In vista del Convegno di Milano “La Medicina che Guarisce“, abbiamo intervistato il dott. Raul Vergini che, da oltre 20 anni, si occupa di omeopatia, medicina naturale, integrazione nutrizionale ed anti-aging. Negli ultimi anni si è interessato alla bioendocrinologia, cioè al riequilibrio ormonale mediante l’uso di dosi fisiologiche di ormoni bio-identici. Tra le sue pubblicazioni, tradotte in varie lingue, citiamo Curarsi con il magnesio, Ipotiroidismo (un’emergenza ignorata).
Al Convegno “La Medicina che guarisce” (Milano 24 marzo prossimo), il dott. Raul Vergini ci parlerà dell’ Ipotiroidismo. Malattia insospettata, spesso non diagnosticata, l’ipotiroidismo è la più frequente fra le patologie che interessano la ghiandola tiroidea. Se le statistiche della letteratura medica ci parlano di un 5% di popolazione affetta da questa malattia, nuovi studi sembrano dimostrare che più del 50% della popolazione ne soffra.
Per tutti coloro che vogliono saperne di più rimandiamo al sito del dott. Vergini www.drvergini.it
Intervista a cura della dott.ssa Lea Glarey (coordinatrice Nexus)
Perché c’è una forte discrepanza tra i dati da voi forniti rispetto a quelli correnti della letteratura medica? Il 50% è una percentuale che fa paura. Uno su due! Come siete arrivati ad accertare che l’ipotiroidismo sia una malattia che colpisce più del 50% delle persone?
Questo valore non è frutto di una mia statistica personale, anche se i dati dei miei pazienti negli anni me lo hanno confermato, ma è basato su quello che vari studiosi (soprattutto americani ma non solo) del problema ipotiroidismo hanno appurato nel corso degli ultimi 90 anni. Tutti questi medici avevano ed hanno in comune un modo diverso di affrontare l’ipotiroidismo rispetto alla cosiddetta medicina tradizionale. Volendo sintetizzare per la diagnosi non ci si basa solo sugli esami di laboratorio ma soprattutto sulla clinica (segni e sintomi del paziente), sul test di Barnes della temperatura corporea basale e sull’effettivo miglioramento dei pazienti una volta intrapresa una terapia tiroidea (prevalentemente tiroide secca).
Questi medici, già nei primi decenni del ’900, attribuivano all’ipotiroidismo una percentuale che era fra il 10 e il 20%; percentuale che venne innalzata dal Dott. Barnes negli anni ’40 al 40%, il quale predisse che avrebbe superato ben presto il 50%; negli anni ’80 il Dott. Jacques Hertoghe in Belgio affermò che nella popolazione belga l’ipotiroidismo possa superare addirittura l’80%! Quindi la maggioranza della popolazione generale potrebbe soffrire di un qualche grado di ridotta funzionalità tiroidea.
Chiaramente, se per arrivare ad una diagnosi di questo tipo ci si basa solo sugli esami del sangue (ed in particolare sul solo TSH, cosa che oggigiorno costituisce lo standard per la diagnosi) le percentuali saranno molto più basse, attorno al 5-7% appunto, ma abbiamo modo di ritenere (e ne parleremo diffusamente al convegno) che il TSH non sia un parametro affidabile per diagnosticare l’ipotiroidismo, e che la stragrande maggioranza dei casi sfugga a questo tipo di rilevazione.
Ma quali sono le ragioni di questo aumento vertiginoso di malati di tiroide?
La prima ragione è che un secolo fa i bambini ipotiroidei, e per questo con un sistema immunitario più debole, spesso morivano in età infantile perché non c’erano farmaci in grado di curarli, specie dalle malattie infettive. In questo modo essi non vivevano abbastanza a lungo da poter trasmettere ai discendenti i loro geni “difettosi”, cioè questa tendenza all’ipotiroidismo.
Oggi invece, i progressi della medicina consentono la sopravvivenza di quasi tutti bambini e quindi facilitano la possibilità che questi trasmettano ai loro figli questa predisposizione.
Inoltre capita spesso che le persone con una tiroide insufficiente siano attratte da partner con lo stesso problema (sia perché la loro scarsa energia li obbliga a condurre più o meno lo stesso tipo di vita e sia perché chi è posato, lento e con uno scarso tono dell’umore difficilmente sceglierà un partner che sia l’esatto contrario).
Un’altra ragione è l’ambiente in cui oggi viviamo dove inquinanti, sostanze tossiche, metalli pesanti ed altro attaccano la nostra tiroide danneggiandola e riducendone il funzionamento. Molto importante è poi anche la carenza di iodio nella nostra dieta moderna e la presenza nell’ambiente di alogeni tossici quali il cloro, il bromo e il fluoro che oltre a possedere una loro specifica tossicità accentuano la carenza di iodio poiché competono per gli stessi recettori.
Infine, ultimo ma non meno importante, come già accennato sopra, il problema della corretta diagnosi che viene effettuata assai di rado. Questo succede sia perché il medico non ha più dimestichezza col variegato quadro clinico dell’ipotiroidismo ma soprattutto perché, anche quando lo sospettasse, spesso non avrà conferma dagli esami di laboratorio, per cui tenderà a diagnosticare altre patologie (come la fibromialgia o la depressione) od a imputare i sintomi del paziente all’età, all’ipocondria, all’ansia, ecc.
Siccome è noto che nella quasi totalità l’ipotiroidismo è su base autoimmune (tiroidite di Hashimoto), in che misura l’aumento della diagnosi di tiroidismo è anche collegare alla scoperta alcuni anticorpi contro la tiroide? E in che misura l’aumento delle capacità diagnostiche influisce su questo dato?
In parte potrebbe esserlo, ma nella pratica la scoperta degli anticorpi incide ben poco sulla diagnosi di ipotiroidismo. Mi spiego meglio. Al giorno d’oggi la tiroidite di Hashimoto è verosimilmente la prima causa di ipotiroidismo acquisito, ma questa non incide molto sulla frequenza ufficialmente riconosciuta dell’ipotiroidismo perché il medico, o l’endocrinologo, non dichiara comunque un paziente ipotiroideo finché il suo TSH non supera i livelli “normali” del laboratorio, tanto che molto spesso il paziente con valori ancora nei range, benché affetto da Hashimoto e magari già con sintomi evidenti, viene invitato ad aspettare finché gli esami non confermeranno che è arrivato allo stadio dell’ipotiroidismo ed a quel punto verrà trattato con la tiroxina.
Si sa che la patologia tiroidea su base autoimmune esprime un conflitto:
a) contro sé stessi (come tutte le autoimmuni)
b) un conflitto dove non si riesce a mandare giù una certa situazione.
Prova ne è il fatto che una patologia è molto più femminile che maschile, proprio perché per tradizioni culturali la donna è costretta “a mandar giù” molto più dell’uomo.
Sicuramente un conflitto emotivo può essere alla base di svariate patologie croniche come pure di una tiroidite autoimmune, a questo proposito ci sono svariate teorie che legano specifici conflitti e problemi emotivi e specifiche patologie. Io non mi esprimo né pro né contro queste impostazioni e ritengo che il conflitto emotivo a volte sia una parte in causa importante nella genesi di questa o altre patologie, mentre altre volte le cause possono essere diverse.
Per farla breve, l’ipotiroidismo è una insufficienza relativa del funzionamento della tiroide, per cui nel sangue vi è meno tiroxina. La terapia più diffusa consiste nel somministrare la tiroxina sintetica. Ma si può guarire dall’ipotiroidismo? Ossia la tiroide può riprendere a funzionare senza l’ausilio della tiroxina sintetica?
Le cose non stanno esattamente così. In caso di ipotiroidismo nel sangue non vi è solo meno tiroxina, perché la tiroide produce 4 ormoni, T1, T2, T3 e T4 (che è appunto la tiroxina). Ma l’ormone attivo è il T3, il T4 è solo un precursore e non ha praticamente alcuna attività metabolica se non viene trasformato in T3. La tiroxina sintetica è l’approccio più sbagliato per compensare una tiroide insufficiente, semplicemente perché spesso non funziona, perché non viene adeguatamente trasformata in T3. Nella mia esperienza solo 1 paziente su 10-15 sta veramente bene con la tiroxina, ed in quel caso naturalmente può continuare ad utilizzarla. In tutti gli altri casi il paziente sta o come stava prima di prenderla, o leggermente meglio (ma restano sintomi di ipotiroidismo), o qualcuno sta addirittura peggio di prima.
In caso in cui sia necessario somministrare ormoni tiroidei la soluzione migliore e più efficace resta sempre la “vecchia” tiroide secca di origine suina, che è stata l’unica terapia disponibile per l’ipotiroidismo per quasi un secolo, dalla fine dell’800 agli anni ’70 del ’900 (quando si è diffusa la tiroxina sintetica) ed ha sempre svolto egregiamente la sua funzione, restituendo la salute alla stragrande maggioranza dei pazienti che la assumevano, e questo è vero ancora oggi come noi possiamo verificare ogni giorno.
Riguardo alla possibilità di “guarigione” dall’ipotiroidismo senza l’uso di ormoni devo dire che nei casi di ipotiroidismo non autoimmune a volte si possono avere ottimi risultati nutrendo e stimolando la ghiandola con terapie naturali e questa può riuscire a “rimettersi in moto” senza aver bisogno di ormoni. Se invece siamo di fronte ad un caso di ipotiroidismo autoimmune, con un’alterazione (e quindi un danno organico) al tessuto della ghiandola già presente, una guarigione, nel senso di tornare a funzionare come prima, purtroppo non è più possibile. Il tessuto tiroideo attaccato dagli anticorpi subisce una trasformazione di tipo quasi cicatriziale, la ghiandola si riduce di dimensioni, si presenta fibrosa e non è più in grado di produrre ormoni come prima. In questi casi si può ancora restituire al paziente una vita perfettamente normale, piena di vitalità ed energia e senza i sintomi dell’ipotiroidismo, ma questo si può fare solo fornendo all’organismo dall’esterno quella quantità di ormoni che la sua ghiandola non è più in grado di produrre. Naturalmente, anche qui saranno utili approcci complementari di tipo naturale, nutrizionale, supplementi ecc., ma il cardine della terapia in questi casi restano gli ormoni tiroidei (preferibilmente la tiroide secca).
Raul Vergini. Medico, da oltre 20 anni si occupa di omeopatia, medicina naturale, integrazione nutrizionale ed anti-aging. Da diversi anni si dedica anche alla bioendocrinologia, cioè al riequilibrio ormonale mediante l’uso di dosi fisiologiche di ormoni bio-identici. In passato ha pubblicato il primo libro divulgativo italiano sull’uso del magnesio. Ha scritto diversi articoli scientifici e ha tenuto conferenze in Italia e all’estero. Autore del libro “Ipotiroidismo: un’emergenza ignorata” (Macro Ediz.).