le atrocità subite durante l’aggressione e l’occupazione italiana 20.000 italiani vennero cacciati dalla Libia perdendo ogni proprietà.

Dopo questi cambiamenti e grazie alle rendite del petrolio in Libia vengono costruite strade, abitazioni, industrie, l’istruzione è gratuita in ogni grado e la sanità è gratuita. Nella Jamahirihha, così è chiamato il nuovo stato, i cittadini ricevono ogni anno una parte dei redditi dalla vendita del petrolio mentre si costruisce una serie di enormi pozzi che pescano acqua fossile da oltre mille metri di profondità e la portano, con condotte tanto grandi da contenere un camion, in tutto il paese permettendo di irrigare i campi, sviluppando l’agricoltura e la coltivazione di frutta e ortaggi. La nuova moneta libica, garantita da tonnellate d’oro, è assieme al Rand sudafricano la moneta più forte del continente e mette in crisi il franco francese africano.

Dopo secoli di povertà assoluta in pochi anni la Libia è diventata una nazione libera, indipendente e ricca. Nonostante non avesse agricoltura, beni culturali, industrie, università, ospedali, strade, ferrovie, aerei, auto, case, nel volgere di vent’anni lo sviluppo è stato enorme. Abbiamo nulla da imparare dalla Libia?

Certo, obietterà qualcuno, per loro è stato facile, avevano il petrolio, noi invece lo dobbiamo comprare. Vero che loro avevano il petrolio, vero anche che noi lo compriamo, ma è una mezza verità: Noi compriamo il petrolio dagli americani, dagli olandesi, dagli inglesi, dagli arabi… Ma anche noi abbiamo il petrolio!!

La gallina è considerata un animale stupido, ma avete mai visto una gallina andare a comprare un uovo da un’altra gallina? No, perché ogni gallina può produrre uova.

Ecco, noi siamo più stupidi delle galline: compriamo petrolio quando abbiamo i maggiori giacimenti petroliferi continentali d’Europa. Guardiamo i numeri.

Riserve petrolifere stimate in miliardi di barili di petrolio

  • Arabia Saudita    340
  • Libia              40
  • Norvegia            6
  • Regno Unito        3
  • Italia                1

Certo, non sono i numeri degli arabi ma consideriamo alcuni altri fattori.

Mentre i pozzi norvegesi e britannici sono al largo (off shore) e quindi richiedono impianti costosissimi e in grado di reggere le burrasche del mare del Nord, quelli italiani sono su terra, sono gli unici pozzi continentali di tutta Europa, e quindi sono i più facili da sfruttare. A questo aggiungiamo che il costo del petrolio è determinato più dal trasporto che dall’estrazione e nel caso Italia il petrolio l’abbiamo sotto casa, più vicino di così non si può.

Una volta estratto il petrolio ha bisogno di essere lavorato, e qui iniziano i problemi perché in Italia abbiamo poco personale con conoscenze in materia, a differenza del Regno Unito e della Norvegia, ma se ci sono riusciti i libici che non avevano neppure un’Università, forse ci possiamo riuscire anche noi.

Ed ora il punto finale: cosa ce ne facciamo di così poco petrolio? Non possiamo certo immaginare di far concorrenza ai sauditi o di fondare una nostra Opec. Certo che no ma consideriamo ancora i numeri.

Le riserve petrolifere italiane ammontano ad un miliardo di barili, dei quali 600.000 milioni nella Val d’Agri. Nell’ultimo decennio l’Italia ha avuto bisogno ogni anno di 50 milioni di barili. Con solo i giacimenti in Val d’Agri potremmo vivere 12 anni, usando tutto quello che stimiamo di avere oggi una ventina d’anni.

Venti anni senza preoccuparci delle fluttuazioni del prezzo del petrolio, senza ricatti politici, senza pressioni economiche da parte di aziende straniere… con un prezzo del petrolio più basso ogni ramo della produzione industriale, agricola, dei trasporti, dei servizi, del turismo ne gioverebbe. Potremmo rilanciare l’economia e quindi diminuire le tasse. Con meno tasse e un minor prezzo del petrolio l’economia italiana volerebbe e in pochi anni si potrebbero eliminare le accise sui carburanti e vedere alle pompe di benzina dei valori che oggi non possiamo neppure sognare. In Libia il gasolio costava ai distributori 5 centesimi il litro. 

Sarebbe un mondo nuovo. Certo, per poter essere liberi e vivere bene non basterebbe il petrolio nazionale: in Libia hanno anche eliminato le basi militari straniere, nazionalizzato le grandi imprese e la banca di emissione. 

Tutto questo perché nell’ultimo mezzo secolo in Libia non hanno avuto una folla di politici impegnati a farsi rieleggere ma qualche statista che si è impegnato per il bene della propria popolazione.

Storicamente, economicamente, culturalmente l’Italia è sempre stata, ed è tutt’ora, molto più ricca della Libia, quello che è mancato e che manca in Italia non è il petrolio ma il testosterone.

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