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In Venezuela aumentano le pensioni, rivalutano i salari – di Tito Pulsinelli

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Dall'Europa in cui è sotto attacco frontale il sistema pensionistico, dove facilitano i licenziamenti di massa, li si rende più a buon mercato, e si cerca di abolire de facto la residuale presenza dei sindacati, i mezzi di comunicazione si dilettano ad emanare preoccupate circolari sull'imminente tracollo dell'economia del Venezuela. Incredibile, ma vero. Per fungere da armi di distrazione di massa, non hanno limite alla decenza e si abbandonano lascivamente alla tragicommedia.
In Venezuela, ogni anno i salari vengono rivalutati con un aumento uguale o superiore all'inflazione accumulata. Il primo maggio è stata aumentata la pensione portandola al valore del salario minimo degli occupati. La previdenza sociale si è fatta carico dei contributi mancanti dei pensionabili, quelli che le imprese non avevano pagato durante la parentesi neoliberista, in cui era stato messo in liquidazione l'istituto pensionistico.
In Europa stanno colpendo in modo premeditato, pianificato e generalizzato il rimanente Stato sociale, nonostante gli allarmanti indici di disoccupazione già sfiorino il 20%, ma puntano il dito contro il Venezuela dove i disoccupati sono meno dell'8%. Dove esiste il controllo dei prezzi dei prodotti commestibili di base dell'alimentazione familiare, nonostante il crollo dei prezzi del petrolio dell'anno scorso.
I "tuttololgi" esibiscono come trofei di caccia due dati economici: la flessione della crescita dell'economia venezuelana nel 2009 -dopo 6 anni di espansione ininterrotta- e una inflazione che sconfinò oltre il 20%. Se tanto mi da tanto -pensa la "tuttologia"- ergo…stanno a pezzi, stanno al gelato al limon. No, sbagliato, non tutto il mondo è Paese senza sovranità.
Quel che non prendono in considerazione -perchè non conviene ai proprietari della comunicazione ed ai macellai del FMI- è che il Venezuela ha ridotto il suo debito al 14%, mentre le maggiori economie dell'UE stanno al di sopra dell'80%.Caracas, tra riserve monetarie del banco centrale e "fondi sovrani" binazionali con la Cina, Russia ed Iran, supera i 140 miliardi di dollari. Con una popolazione di 28 milioni, non di 58, e senza la preoccupante crisi demografica che attanaglia l'Italia. Con gli anziani improduttivi abbandonati al loro destino, e i giovani senza prospettive. Per i prossimi 6 anni, le compagnie petrolifere straniere associate alla statale PDVSA, investiranno oltre 100 miliardi di dollari per poter partecipare allo sfruttamento del primo blocco della riserva dell'Orinoco.
La "tuttologia" neoliberista non riesce a spiegare come con un'inflazione del 20% e una flessione nella crescita, non siano diminuiti i consumi e non sono aumentati nemmeno i disoccupati o i sottoccupati. Com'è possibile? Elementare: lo Stato spende per finanziare la domanda sociale, non per fare la respirazione bocca a bocca ai banchieri.
Può farlo perchè ha mantenuto un ruolo importante nell'economia, ed ha recuperato spazi e funzioni che erano state usurpate dal "mercato" o messe all'asta a favore dei centri sovranazionali "globalizzatati" (FMI, Borse, multinazionali). Questa gente sta affilando i denti per azzannare l'ENI e Finmeccanica.
Non trovano una spiegazione coerente al fatto che in Venezuela il 40% del bilancio è destinato alla spesa sociale, istruzione, salute, consumi, e questo maggiore potere d'acquisto diffuso -paradossalmente- incrementa l'inflazione perchè si orienta su beni importati, storicamente non fabbricati nel Paese. A causa di un' élite che preferisce il lucro delle più facili importazioni speculative allo sforzo di "intraprendere" per trasformarsi in moderna borghesia produttiva. Se non lo fanno loro, provvederá lo Stato.
I governi dell'Unione Europea sono ridotti ad esattori delle imposte per conto del FMI, che sconfina impunemente dall'ambito finanziario al disegno di direttive politiche sempre identiche, da applicare urbi et orbi, per rinsanguare le elites ed affossare le maggioranze sociali. I ministri, indipendentemente dalle "ideologie" o "programmi", possono inventare qualche neologismo o fraseggio peculiare, ma hanno la lunghezza della briglia solo per imporre i diktat dei banchieri centrali nazionali e della Banca centrale europea.
I Paesi che meglio hanno resistito al crollo dell'effimero castello fatato della "globalizzazione", sono quelli in cui la banca centrale non è un battitore libero, diretto da ex dipendenti di Goldman Sachs. In nome della "autonomia" rispondono solo agli interessi dei gruppi azionisti maggioritari -privati- che hanno in pugno gli istituti centrali.A Pechino, Mosca, Caracas le rispettive banche centrali non hanno il privilegio castale di disporre "autonomamente" dei beni e degli erari nazionali, e devono rispondere alle uniche autorità elette con il suffragio universale.
Il futuro immediato dell'UE è il passato recente sudamericano, gli uni arrivano alla terapia fondomonetarista e gli altri stanno uscendo dal sisma provocato da questi sciamannati sciamani. Oggi assidui frequentatori delle capitali europee, accolti come salvatori della patria (sic). Chi ne è uscito, lasciandosi alle spalle le rovine, sotto la spinta di ribellioni popolari che hanno messo sulla difensiva le locali elites, hanno imboccato la strada in direzione opposta: meno mercato, meno Borse, più Stato, più sovranità politica ed economica, più regole. Quel che è inaccetabile, in ogni caso, è che i pirati continuino a dare lezioni ai depredati, da pulpiti sconsacrati e sputtanati.
 
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